Lolita

Un romanzo molto discusso per la scabrosità delle intenzioni dei protagonisti. Un’ossessione al maschile che degenera in tragedia. Ecco la proposta di gennaio per il progetto “Leggere il ‘900 europeo” a cura di Raffaele Santoro (La Redazione).

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Lolita è un nome ormai entrato nel linguaggio comune come sinonimo di ragazzina sessualmente precoce e provocante, disinibita e maliziosa. Ma da neologismo usato per indicare un fenomeno di costume e un modello sociale Lolita è divenuto progressivamente un nome di richiamo adoperato nel “marketing” della nostra contemporaneità per gli usi più svariati finendo così per allontanarsi dalla sua matrice originaria da quello, cioè, che lo ha ispirato e reso così potentemente evocativo, imponendolo nel nostro immaginario collettivo. 

Perché il merito della fama del nome Lolita e del suo essere divenuto un moderno simbolo di un modo di essere risiede tutto in quel grande romanzo che è stato ed è “Lolita” di Vladimir Nabokov. “Lolita” ha compiuto, da poco, 60 anni. Uscì infatti nel settembre del 1955 dopo difficoltà non indifferenti per la sua pubblicazione in quanto, inizialmente, fu considerato “romanzo pedofilo” e pertanto osceno e immorale, pur non contenendo alcuna esplicita descrizione di atti sessuali sebbene, a noi lettori, ne venga fatta intuire e percepire tutta la loro allusiva presenza. E, infatti, anche il successo che, alla sua uscita, fu immediato, fu determinato dall'immagine di “romanzo erotico” che lo circondò, laddove, invece, l'intrinseca natura di “Lolita” va ben oltre questo aspetto. 

Tanto che non solo il romanzo non è riducibile a quel canone ma neanche il personaggio di Lolita è risolvibile nella chiave di una sua innata vocazione erotica e sensuale. Motore dell'azione narrativa di “Lolita” è la tormentata attrazione che un uomo - l 'altrettanto famoso personaggio di Humbert Humbert, un maturo, colto e raffinato professore di letteratura che, dalla sua natia Francia, si trasferisce, per un caso inatteso, in America - ha per quelle giovanissime adolescenti da lui nominate “ninfette”. Tale attrazione si trasformerà in una vera e propria ossessione allorquando incontrerà in quella sperduta cittadina americana, in cui si reca ancora una volta per effetto di circostanze casuali, la dodicenne Lolita e se ne invaghirà, creandosi tra i due una relazione tanto morbosa quanto drammatica. In Humbert quell'attrazione affonda nella sua storia sentimentale segnata da un tragico quanto passionale amore adolescenziale avuto con una sua coetanea, quell'Annabelle, morta improvvisamente e, ancora una volta, casualmente, quando quell'amore era nel suo pieno svolgersi. 

Quell'esperienza lacerante lo segnerà e, da quel momento, egli cercherà nelle adolescenti quell'amore adolescente perduto. Nella maturità di Humbert si insedierà quindi un'immaturità irrisolta che lo bloccherà per sempre alla “fase Annabelle” e, dopo anni e anni di insignificanti amori sostitutivi con donne adulte - mentre, incessante, continua la sua attrazione senza sfogo per le “ninfette” - Humbert trova, finalmente, colei che incarnerà ai suoi occhi e ai suoi sensi Annabelle: “Finchè, ventiquattro anni dopo, spezzai il suo incantesimo incarnandola in un'altra”.  E quell'“altra” sarà appunto Dolores Haze, che per Humbert diverrà, solo e sempre, la sua Lolita, quel “miscuglio di sognante puerilità e di misteriosa volgarità”. 

E, a partire da questo momento, il romanzo di Nabokov diviene pienamente ciò che è: un romanzo su una grande passione amorosa, una storia a suo modo commovente e pura, pur a fronte dei suoi risvolti oggettivamente sordidi, il perseguimento ossessivo di un desiderio, tanto più foriero di sofferenza quanto più intenso quel desiderio diventerà. Perché il personaggio di Humbert non rientra nel cliché del maniaco depravato, animato da istinti violenti, del “pedofilo” squallidamente proteso a uno sfruttamento bieco dell'altrui corpo e dell'altrui psiche. L' oggettiva abiezione di Humbert Humbert, di cui egli stesso è pienamente consapevole - riuscendo benissimo Nabokov a far emergere gelidamente il senso di colpa che percorre il personaggio e la sua scissione mente/corpo – è generata sì da una pulsione irrefrenabile ma anche da un sentimento tanto profondo ed esclusivo, quanto disperato e distruttivo. 

Analogamente Lolita non è e non sarà né la ragazzina facile, consumata nel sedurre e nel farsi sedurre, né strumento passivo alla mercé di Humbert, il quale la priverà della sua libertà ma non riuscirà a privarla della sua volontà e di un potere che ella a suo modo eserciterà su di lui. In altre parole le dinamiche vittima/carnefice sono qui assai più complesse di quello che a prima vista appare. Nonostante infatti Humbert “catturi” Lolita e la tenga con sé in quell'interminabile on the road di 43.000 km attraverso l' America, che fa da fondale al concreto svolgersi del romanzo, egli non riuscirà mai a unire a sé Lolita, nel senso di ottenere il suo amore, consumandosi per tutto il romanzo in quel suo tentativo di possesso, sebbene ella gli si conceda e gli conceda la parvenza della sua complicità. 

L'infelicità di Humbert sarà irrisolvibile e Lolita ne sarà vittima in quanto usata per la soddisfazione di un bisogno di cui ella sarà alimentatrice e, al tempo stesso, succube. In altre parole è come se i personaggi fossero per tutto il romanzo prigionieri di se stessi, tenendosi a loro volta prigionieri l'uno con l'altro. Se infatti Humbert sarà prigioniero del suo desiderio ossessivo in cui, di fatto, terrà reclusa Lolita, questa, a sua volta, sarà prigioniera del suo potere di seduzione che userà per imporsi e, al tempo stesso, per sottrarsi a Humbert. Il tema che “occupa” il romanzo diventa quindi quello dell'ingabbiarsi e dell'essere ingabbiati, dove la vita stessa diventa una grande gabbia. Nabokov in “Lolita” attraverso le ossessioni che pervadono il romanzo crea volutamente una situazione estrema, a suo modo raccapricciante,  e la esaspera oltremodo così da esaltare quella condizione di incapsulamento dei personaggi, rivelando, in ultima istanza, tutta la sfuggente natura ambigua della realtà delle cose. In questo senso anche l'atmosfera che emanano le pagine di “Lolita” è in sintonia con il suo tema, in quanto tutto il romanzo è attraversato, sottotraccia, da un clima soffocante che tuttavia arriva attutito e rarefatto per effetto dell'elaboratissima prosa di Nabokov, estremamente elegante e raffinata, suasiva e accattivante, dove un disincanto amaro e malinconico è accompagnato da un'acuta e sferzante ironia e autoironia. 

Anche i passaggi più crudi e crudeli si velano di una loro sarcastica e acida levità che toglie la loro intrinseca durezza e crea una distanza che ce li fa vivere come se li osservassimo da “fuori”. In questo senso “Lolita” è un testo per sua natura profondamente cinematografico perché la condizione dell'osservare, sia all'interno del romanzo, sia per noi lettori, è fortissima. Un guardare che si fa ossessione del guardare di Humbert, intento a scrutare il suo eterno desiderio in se stesso e in Lolita: uno sguardo che tenta di trattenere ciò che nella realtà sfugge e diventa inappagato. Un guardare che per noi lettori si fa sguardo del movimento interiore ed esteriore di un'azione solo apparentemente ripetitiva, al contrario contrassegnata dai contrasti e dal senso dell'intrigo. 

“Lolita” è anche un grande romanzo di contrasti, costruito sui contrasti. Quello fra Europa e America impersonato dai tormenti e dalle introversioni di Humbert, ma anche dalla sua solida e fine cultura, retaggio di quell'Europa da cui egli proviene e della cui sensibilità è intriso a fronte di quell'edonismo alienante senza alcuna profondità di cui si nutre Lolita e in cui è immerso il mondo che la circonda, incarnazione di quell'America dove Humbert e Lolita si aggireranno in una condizione di perenne spaesamento. E poi tutti i contrasti in cui vive Humbert: fra autenticità dei sentimenti e anormalità dei comportamenti; fra sessualità adulta e sessualità adolescenziale; fra la potenza del suo mondo interno e l'assoluta distanza e l'assoluto isolamento dal mondo esterno; fra aspirazione all'appagamento del desiderio e irrealizzabilità di tale appagamento, anche perché esso presupporrebbe di fermare il tempo lasciando Lolita nella condizione di eterna “ninfetta” da cui il contrasto tra la persona reale Lolita e il suo “uso” strumentale e avulso dalla realtà che ne fa Humbert. 

La struttura del romanzo si configura come una confessione fiume, di fatto una dolente espiazione, scritta da Humbert in quel carcere, e qui non più in senso figurato, nel quale egli è recluso a seguito dell'uccisione di Clare Quilty. Un ambiguo commediografo (autore, guarda caso, de “La piccola ninfa”) che Lolita conosceva già e che, a un certo punto, nel corso del “viaggio” con Humbert, incontra, frequenta, se ne innamora e fugge con lui, riuscendo, in tal modo, a scappare da Humbert. Ma il camaleontico Quilty si rivelerà assai peggio di Humbert, incarnando davvero l'intenzione di “sfruttare” Lolita. Passati alcuni anni Lolita, divenuta ormai precocemente adulta, si è sposata con un uomo “normale” che la ama ma il quale, per Lolita, rappresenta, più che altro, un amore “rifugio”, tanto che quell'uomo ignora il suo passato, una ferita che per lei resta e resterà aperta. 

Nonostante questo sarà lei a cercare Humbert, che ne aveva perso le tracce, per chiedergli di darle un aiuto materiale, sapendo che Humbert non potrà negarglielo. E, in quella circostanza, gli rivelerà l'effettiva identità di Quilty rimasta, fino ad allora, ignota a Humbert. E questi come una sorta di vendicatore, essendo per lui Quilty colpevole di avergli portato via Lolita, lo scoverà e, alla fine di un memorabile dialogo dove Humbert si trasforma in una figura quasi diabolica, ucciderà Quilty. Ma questo è solo uno dei tanti snodi all'interno del romanzo che danno il senso dell'intrigo. Snodi contrassegnati da imprevisti e colpi di scena e, soprattutto, dominati dal caso, i quali fanno di “Lolita” anche un romanzo sull'imprevedibilità dell'esistenza e sul suo essere altro da quello che si vorrebbe che fosse. “Lolita”, infatti, è e resta un romanzo d'amore sull'impossibilità di realizzare l'Amore, un romanzo sull'aspirazione all'innocenza in cui si produce la più totale perdita dell'innocenza, un romanzo su una ricerca della felicità che si conclude con l'autodistruzione, un romanzo senza redenzione.


Cinema vs letteratura

Lolita

di Stanley Kubrick

con James Mason, Shelley Winters, Sue Lyon, Peter Sellers

GB-USA 1962 152’


Stanley Kubrick era attratto da storie letterarie, molti suoi film sono tratti da romanzi importanti sui quali il regista ha esercitato comunque il suo potere di rielaborazione del testo. Accadde anche con “Lolita” che, malgrado la partecipazione di Nabokov alla sceneggiatura, venne abbondantemente adattato dal regista. Con tutto ciò, il film non si discosta dal romanzo, si limita a renderlo per immagini intervenendo nella definizione dei personaggi, dei loro caratteri e attribuendo carne e ossa alle figure descritte dallo scrittore. Opera senza infamia e senza lode, il film ebbe anche qualche problema di distribuzione per via dell’argomento pruriginoso, la “Lolita” di Kubrick non è un film esaltante e come tale non appartiene alla migliore storia del cinema.

Si cita, per la cronaca, un remake nel 1997 per la regia di Adrian Lyne, su cui stendere pietoso velo. (mc)


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Re: Lolita
22/01/2016 Raffaele Santoro
Gentile Signora Luisa

la ringrazio per le sue belle parole e per gli apprezzamenti. Condivido pienamente il giudizio di "splendido romanzo" da Lei dato a "Lolita".

Fa sempre piacere vedere riconosciuto il valore di opere come questa che hanno fatto e fanno la storia della "grande letteratura" e che meritano, a tutt'oggi, di essere lette e apprezzate.

Buone letture e un cordiale saluto.

Raffaele Santoro


Re: Lolita
20/01/2016 DAPRI LUISA
Ringrazio Raffaele Santoro per avermi dato le parole e soprattutto i concetti e
le riflessioni che confusamente ho cercato nel leggere questo splendido romanzo.
Luisa Dapri


 
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