Milano. Musica. Mondo: Bombino. La rabbia del Tuareg elettrico

Un grande interprete della musica contemporanea. Di recente ha suonato in numerosi concerti in Italia. ()
bombino

Nomade per nascita, ribelle in fuga, combatte per i diritti dei Tuareg del Niger (e non solo) con la chitarra elettrica a tracolla, novello Woody Guthrie, poeta hobo degli altèri “alle buone regole” negli Stati Uniti della Grande Depressione. La sua musica è un sand-blues (ancora l’America, quella degli’80 del ‘900 dei Dream Sindacate, dei Giant Sand, dei Gun Club, dei Thin White Rope) che si consuma tra la sabbia del Sahara, tra arpeggi circolari e voci ipnotiche. Tutto per raccontare in tamasheq, lingua originaria degli uomini blu del deserto, le rivendicazioni politiche di un popolo oppresso dai diktat dell’integralismo e dei poteri economici internazionali che delineano i confini. Lui è Omara Moctar, in arte Bombino, 34enne chitarrista nigeriano con storie da raccontare: infanzia in esilio con la sua tribù in Algeria; l’incontro casuale con il regista Ron Wyman che gli dedica un documentario e gli produce il primo disco; Agadez, nome della sua città natale; la nuova fuga in Burkina Faso (così venne rinominato l’Alto Volta nel 1980 dal mai dimenticato Che Guevara africano, quel Thomas Sankara che diffuse l’acqua, la cultura ed il lavoro in ogni dove di quel meraviglioso paese) dopo l’uccisione di due membri della band in una rivolta; quindi Nomad, nuovo disco realizzato nel 2014 con la supervisione di David Byrne mentore delle furono “teste parlanti”. Nomad “si diceva”. Quando “Amidine” apre non si può far altro che lasciarsi trascinare dal vento caldo del deserto, con i suoni tipici di chitarre psichedeliche. Bombino unisce le caratteristiche armonie arabe, fatte di scale minori armoniche (“Ahulakamine Hulan”, “Adinat”) alle strutture convenzionali della forma canzone occidentale (“Niamey Jam”); cerca di mantenere lo scheletro metrico dei vocalismi arabi inserendolo nel contesto rock-blues di matrice americana (“Her Tenere”, “Tamadine”, “Azamane Tiliade”) del 1960-’70 così come del blues delle origini. E poi il cantato in Tamasheq, la lingua della confederazione tuareg che nasce nell’area attorno a Timbuctù nel Mali. In effetti Bombino si definisce un suonatore e compositore di desert-rock ed è fantastico pensare come il cerchio si chiuda, come l’Africa torni a casa alla ricerca delle radici e come noi ascoltatori rimaniamo ammaliati dalle origini, dalla genesi, come bambini stupiti di tale semplicità. I tentativi riusciti di unire psichedelica a etno-music (“Zigzag”), accompagnati dalla etiope “Imuhar” –con lo xilofono tributo al maestro Mulatu Astatke- e la morbida ballad di “Tamadine” completano questo tesoro del deserto, che colora il cielo di brillanti tonalità crepuscolari. Intensi profumi e speciali sfumature caratterizzano a tutto tondo la sua musica. D’altro canto di cose da raccontar/suonando, attraverso questo primigenio blues, i Tuareg ne hanno. Come ci aveva raccontato Martin Scorsese con il suo “Dal Mississippi al Mali” del 2001, esplorando la filiazione diretta che lega la musica del Delta alle musiche e alle storie orali del Sahel. Ed in tempo di guerre è giusto chiudere ricordando il magnifico concerto per la pace tenuto insieme alla tuareg-band Tinariwen sotto la moschea di Agadez nell’estate 2013, dove liriche e utopia si sono fuse insieme grazie alla travolgente forza della musica.


(Amerigo Sallusti)



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