LAIGA e Vita di Donna su Mozione Tarabella: 'aspettiamo il voto positivo'

Diritto all'aborto: il 9 marzo il voto del Parlamento europeo: “Ma questa volta teniamo gli occhi aperti, il Pd non deve tradire le donne”

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”Siamo seriamente preoccupate di quello che sta per succedere in ambito europeo, l'europarlamento sarà infatti chiamato il 9 marzo a votare una risoluzione sulla libertà di aborto e contraccezione (risoluzione Tarabella). E abbiamo paura di come si comporteranno i rappresentanti del Pd in Europa”. La presidente di Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi per Applicazione Legge 194/78) Silvana Agatone introduce così la conferenza stampa indetta insieme all'associazione Vita di Donna “per non permettere che il Pd tradisca nuovamente le donne”.
Agatone si riferisce a quando nel dicembre del 2013 la risoluzione presentata dall'eurodeputata socialista Edite Estrela "salute e diritti sessuali e riproduttivi" fu bocciata per soli 7 voti: 334 contro 327.
“E 6 di quei voti, voglio ricordarlo ancora una volta, erano degli eurodeputati Pd. E rifacciamo anche i nomi: Silvia Costa, Franco Frigo, Mario Pirillo, Vittorio Prodi, Patrizia Toia, e David Sassoli. Quest'ultimo in quella occasione disse anche che aveva votato così perché 'voleva difendere la legge 194'”.
Dal punto di vista procedurale la risoluzione Estrela non fu nemmeno votata perché si esaminò un ordine del giorno del PPE appoggiato da tutti i gruppi clericali, reazionari e neo nazisti dell'emiciclo di Strasburgo, che è passato per sette voti con l'astensione degli eurodeputati sopra citati, di fatto impedendo che la risoluzione Estrela approdasse in aula.
 
Secondo Agatone la situazione europea non è rassicurante dal punto di vista dell'obiezione di coscienza e peraltro già prima della risoluzione Estrela c'era stato un altro tentativo di regolamentazione da parte dell'Europarlamento. La laburista inglese Christine McCafferty aveva infatti presentato nel 2010 al Consiglio d’Europa una proposta contro “l’uso sregolato dell’obiezione di coscienza” che nel 2012 fu bocciata e al suo posto fu approvato un documento “che tutela ancor più il diritto all’obiezione di coscienza” puntualizza Agatone.
“Ora ci risiamo - prosegue - il 9 marzo gli eurodeputati sono chiamati ad esprimersi sulla c.d. Risoluzione Tarabella dove invece si ribadisce: "Il Parlamento europeo (...) insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all'aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l'accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva".
“In occasione di quel voto è importantissimo vigilare perché non si ripeta quello che è successo nel dicembre 2013 con la risoluzione Estrela”, aggiunge Agatone.
 
Poca visibilità sui media nazionali ha avuto la Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche (FAFCE) che, con la parola d'ordine 'No all'aborto', si è attivata raccogliendo in pochi giorni circa 50 mila firme, proprio per dichiarare la propria opposizione al testo introdotto da Tarabella.
“Dopo questa grande mobilitazione, il rischio che i deputati del Pd votino contro è alto” sottolinea la presidente Laiga, “Infatti, come si legge su Avvenire, 'L'obiettivo della Fafce è ora sollecitare i membri del Parlamento europeo a riaffermare, nel voto atteso per il prossimo mese di marzo, la posizione già adottata nel dicembre 2013, quando essi rigettarono la cosiddetta risoluzione Estrela sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi'".
“Alla luce del fatto che l'obiezione di coscienza è in continuo aumento nel nostro Paese e in alcune regioni si raggiunge anche il 91% - conclude Agatone - l'importanza di una normativa europea adeguata in materia è vitale: rappresenta l'ultimo baluardo al quale le donne possono appellarsi per il riconoscimento dei propri diritti sessuali e riproduttivi, qualora in Italia non fossero riconosciuti loro”.
 
E questo spesso non avviene e l'obiezione di coscienza è interpretata da coloro che la invocano anche quando per la legge 194/78 non sarebbe prevista. Ad esempio non si potrebbe invocare per quanto riguarda la somministrazione dei contraccettivi, anche quelli d'emergenza, come la pillola del giorno dopo. Come testimonia l'attività frenetica dell'associazione Vita di Donna presieduta da Elisabetta Canitano, che con un numero telefonico attivo tutti i giorni, risponde continuamente e offre aiuto e consulenza gratuita alle donne, oltre a prescrivere il contraccettivo d'emergenza con il servizio S.o.s pillola del giorno dopo: “Mi telefonano da tutta Italia, forniamo assistenza, sostegno, informazioni, spieghiamo i diritti, spesso parliamo anche con i medici che non vogliono prescrivere la pillola del giorno dopo spiegandogli il quadro di riferimento legislativo. A volte mi chiamano donne che vogliono abortire ma nel loro ospedale di riferimento trovano solo porte chiuse e non vengono indicate loro nemmeno altre strutture dove fare l'Ivg – spiega Canitano - Vengono letteralmente abbandonate. Noi con Vita di Donna cerchiamo quindi di trovargli una struttura dove possano interrompere una gravidanza indesiderata. Ci sono poi donne che si ritrovano costrette ad abortire per il feto ha gravi, se non gravissime malformazioni ed è destinato a morire poco dopo il parto o a sopravvivere ma con una disabilità quasi totale e anche in quel caso si trovano spesso di fronte medici che invocano la clausola di coscienza. E questo per le donne è uno shock, dover abortire un figlio desiderato, e dover anche lottare per riuscire a farlo” - puntualizza Canitano.
 
“In Italia la rete dei consultori pubblici ha subito dei duri colpi - spiega ancora la ginecologa - sia dal punto di visto operativo sia nella sua funzione teorica: non siamo più convinti a livello nazionale del ruolo che devono svolgere i consultori e quindi alla fine sono le donne a pagare, in termini in mancanza di conoscenza dei servizi, di mancanza di rispetto dei loro diritti, il fatto che la sanità pubblica non le sostiene adeguatamente. Per darvi l'idea di un diverso approccio: in Francia il ministro della salute si chiama Ministro della Salute, del Welfare e dei Diritti delle donne” conclude la presidente di Vita di Donna.
 
Fonte: http://www.noidonne.org/blog.
23 Febbraio 2015
 
 
 
 

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