Quei buchi sui tetti di Città Studi

Balducci e Vago non danno risposte. Il nuovo campus della Statale a Rho ha un grande problema di finanziamenti. Intanto, però, è urgente provvedere su pezzi di Città Studi che letteralmnte fanno acqua.
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vago
Chi avesse cercato risposte sul futuro di Città studi ieri sera nel'aula consiliare del Consiglio di Zona 3 di sicuro è rimasto deluso. Eppure il terzo incontro organizzato sul tema d Gabriele Mariani, presidente della commissione urabanistica del Cdz, aveva due ospiti altolocati. Alessandro Balducci, transitato da Prorettore del Poilitecnico  a assessore all'urbanistica del Comune di Milano (dopo la repentina uscita del vicesindaco Ada De Cesaris) e Gianluca Vago, medico e rettore dell'Università degli Studi, protagonista della proposta, fin dallo scorso febbraio, di un trasferimento in massa dei dipartimenti scientifici della Statale nell'area Expo (ora post-Expo) di Rho-Pero.
La cifra degli interventi dei due protagonisti della serata è stata, parafrasando il cognome del rettore, piuttosto vaga.
Balducci, ripercorrendo la storia della vicenda, ha però spiegato che gli incontri sono in corso. Un tavolo presideuto dal ministro dell'agricoltura Maurizio Martina che ha sul piatto i tre ingredienti finora individuati del post-expo. Ovvero il sistema di laboratori di ricerca (invecchiamento, alimentazione, big data...) coordinati dall'Istituto italiano di tecnologia di Genova. Il secondo è il polo per le imprese innovative promossso da Assolombarda, il terzo è il nuovo campus della Statale proveniente da Città Studi.
Lo stato di avanzamento di queste discussioni deve essere ancora agi inizi. Qualche accenno, da parte di Balducci, è venuto sulla possibilità di allargare l'iniziativa dell'Iit (su cui il governo, per bocca del premier Renzi, ha promesso un miliardo e mezzo di finanziamenti in dieci anni) anche ai centri di ricerca milanesi. Ma non un accenno all'impegno più pesante: ovvero ai 500 milioni (stimati da Vago, ma forse anche ben superiori) per il trasferimento dei dipartimenti di Città Studi in un campus moderno.
Tutto sembra ancora fermo. Vago, dal canto suo, parla del progetto come connotato da "scarse probabilità di successo". In una situazione finanziaria dell'Università degli Studi di Milano "non florida". Mentre uno studente di I-light, intervenuto alla fine, lo dice chiaramente: "Città Studi sta cadendo a pezzi".
Parole forti, ma che non stupiscono troppo il rettore: " uno dei primi interventi in corso è rimettere a posto il tetto di Chimica e Biologia, dove ci piove dentro". E il nuovo edificio di informatica costruito a metà per il fallimento consecutivo di due aziende costruttrici, ma i cui lavori ora riprenderanno.
Vago sa bene lo stato dei dipartimenti intorno a Via Celoria. Ristrutturarli è possibile, ma con le attività didattiche e di ricerca in corso, è ben più difficile e costoso. E poi - dice - si tratta di strutture concepite in altre epoche - ordini di grandezza meno efficienti di come si realizza oggi un laboratorio avanzato. Altro esempio è farmaceutica,  in mezzo a palazzi residenziali, dove si rischiano problemi con le sue emissioni. Al punto che Vago, nel caso in cui il trasferimento a Rho non vada in porto, prevede di trasferirla nell'area libera di San Faustino un tempo acquistata dall'Università per la nuova sede di informatica.
E' tutta una rete di problemi, di edifici invecchiati, che da tempo ha portato l'università a stimare in 200 milioni i costi di ristrutturazione di Città Studi. Oggi, salvo informatica e l'urgente messa a norma di Chimica e Biologia, sono 200 milioni ancora in forse, data la prospettiva dell'area Expo.
Vista, fin dalla fine del 2014 (con il trauma della gara andata deserta per la vendita dei terreni Arexpo) come un'opportunità. Non dissimile da quanto hanno fatto e fanno gli altri atenei. Come la Bocconi con l'espansione nell'area dell'ex centrale del latte, la Cattolica sull'adiacente Caserma S. Ambrogio, e il Politecnico sulla Bovisa.
Il problema per la Statale è però che prevede un salto ben più ambizioso e radicale. Costoso di sicuro oltre le sue risorse interne (in parte impegnate sui progetti di manutenzione) e probabilmente non compatibile con le finanze pubbliche centrali.
Per questo Vago continua a sondare la strada europea. E forse non tanto quella del mitico programma Junker, affollato di mille richieste, quanto il tracciato dei fondi strutturali e delle infrastrutture di ricerca. Ma anche qui il percorso è lento, complesso, nebuloso.
C'è un grande problema di risorse, ma Vago non vede un problema in sè nel nuovo possibile campus. Di certo quello che lui definisce come l'argomento delle "due fermate di passante ferroviario in più", ovvero i disagi per studenti e docenti ad accedere da Lambrate a Rho. Qui gli è giunto in aiuto Balducci, ricordando l'aneddoto di "un docente di ingengeria che aveva appana comprato casa a Città Studi quando gli fu detto che doveva migrare alla Bovisa, ma dove avrebbe avuto un laboratorio di tutto rispetto e una camera del vento nuova. Entusiasta, si presentò il mattino dopo".
"Un campus nuovo, con attrezzature di ricerca allo stato dell'arte (non necessariamennte sun supercostoso acceleratore lineare) muove molto di più di due fermate di passante. E così la contiuguità con le imprese avanzate, dove trovare lavoro, dice Vago".
Già ma se non si trovano i soldi? Se non si trovano anche per evitare quello che Gabriele Mariani ritiene un'assurdità, ovvero quei 180 milioni stimati dalla Cassa Depositi e Prestiti come ammontare ricavabile dalla vendita ai privati delle aree e degli edifici universitari di Città Studi? 180 milioni ipotetici (metà della Statale è su edifici di un secolo fa, beni culturali vincolati) ma comunque segno di una "commercializzazione" troppo sbrigativa della più importante area scientifica del nord-Italia.
Insieme ai 500 milioni del nuovo campus l'abolizione di questi 180 milioni potrebbe significare (secondo incontro del ciclo Cdz) l'investimento anche a Città Studi in un nuovo campus, fatto di residenze studentesche, e ben più attrattivo dell'attuale, anche sul piano ambientale.
E poi il lascito della Città della Salute? Balducci si dice misteriosamente dubbioso sul futuro dell'opera concepita da Formigoni.  I lavori a Sesto San Giovanni, dice però Vago, sono in corso. La bonifica dei terreni anche se lentamente, procede, l'appalto costruttivo (alla capofila Condotte) assegnato. A fine 2016 cominceranno i lavori. Entro il 2020 sarà operativa. E gli edifici e spazi di Città Studi dei due istituti? Nessuno sa il loro destino.
Tanti, troppi tasselli mancanti. Motivo per restare con le antenne ben alzate.

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Re: Quei buchi sui tetti di Città Studi
03/12/2015 vz
Vago nelle parole non negli intenti da tempo pianificati


 
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