Il campus più bello d'Europa?
(Giuseppe Caravita)22/11/2015
C’è un futuro per Città Studi, anche nel caso che i dipartimenti scientifici della Statale, Besta e Istituto dei Tumori emigrino per altri lidi? A questa domanda, venerdì scorso, il secondo incontro sulle prospettive dell’area,organizzato dal Consiglio di Zona 3 (in particolare da Gabriele Mariani, responsabile della commissione urbanistica) ha cercato di rispondere. E ci è riuscito piuttosto bene, grazie soprattutto alla relazione introduttiva di Claudio Fazzini, docente del Politecnico di Milano e direttore del laboratorio di progettazione architettonica e paesaggio urbano.
Nel laboratorio, ha spiegato Fazzini, l’area di Città Studi già da tempo è sotto la lente di ingrandimento da parte degli studenti. E sono in corso almeno una quindicina di progetti, compresa un’accurata storia urbanistica dal progetto originario dei primi anni del secolo scorso (piano Beruto) e alle successive evoluzioni. E un censimento del verde, pianta per pianta. Insieme a possibili ipotesi di pedonalizzazione (Via Celoria e in parte i dintorni di Via Ponzio). Oltre, ora, al riuso degli edifici esistenti.
In pratica il lavoro in corso dentro il laboratorio di Architettura è una estensione dell’iniziativa, già avviata quattro anni fa, del campus sostenibile, con la sua visione di una Città Studi nettamente più a misura delle persone, con vie pedonali, verde e spazi comuni. Oggi però questo progetto si sta estendendo ai due grandi “blocchi” che la possibile emigrazione della Statale nell’area Expo di Rho libereranno, con una valutazione degli edifici esistenti, e ipotesi su di loro. Non solo e non tanto di demolizione. Tutto il blocco “storico” di Agraria, Veterinaria, Medicina e Matematica è infatti strettamente vincolato come bene storico-culturale. <Però, nota Fazzini – si tratta di edifici costruiti all’antica, solidi, con spazi interni ampi, persino più generosi in un possibile riuso come residenze per studenti o housing sociale>.
Qui traspare il filo conduttore del lavoro in corso da parte degli architetti. Trasformare la possibile area “vuota” di Città Studi in un sistema di residenze e servizi connessi, in un campus per accogliere gli studenti, fuori dal mercato attuale di affitti privati spesso esorbitanti. E con sistemazioni a pochi passi dalle aule.
In pratica Città Studi (sulle aree Besta e Int per ora non è possibile dire molto) diverrebbe in pratica un “tutto Politecnico”. Per forza di cose. Un campus però ripensato, ben più “abitabile”, attrezzato e gradevole per gli studenti. E attrattivo-competitivo per il suo ateneo centrale.
Possibile? Certo, se però venisse superato lo scoglio, piuttosto grosso, del finanziamento al nuovo polo scientifico della Statale a Rho-Expo. Nel migliore dei casi quest’ultimo costerebbe 500 milioni (ma le stime più realistiche vanno oltre) e almeno 180 milioni , secondo uno studio della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), dovrebbero venire dalla cessione a privati e a prezzi di mercato delle aree dismesse di Città Studi. Dove lo studio però esplicitamente omette di calibrare la cifra alla luce dei vincoli conservativi sulla parte “storica” degli insediamenti della Statale. 80mila metri quadri – spiega Fazzini - su 240 mila, quasi la metà.
Al netto, questi 180 milioni(o quanti saranno) è ben difficile che potranno essere sostenuti dal Politecnico per farne housing sociale (a basso costo) per gli studenti. Il nodo resta quindi irrisolto, uno dei tanti di questa vicenda. Nel frattempo studenti e docenti di architettura vanno avanti nel loro studio.
Si percepisce comunque il consenso sull’approccio dei progetti del laboratorio di piazza Leonardo. Lo manifesta Umberto Andolfato, anch’esso architetto e esperto di paesaggio, consigliato agli organizzatori dell’incontro da alcuni esponenti dell’opposizione. La scelta dell’housing sociale per Città Studi, dice, è quella giusta. Il mercato degli affitti va calmierato. Ci deve essere, nel caso di una riprogettazione della zona, una centralità per chi davvero la fruisce.
Certo, anche per superare il maggiore problema dell’area. Quella di vivere solo nelle ore centrali dei giorni lavorativi e poi trasformarsi un quasi deserto alla sera e nei giorni festivi. C’è bisogno di idee nuove qui. Come quella dell’urbanista Maria Cristina Treu, di creare un piccolo parco (almeno all’inizio) per attività artigianali ad alto valore aggiunto. Non necessariamente artigianali alla vecchia maniera, considerando che intorno a via Ampère già vi sono tre laboratori di “Makers”, tecnologi che realizzano prototipi per terzi con stampanti tridimensionali computerizzate. In ogni caso è necessaria anche una spinta su attività permanenti, che aiutino l’area a una vita più costante.
E già qualche segnale c’è. Come la presenza all’incontro di alcuni promotori del collettivo iLight, studenti e ricercatori di Città Studi, attivatisi in difesa dell’area e per renderla davvero il fulcro di investimenti sia urbanistici che tecnologici. <Noi ci viviamo ogni giorno – ha spiegato uno di loro, dottorando in Fisica teorica, alla fine dell’incontro – e non vogliamo emigrare a Nord di Milano. E’ Città Studi il posto che amiamo. Ed è vero polo scientifico e tecnologico su cui investire>.
E infine il rappresentante della giunta, PierFrancesco Maran, assessore ai Trasporti. Con un lungo discorso tutto politico, tutto in positivo, tutto sulla cifra del successo di Expo, e quindi sull’andiamo là. Ben diverso dal racconto fatto da Stefano Boeri nella prima puntata (il prezzo astronomico pagato da Comune e Regione per i terreni di Rho, la voragine del debito attuale di Arexpo, la necessità di inventarsi qualcosa dopo il disastro della tentata vendita ai privati nella gara andata destra nella scorsa primavera …). Su tutto questo Maran, come si dice, ha glissato. Accennando al suo generico accordo su una prospettiva di housing sociale per gli studenti. E all’avvio di un tavolo con le università, per la messa in cantiere di un progetto definitivo sulla nuova Città Studi. Con un comune regista, ma anche con la partecipazione dei privati. E ha avanzato l’ipotesi di imprese farmaceutiche (la sede della Bracco, per inciso, è a meno di due chilometri da Città Studi). Ma nulla di concreto.
Sono tanti i pezzi del puzzle che ancora mancano, come si vede. Il valore dell’incontro c’è stato. Soprattutto nel messaggio (strutturato) degli architetti: guardate che il cambiamento radicale della zona può diventare una grande opportunità. Per rendere reale il campus sostenibile e insieme fare di Città Studi quella che era un tempo, una delle aree più attrattive d’Italia (se non oltre) per scienziati, studenti e ricercatori.
Affitti abbordabili, verde, spazi ricreativi, culturali e sportivi, poche automobili, basso inquinamento acustico. Un mondo interessante anche per il quartiere circostante, con il suo 30% di anziani.
C’è quindi spazio per un progetto partecipato. Ma la condizione è che il governo trovi il mitico miliardo per finanziare il nuovo polo scientifico e innovativo di Rho-Expo (la soluzione dal disastro creato ai tempi da Bricchetto-Moratti, Sala e Stanca). Un miliardo che non è certo ritrovabile nelle pieghe di un bilancio pubblico ferreamente vincolato dalla commissione europea. Ma che potrebbe essere dentro il cosiddetto piano Juncker per stimolare la ripresa nel continente. E qui le trattative sono in corso.
In quest’ultimo caso sarebbe però bene che i cittadini di Città Studi spingessero perché almeno il 20-30% di questo progetto venisse riservato per il loro nuovo campus. Palazzinari-free.