"Milano 1946, delitti a Città Studi"

Angela Vezzani intervista Fulvio Capezzuoli, autore del romanzo poliziesco totalmente ambientato in Città Studi, nella Milano del dopoguerra. ()
capezzuoli
Sono qua insieme al mio simpatico amico Fulvio Capezzuoli del quale è uscito in questi giorni in libreria, il romanzo Milano 1946, delitti a Città Studi  Ne approfitto per fargli  qualche domanda.

D. Dopo aver pubblicato tre saggi sul cinema e due romanzi storici, questo è il tuo primo poliziesco, ma perché proprio Città Studi come location del tuo nuovo lavoro?

R: Città Studi è per me quasi un” luogo sacro”, perdonami la battuta. Pensa che mio nonno fu, con mio padre e i suoi fratelli, il primo inquilino ad abitare la grande casa di via Ampère, di fronte alla piscina Guido Romano, nel 1930. I miei genitori vissero poi in largo Rio de Janeiro, prima di trasferirsi in via Bazzini, e lì, dopo sei anni di matrimonio durante i quali non erano riusciti ad avere figli, al primo bombardamento aereo di Milano, probabilmente per lo spavento, mia madre rimase incinta. Poi si dovette abituare alle bombe, perché non ho avuto fratelli. Sfollammo quindi in Valtellina, ma al ritorno a Milano, nel 1945, non avevamo più una casa e, come il commissario Maugeri, protagonista del mio romanzo, fummo ospitati da mio nonno, per oltre un anno, e più tardi, quando mi sposai, trovai un appartamento proprio nella grande casa di via Ampère, dove viviamo tuttora.
Se non è un percorso di vita a Città Studi questo…

D. Ma quando racconti la Milano di quegli anni, su cosa basi la tua narrazione? Eri troppo piccolo al tempo, per avere dei ricordi.

R. Avevo quattro anni, ma molte cose che ho vissuto in quei tempi, sono rimaste ben impresse nella mia mente. Giravo per la città, accompagnato da mio nonno o dai miei genitori, e gli sfregi della guerra mi colpivano profondamente, anche perché i “grandi”, parlando fra di loro, sottolineavano il fatto che un certo palazzo fosse crollato sotto le bombe, e un altro no. Ho un ricordo preciso di piazza Leonardo da Vinci di quei tempi. All’angolo con via Spinoza, dove oggi sorge una brutta chiesa, c’era un cratere molto profondo, ormai sgombrato dalle macerie, dove i ragazzini del quartiere si recavano a giocare. Passavo con  mia madre, e devo dire che guardavo con invidia il divertimento di quei mie quasi coetanei (in realtà erano un poco più grandi di me), ma mia madre, severamente, mi faceva notare il pericolo al quale mi sarei esposto scendendo in quella buca. In effetti si sentivano ogni tanto narrazioni di incidenti che gli ordigni bellici inesplosi provocavano ancora.     

D. Anche in via Aselli si svolgono avvenimenti molto importanti per la tua storia. Hai ricordi precisi anche di quella zona?

R. Dimenticavo di dirti che lasciammo la casa dei miei nonni nel 1948, trasferendoci proprio in via Aselli, dove ho abitato fino al matrimonio. Sono quindi ricordi, ma di anni successivi, anche se il numero civico 6, cuore della vicenda che narro, lo descrivo così com’era, perché lo frequentavo, in quanto vi abitavano alcuni miei amici. La vicina chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, che cito anch’essa nel romanzo, fu per qualche tempo, quando ero più grandicello, un luogo dove mi recavo la domenica mattina ad aspettare alcune mie compagne di scuola all’uscita della messa. Lo considero ancora oggi, con malinconia, il luogo delle mie “Jeune filles en fleur”.     

D. Venendo invece al tuo lavoro, come mai dopo saggi sul cinema e romanzi storici sei passato al genere “giallo”? Una scelta, diciamo così, commerciale, perché è un genere che tira?

R. Ho scritto questo romanzo di getto in quindici giorni, e ti assicuro che, mentre lo scrivevo, non pensavo a quel che sarebbe accaduto poi. Il protagonista, il commissario Maugeri, era nato per un raccontino che avevo pubblicato tre anni orsono e, da subito, mi era risultato molto simpatico, per questo suo essere stato partigiano, e aver pagato poi la scelta, con un successivo ridimensionamento della carriera. Ma lui non si arrendeva e continuava, come in questo romanzo, le sue indagini. Un tipo tosto.

D. Ma dopo questo romanzo so che ne hai scritti altri tre, sempre con lo stesso protagonista. Si svolgono anche questi a Città Studi?.

R. Nel secondo romanzo, ho fatto trovare casa al commissario Maugeri in viale Romagna. Nel quarto avviene un omicidio per strada, in via Guido Reni, quasi all’angolo con piazza Guardi e il testimone del delitto è un bambino che abita in quella via, e frequenta la scuola elementare di viale Romagna, guarda caso quella che ho frequentato io. Però mi sembrava eccessivo ambientare tutte le storie a Città Studi. Qualcuno avrebbe potuto chiedersi: “Ma era così pericolosa in quegli anni la nostra bella zona.” Sì, perché i romanzi successivi, si svolgono in ordine cronologico, negli anni 1947 e 1948. Comunque in tutti e quattro, il commissario deve passare purtroppo in piazza Gorini, perché l’Istituto di Medicina Legale è situato lì.

D. Cosa resta del romanziere storico in questi quattro polizieschi?

R. In tutti e quattro i romanzi, ho inserito degli agganci alla Storia con l”S” maiuscola, proprio perché mi veniva spontaneo, anche in questi lavori metterci un po’di ricerca e intrecciare la trama poliziesca con fatti realmente accaduti e personaggi realmente esistiti. Al termine di ciascun romanzo ho scritto una nota dove definisco ciò che nel testo è inventato, e ciò che è reale.

D. Ma non è che questa incursione nella Storia (con l’”S” maiuscola , come dici tu), spezzi il ritmo di un “giallo” che con la sua trama, dovrebbe avvincere il lettore, senza divagazioni particolari.

R. Secondo me, la Storia si inserisce correttamente nella storia ed è elemento portante della trama poliziesca. Comunque saranno i lettori a decidere se il romanzo è ugualmente avvincente.

D. Te lo auguro Fulvio, per me è stato così.


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