Gestione creativa dei conflitti - II parte

Proseguiamo la pubblicazione degli articoli sulle problematiche della partecipazione, anche in vista della sperimentazione avviata dal Comune di Milano sul bilancio partecipativo.
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Mediazione II
Riprendiamo il nostro discorso dal libro “L’arte del negoziato” di Fisher, Ury e Patton e facciamo una precisazione: negoziato significa trattativa tra due o più parti senza mediatore. La mediazione prevede invece la presenza di una parte “terza”.
Arielli e Scotto sostengono giustamente
che dal punto di vista dei principi e del metodo di soluzione del conflitto
non ci sono differenze sostanziali, se non quella ovvia che un mediatore può facilitare il percorso.
Sulla figura del mediatore, che non sta né al di sopra né a metà strada tra le parti,
ma sta in mezzo a loro (in una posizione dunque non di equidistanza ma di equivicinanza, un po’ come il “giudice saggio” di cui abbiamo parlato nel precedente articolo), rimando al bel saggio di E. Resta “Giudicare, conciliare, mediare” nel libro di Scaparro (V. Riferimenti bibliografici).

Negoziato di posizione o negoziato “di principi”

Una trattativa di tipo tradizionale (che gli autori chiamano “di posizione”) può nascere da atteggiamenti “duri” e “morbidi”. L’alternativa ad essa dunque non è un atteggiamento conciliante, ma “di principi”.
Nel libro citato sono riportati una serie di esempi per chiarire le possibili soluzioni da adottare a seconda degli atteggiamenti che le parti assumeranno. Ad esempio “morbido” o “duro” , atteggiamenti che implicheranno una diversa modalità di rapporto con la controparte, se l'atteggiamento è morbido le parti si considereranno “amiche”, viceversa  “avversarie”, con l'atteggiamento “morbido” lo scopo da raggiungere è accordarsi, altrimenti è “vincere”.
Come si può notare, nell’ambito delle due modalità fondamentali di negoziato “di posizione” (dura e morbida) e della modalità innovativa “di principi”, sono quattro i temi che emergono come presenti (e spesso impliciti) in ogni trattativa concernente un qualche conflitto:
-il rapporto tra l’oggetto del contendere e i soggetti del conflitto;
-l’atteggiamento di fondo verso l’obiettivo della trattativa;
-il risultato cui si mira;
-i criteri e il metodo verso cui si è orientati per una soluzione della vicenda.
Vogliamo qui parlare solo del primo dei quattro punti.

Scindere le persone dal problema
La trattativa “posizionale” identifica la persona col problema. “La cucina è in disordine”: può essere la descrizione di un fatto oggettivo, ma non viene percepito come tale in un contesto di relazioni personali dove, ad esempio, il tono della voce sta dicendo “tu tieni la cucina in disordine”. La colpevolizzazione implicita indica che l’aspetto “personale” è occulto ma agisce lo stesso. Il risultato spesso è la lotta: o si vince o si perde. (E ci può essere anche l’atteggiamento “morbido”, di auto-colpevolizzazione: del tipo, hai ragione, io tengo sempre la cucina in disordine). I problemi personali, invece, “vanno trattati direttamente” e separatamente. Il principio generale è: le parti vanno portate attorno a un tavolo, messe faccia a faccia.
I tre elementi base dei possibili equivoci relazionali sono la percezione, l'emozione, la comunicazione.

La percezione
Faccio un esempio: la difficoltà e quasi impossibilità della pace tra israeliani e palestinesi deriva anche dal fatto che ciascuna delle due parti percepisce “dietro” l’altra il suo nemico storico, il fantasma del suo nemico mortale: Israele vede la Shoah dietro la lotta dei palestinesi, e questi vedono gli USA e l’Occidente imperialista dietro Israele. Ciascuna parte ha certo “messo del suo” nel rafforzare tali percezioni, ma il “ritiro delle proiezioni reciproche” ha potuto funzionare almeno parzialmente nell’accordo alla Casa Bianca del settembre 1993 (grazie allo straordinario lavoro preparatorio del ministro degli esteri norvegese che “costrinse” i plenipotenziari delle due parti a stare “faccia a faccia” per giorni e giorni, finché non raggiunsero l’accordo).
Ecco alcune regole proposte da Fisher & C: mettersi nei loro panni, “non deducete le loro intenzioni dalle vostre paure”, discutete le reciproche impressioni, fate gesti simbolici che “spiazzino” le percezioni proiettive (es. il viaggio di Sadat a Gerusalemme nel 1977), fate partecipare la controparte al processo di negoziazione fin da subito, fatela sentire co-protagonista della soluzione del problema, “salvatele la faccia”. Un’altra regola (di prossemica) consiste qui nel passare dalla posizione “faccia a faccia” alla posizione “fianco a fianco”: non siamo qui per fare un “confronto” tra persone, ma per collaborare alla soluzione di un unico problema (che idealmente è posizionato davanti a noi).

Le sette regole dell’arte di ascoltare, secondo Marianella Sclavi

1- Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.
2 - Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista.
3 - Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.
4 - Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico.
5 - Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze.
6 - Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.
7 - Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sé.

L’emozione
Su questo punto mi soffermo solo per dire che Fisher & C. ne parlano come di qualcosa che va preso in considerazione per “razionalizzarlo”: “riconoscete le emozioni”, “lasciate sfogare l’avversario” ma non cadete nella trappola della reattività emotiva e istintiva. Di positivo c’è il principio della reazione “controintuitiva” (cioè diversa da quella che verrebbe spontanea), però sulla questione del ruolo delle emozioni M. Sclavi ha una posizione piuttosto diversa e critica verso il libro L’arte del negoziato. Lei parla di “autoconsapevolezza emozionale”: la necessaria distanza dalla reazione emotiva immediata non dev’essere tale da non cogliere l’aspetto fondamentale delle emozioni come rivelatori di “cornici” culturali e di contesto esperienziale, nelle quali invece può davvero annidarsi una soluzione inattesa del conflitto (o almeno una comprensione della sua vera natura, com’è il caso dei conflitti di natura “interculturale”).

La comunicazione
Facciamo l’esempio del segretario gen. dell’ONU Kurt Waldheim che, giunto in Iran nel 1980 per trattare la liberazione degli ostaggi americani fatti prigionieri dai pasdaran di Khomeini, dichiarò appena arrivato: “Io sono venuto come mediatore per ottenere un compromesso”. Senza sapere che nella traduzione in persiano “compromesso” esiste solo nell’accezione di “danno perpetuo” (com’è nell’espressione nostrana “la sua virtù è stata compromessa”), e per di più la parola “mediatore” esiste solo nell’accezione di “intrigante”. Notiamo di sfuggita che Fisher & C. inseriscono a questo punto l’”arte di ascoltare”, e forse ciò è significativo come rivelatore della loro visione un po’ tecnicista-razionalista della soluzione dei conflitti (noi infatti abbiamo inserito l’arte di ascoltare tra la percezione e l’emozione…). Comunque, nella comunicazione resta certo importante la “chiarezza”. Una regola, che vale anche per il ruolo del facilitatore nei gruppi e per le tecniche riguardanti l’intervista e i focus group, è ripetere e far ripetere la posizione propria e dell’avversario: Mi dica se ho capito bene se riassumo la sua posizione in questi termini…



Riferimenti bibliografici
  • Arielli E., Scotto G., Conflitti e mediazione, Bruno Mondadori 2003;
  • Fisher R., Ury W., Patton. B., L’arte del negoziato. Per chi vuole ottenere il meglio in una trattativa ed evitare lo scontro, Corbaccio, 2005;
  • Scaparro F. (a cura di), Il coraggio di mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzioni alternative delle controversie, Guerini e Associati 2001;
Sclavi M., Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Le Vespe 2002.


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