Un libro al mese: Fratelli

Fratelli (1978) di Carmelo Samonà racconta una drammatica convivenza fraterna fuori dal tempo e dallo spazio. Una dolente metafora sull’incomunicabilità. (La Redazione) ()
fratelli samona

Due fratelli, di cui uno malato di una malattia senza nome, vivono da anni, in una grande casa, isolati e soli, immersi in un astratto presente. In quello spazio, rarefatto e privo di identità, si rinnova un'ostinata quanto sfuggente reciproca ricerca dell'altro, da entrambi messa in atto attraverso una trama di elaborati rituali fatti con il tramite di un loro personale alfabeto e volti ad alimentare la loro insidiosa quanto inscindibile relazione. Dietro il complesso gioco di asimmetrie fra il fratello sano nonché io narrante che assiste quello malato venendo a sua volta attratto da quest'ultimo nel suo mondo, si anima e si svolge, all'interno di “Fratelli”, una partita che oltrepassa la pura e semplice durezza di quella dinamica e si avventura in modo avvincente in un universo narrativo che sconvolge i confini e gli steccati che delimitano il sano dal malato, la normalità dalla follia e installa di fronte a noi l'intima opposizione e l'intima complicità di due esseri umani, l'uno di fronte all'altro, in relazione tra loro. In un'intervista, interrogato sul senso di questa sua opera, Carmelo Samonà ebbe a dire: “Non fu mia intenzione scrivere un'opera edificante nel senso della “malattia mentale” o della cosiddetta “nuova psichiatria”. “Fratelli” è semplicemente una storia, il racconto di un'esperienza di coppia in una situazione di malattia, vissuta in chiave fantastica. Se c'è un interesse in quel libro è nella testimonianza di una situazione umana in quanto racconto”. Il nucleo centrale di “Fratelli”, coerentemente alle intenzioni chiaramente espresse da Samonà, è quindi concentrato nell'esplorazione di quella interna tensione che agisce nei rapporti umani, immaginata in una situazione limite che si fa “spazio” narrativo che delimita e crea un “mondo”. Da quella situazione, tendenzialmente priva di possibilità espressive, in cui è proprio l'abbandono delle regole e delle forme del linguaggio che unisce e separa i due protagonisti, prende quindi vita quel “mondo”, fatto di una straordinaria densità e intensità emotiva, dove l'invenzione narrativa si rende capace di dire le continue invenzioni e reinvenzioni a cui quella relazione conduce e obbliga.

E' un tessuto fatto di cuciture e strappi, di silenziose epifanie e di sorde lacerazioni, di avvicinamenti e fughe, di bisogno dell' altro e di paura dell'altro. Perchè in quella relazione così estrema si consuma la messa in scena di quel desiderato e, al tempo stesso, temuto incontro con l'”altro da sè” che è il mistero che ogni relazione porta con sé. Attraverso il resoconto di quella quotidianità imprevedibile quanto uguale che il fratello sano redige per cercare di dare e darsi una residua razionalità, nell' illusoria possibilità di sottrarsi “alla lotta e, dunque, di controllarla da fuori” veniamo portati dentro quella fitta partitura di azioni e reazioni in cui mai nulla si sedimenta e tutto si amplifica , come un mosaico eternamente sconnesso eppure eternamente in movimento. Se infatti il fratello sano si affanna nel tentativo di tenere insieme le tessere di quel mosaico, il fratello malato si rinserra in quella sua elusiva presenza, facendosi capriccioso tiranno e insieme evanescente oppositore. A suo modo forte nella e della sua debolezza, che lo rende capace di irridere gli sforzi del fratello. Il quale, a sua volta, lo osserva, lo studia, ne cerca di penetrare le logiche ma invano perché il solipsismo nel quale egli vive induce solo interrogazioni che non hanno risposta, laddove egli svuota la realtà e ne crea un'altra che inficia con i suoi sottintesi quella del fratello sano. L'inevitabile conflitto si carica di pulsioni aggressive e di perentori rifiuti in cui l'uno si fa inesorabile nemico dell'altro, in un continuo sovvertimento di ruoli fra persecutore e vittima. Ma la reciproca difesa della propria integrità non ha alcuna possibilità di risolversi sul piano “linguistico” perché le lingue che vigono tra loro sono basate su codici intrinsecamente differenti. Ed è sempre e solo fuoriuscendo da quel piano che si può ritrovare un affratellamento, perché vivere nella scissione è dolorosissimo e l'istinto di ritrovarsi è più forte di quello di perdersi. La ricerca dell'altro si fa perciò ricerca di percorsi liberatori attraverso i quali ristabilire la fusione e restaurare la pace prima di tutto con se stessi. E in quei momenti mentre l'uno si separa “con parole adeguate, dal personaggio nemico che affermo di avere allontanato da me” nell'altro “La sua morsa, lentamente, si scioglie, lo sguardo si distende, e ci sdraiamo per terra vicini, restando immersi a lungo in un grande silenzio” e così “ci ritroviamo spesso affiancati, entrambi vittoriosi di antagonisti che erano in noi” E' quindi in quell' abbraccio simbolico che ci si può finalmente abbandonare e abbandonandosi ritrovarsi con sé e con l'altro. Quello stesso abbraccio condiviso con quella donna conosciuta in una di quelle loro passeggiate con cui si conducono in quei giardini che sono proiezione e prolungamento della casa. E in quell'habitat a loro estraneo in cui si muovono da estranei avviene quell'incontro in cui un terzo, appunto quella donna, si insinua nella coppia. Nel resoconto ella si fa incarnazione di “una felicità breve ma intensa” giacché quella donna era capace non solo di realizzare quell'abbraccio ma di unificare con esso tutti i suoi linguaggi: “Ho motivo di credere che la donna non avesse, come le avevo io, due lingue diverse destinate alternativamente a mio fratello ed a me, ma una sola;...che fungeva da molte lingue, o almeno spiegava una potenza pari a quella delle nostre due lingue sommate;...e quando sembrava esaurita ogni scorta di segni figurati o vocali ricorrendo all'abbraccio. L'abbraccio era il segno infimo e anche supremo di questa lingua”. Ma quella donna capace di sciogliere il conflitto e ricomporre l'unità vive ormai in un indistinto passato. Impalpabile nell'apparire lo è anche nell'evocazione che abbiamo del suo dileguarsi, di cui rimane “il desiderio di cosa remotamente posseduta e goduta”. L'incanto di quell'abbraccio vittorioso nella lotta col disordine, con tutto il disordine del mondo, non può che essere e rimanere un desiderio. La ricerca dell'altro e il conflitto che ne deriva è un moto destinato a perpetuarsi, un territorio da conquistare e riconquistare continuamente ma impossibile da pacificare per sempre. E l'aspirazione di trovare la chiave per conoscere e capire il fratello sarà destinata a fallire così come quella di afferrare la chiave per stabilire un qualche tipo di rapporto col mondo. “Fratelli” è uno dei più bei romanzi del nostro Novecento, così come Samonà è stato uno dei nostri più grandi scrittori, entrambi, oggi, colpevolmente dimenticati, tanto che questo libro non è attualmente disponibile nel catalogo della casa editrice che per ultima l'ha editato. Ma consiglio, ricorrendo ad altri canali: biblioteche, usato, ecc., di cercarlo e di leggerlo perché “Fratelli”è un romanzo di un’ intima e struggente bellezza, fatta da quelle sue infinite sfumature, rese da una prosa eterea e poetica, capace di produrre una inverosimile poliedricità introspettiva.



(Raffaele Santoro)


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