A teatro e al cinema…a piedi: Il vizio dell’arte

Al Teatro Elfo Puccini va in scena sino al 16 novembre il dramma di Alan Bennett costruito intorno a due grandi uomini di cultura che avevano il vizio dell’arte.

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Il vizio dell arte
Sostengono gli esperti che si tratti di “teatro nel teatro” quando sulla scena teatrale va in scena la rappresentazione di una rappresentazione teatrale.
Il vizio dell’arte è una sublime esercitazione di “teatro nel teatro” laddove si immagina che una compagnia teatrale inglese metta in scena l’incontro estemporaneo fra due grandi protagonisti della cultura inglese del ‘900, che duellano sino allo sfinimento sul senso dell’arte, della vita e della morte.
I due personaggi sono il poeta plurilaureato Wystan Hugh Auden (classe 1907) e il compositore Benjamin Britten (classe 1913) che, da giovani si sono realmente conosciuti e frequentati, per perdersi poi di vista per sempre, nella realtà.
L’azione è ambientata nel 1972, un anno prima della reale morte di Auden.
Il dramma immagina che i due grandi artisti si incontrino nello squallido appartamento di Auden a Oxford, dove il poeta di Funeral Blues trascorre in sciatto disordine i suoi ultimi anni di vita, orinando nel lavandino e offrendo agli ospiti improbabili biscotti stantii. Tra i grandi poeti di casa nostra come non pensare a Sandro Penna?
Auden è omosessuale dichiarato, militante verrebbe da dire, inacidito da mille battaglie per la sopravvivenza e per l’affermazione di se stesso. Britten, anch’egli omosessuale, dimostra maggiore distacco signorile in un evidente status sociale più confortevole e riconosciuto.
Le schermaglie tra i due sono caustiche, le parole sono sferzate che lasciano il segno, i due praticano un sottile esercizio di stile che li porta ad analizzare il loro rapporto esistenziale con l’arte e la creatività.
Tra i due, il più velenoso e incattivito è Auden, le sue battute sono al vetriolo mentre Britten è più compassato e meno disincantato e disinibito nel suo essere omosessuale.
Il compositore sta lavorando a quella che sarà la sua ultima opera, la trasposizione musicale di La morte a Venezia di Thomas Mann, in pieno travaglio per le figure dei protagonisti e le loro implicanze umane e psicologiche. Auden, in piena crisi creativa invece, vorrebbe scrivere il libretto dell’opera lui che di Mann è stato genero avendone sposato la figlia Erika solo ed esclusivamente per permetterle di abbandonare la Germania hitleriana (1935). Giusto per la memoria, si ricorda che il film Morte a Venezia di Luchino Visconti è del 1971.
Il racconto lungo di Mann diviene il pretesto per affrontare ancora una volta i temi della libertà di espressione e della creatività, in una società ancora sufficientemente gretta e conservatrice per poter accettare la libertà che solo l’arte riesce ad esprimere.
Nel “teatro nel teatro” Ferdinando Bruni è un cinico Auden, mentre Elio De Capitani interpreta le insicurezze di Britten. I due duellano di spada come nei tempi migliori. Con loro si esprime un coro di voci e di gesti ben ritmati da Ida Marinelli, Alessandro Bruni Ocaña, Vincenzo Zampa, Umberto Petranca, Michele Radice e Matteo De Mojana (al pianoforte).
La regia è dello stesso Bruni con Francesco Frongia che è ormai entrato in pianta stabile nella famiglia degli Elfi. L’autore è  Alan Bennett, uno dei massimi scrittori inglesi dei nostri tempi,  a cui si deve, tra l’altro,  quel The History Boys che è stato un grande successo del Teatro dell’Elfo in questi ultimi anni.
Il “teatro nel teatro”, proposto durante le prove dello spettacolo, diverte con le sue incertezze e con le sue esagerazioni, gioca con gli spettatori e valorizza appieno la complicità evidente tra gli attori.
Come si diceva un tempo, risate sonore, applausi a scena aperta e alla chiusura del sipario (anche se, in questo caso, il sipario non esiste).
Se si deve trovare qualche piccolo difetto, ci si può rifare alla lunghezza dello spettacolo (ben oltre le due ore), che implica qualche pausa fisiologica, e al finale un po’ difficoltoso. Ma come si sa, gli attori, durante le prove, provano e riprovano per rispettare il ritmo e per scegliere se chiudere in battere o in levare.
Lasciatevi sedurre dal vizio dell’arte. E’ il meglio vizio che c’è.

(La Redazione)

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