Moni Ovadia in “Il nostro Enzo…Ricordando Jannacci”

Sino al 10 gennaio all’Elfo Puccini Moni Ovadia interpreta, accompagnato al pianoforte da Alessandro Nidi, il suo particolarissimo omaggio a Enzo Jannacci. Un incontro di felici assonanze musicali, linguistiche e civili.

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Moni Ovadia ebreo, bulgaro di nascita, incontra Enzo Jannacci pugliese d'origine, milanese di nascita. Un bell’incontro all’insegna della lingua e della musicalità, nel recupero non banale né sciovinista del dialetto come forma basilare di comunicazione di una cultura.

Nel prologo dello spettacolo, Ovadia recita, non a caso, una poesia in siciliano di Ignazio Buttitta e un sonetto in milanese di Carlo Porta proprio a esaltazione del dialetto come lingua di appartenenza, di libertà e di identità.

Poi, per più di un’ora di orologio, parlano le canzoni di Enzo Jannacci, soprattutto quelle in lingua milanese che raccontano un mondo ormai lontano, fatto di povera gente e di dignità, di fabbriche e di puttane, di senza fissa dimora e di operai al tornio. Un mondo minimo, reso da Jannacci in modo esemplare per capacità di comprensione e di riproposizione. Una cifra artistica unica e irripetibile.

Del suo Ovadia ci mette la condivisione di una certa visione del mondo e l’esperienza consumata in mille e mille spettacoli in musica e in parola che lo hanno portato ora a misurarsi con “il grande, grandissimo Enzo”, come afferma nelle note che accompagnano la performance.

Una dietro l’altra, con il magistrale accompagnamento al pianoforte del maestro Alessandro Nidi, ecco “Andava a Rogoredo” e “Ti te sé no”, “Veronica” e “T’ho cumprà i calsett de seda”, “E l’era tardi” e “L’Armando”. Capitolo a sé per “El purtava i scarp del tennis”, eseguita con cadenze di canzone popolare greca, “Sei minuti all’alba” e “Vincenzina e la fabbrica” che racchiudono, più di altre, il messaggio artistico e umano di Jannacci, schierato dalla parte degli ultimi, anche perché per vivere, e per morire, “ci vuole dignità”. Il primo bis è affidato a una delle più belle canzoni mai scritte sull’infanzia e sulla memoria: “El me indirìss” racchiude una forza evocativa struggente e ironica, straziante e spiazzante. Un assoluto capolavoro.

In platea, tra gli altri, ad applaudire calorosamente, Paolo Jannacci.

Moni Ovadia che, malgrado le stesse frequentazioni milanesi non ha mai conosciuto in vita Enzo Jannacci, scrisse in occasione della sua morte queste parole:”Tutta questa sapienza confluiva nella sua inimitabile voce sguaiata e sul crinale precario della sua intonazione che dava vita a un capolavoro espressivo e stilistico. Jannacci è stato un caposcuola e il caposcuola di se stesso. Con lui se ne va la Milano più struggente e necessaria. Sarà difficile andare avanti”.

L’omaggio di Moni Ovadia a Enzo Jannacci è un bel passo avanti.

 



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