Sia lode ora a uomini di fama: Faustino Boioli
(Massimo Cecconi)15/06/2014
Ci puoi presentare l’associazione Medici Volontari Italiani?
La nostra è un’associazione di volontariato. Il termine “volontariato” è abbastanza oscuro perché molti lo interpretano come una dichiarazione di non remunerazione dei collaboratori. In realtà, il termine è usato anche da chi ha una attività legittimamente retribuita.
La nostra attività, invece, è svolta da persone, medici e non, che sono volontari puri, al punto che non ci riconosciamo neppure un simbolico rimborso spese.
Siamo ormai attivi da quasi 15 anni e abbiamo operato a lungo, e stiamo ancora operando, con due Unità Mobili, una delle quali, tutte le sere dei giorni feriali, opera nell’area della Stazione Centrale, che è uno dei luoghi di riferimento per la popolazione delle persone gravemente emarginate. La seconda Unità Mobile è fissa presso Il pane quotidiano di viale Toscana, un’associazione milanese laica di antichissima tradizione, dove andiamo almeno due volte alla settimana. Soprattutto il sabato, perché da lì passano più di 2000 persone.
Questa attività di medicina di strada è però un po’ frustrante per i medici perché il contatto con i pazienti rimane occasionale, epidermico, ed è difficile stabilire un rapporto che possa consentire una continuità terapeutica. Anche per questo motivo, abbiamo deciso di aprire un poliambulatorio in via Padova, giusto poco dopo il ponte ferroviario. Il nostro poliambulatorio sta aprendo in questi giorni e tutte le prestazione sono assolutamente gratuite.
Le Unità Mobili sono gli strumenti per andare verso quelle persone che difficilmente accedono alle strutture sanitarie che, spesso, sono ritenute da loro “pericolose”.
Per le Unità Mobili ci avvaliamo anche di persone che vengono dalla Protezione Civile e che possono aiutare i medici durante gli interventi. Sul tema della sicurezza, posso assicurare che in 15 anni non abbiamo mai subito un atto di ostilità pur operando in una realtà di complessità estrema.
A Milano i nostri medici sono circa 40 e operano nei turni a seconda della loro disponibilità. Abbiamo poi un piccolo gruppo di medici oculisti che svolgono attività specialistica in Madagascar, dove esiste un nostro presidio presso una struttura religiosa.
Sono previste due “missioni” all’anno, dopo aver formato un medico locale a cui abbiamo pagato gli studi per ottenere la specialità. Durante le “missioni” viene fatto un lavoro molto intensivo, quest’anno sono già state fatte oltre 400 , da cui derivano almeno 130 interventi prevalentemente per rimuovere la cataratta, perché in quella zona è molto diffusa la cataratta giovanile. Ci sono poi anche forme di patologia oculare legate all’alcolismo, per via di certi intrugli che vengono ingurgitati.
Abbiamo anche una struttura organizzativa in Ruanda dove abbiamo costruito, finanziato e gestito un dispensario materno-infantile, che ora è passato in gestione al governo ruandese. Ora abbiamo in corso un progetto di pianificazione familiare. Il Ruanda ha infatti un problema drammatico legato all’aumento della popolazione, oltre ai x problemi derivanti dagli strascichi del genocidio che ancora rendono insicuro il confine con il Congo.
L’indice di fertilità della donna è intorno a “5” (ogni donna in media partorisce 5 figli), il che comporta il raddoppio della popolazione ogni 30/40 anni.
Il Ruanda è uno stato piccolo e povero che importa il 40% di quello che consuma. Oggi ha 11 milioni di abitanti, con il rischio che in futuro si creino tensioni gravi e si ricorra magari alla violenza per ristabilire una popolazione compatibile con il territorio.
All’interno di un protocollo internazionale, abbiamo formato infermieri ruandesi che sono in grado di gestire tutte le procedure necessarie per l’uso e la distribuzione di anticoncezionali di lunga durata, perché nel terzo mondo “la pillola” ha fallito completamente. Si tratta di sistemi semplici e reversibili, per cui la donna può tornare a procreare quando vuole. L’aborto è previsto solo eccezionalmente, nei casi di grave patologia della donna con rischi reali per la vita.
La vostra nuova sede è in via Padova. È stata una scelta voluta o casuale?
Abbiamo scelto di venire qui anche perché per motivi del tutto occasionali, le grandi organizzazioni che si occupano del settore dell’emarginazione, in particolare degli immigrati, si collocano tutte nel centro-sud della città. Dal centro al nord non c’è molto, salvo l’Ambulatorio medico popolare.
La scelta di questa sede è stata fatta scientemente perché questa zona è fondamentale per chi si occupa della multietnicità a Milano. Forse la conflittualità presente in questa zona è stata un po’ enfatizzata, esistono certamente zone peggiori. Qui è stata recentemente organizzata una manifestazione dal titolo “Via Padova è meglio di Milano” perché esiste l’orgoglio di tutti i residenti, italiani e stranieri.
Il nostro ambulatorio ha come riferimento il territorio, ma accogliamo chiunque venga da Milano e anche da fuori città. L’accesso al servizio è diretto, abbiamo anche un piccolo panel di prestazioni specialistiche, anche se rimane fondamentale indirizzare le persone che hanno bisogno nel canale delle prestazioni del Sistema sanitario nazionale, altrimenti si creano isole di autoesclusione e anche di “furbizia” per evitare le lungaggini burocratiche delle strutture pubbliche. Bisogna sapere che la sanità lombarda gode certamente di salute minore di quanto non si voglia far credere, ma occorre anche evitare cortocircuiti che andrebbero anche a discapito degli utenti “normali”. Rimane aperto il problema del ticket, la cui esenzione comporta procedure molto complesse.
Chi sono le persone a cui prestate i vostri servizi sanitari?
I nostri utenti sono persone che per qualsivoglia motivo sono escluse dalle cure sanitarie pubbliche.
Nei fatti noi sostituiamo il medico di famiglia a cui si aggiungono alcune specialità (ginecologia, pediatria, ortopedia, psicologia, psichiatria e dermatologia), per i casi più difficili.
Anche altre organizzazioni sono molto indirizzate verso gli immigrati irregolari, noi crediamo che esista ormai “ un’area grigia” anche nella popolazione italiana che non è rappresentata dai soliti “barboni”, che sono degli autoesclusi per definizione. Esistono persone in condizioni psicologiche ma anche “tecniche” con grande difficoltà di accesso al sistema sanitario. Un tempo si parlava della “casalinga di Voghera”. Oggi si potrebbe parlare del “negoziante di Voghera” che si è separato dalla moglie, è uscito di casa, ha perso il lavoro e si trova per strada a “Voghera” dove tutti lo conoscono in una realtà che non possiede servizi per le persone nella sua condizione. E naturalmente perde il contatto con il medico di famiglia e con le strutture sanitarie del suo territorio. Se hanno bisogno di cure, queste persone vanno nelle grandi città dove gli è garantito l’anonimato.
In questo periodo ci stiamo occupando dei rifugiati siriani (a Milano ne sono passati circa 10.000) ed eritrei (stimati in almeno 2000). Questi ultimi presentano patologie complesse spesso legate al viaggio periglioso che hanno dovuto affrontare per arrivare in Italia. Ci sono anche malattie come la scabbia che cerchiamo di curare nei limiti del possibile. Sia i siriani che gli eritrei però non vogliono restare nel nostro Paese, si verifica quindi un turnover molto accelerato che rende difficile le cure a medio e a lungo termine.
Come finanziate le vostre attività?
La nostra attività ha costi relativamente bassi perché, come ho detto, operiamo in regime di volontariato assoluto, con una sola persona ( a part time) che svolge funzioni di segreteria per garantire un rapporto continuativo con i soci e con le istituzioni. Ci finanziamo con il 5 per 1000 e con la raccolta di fondi tra amici e conoscenti. Abbiamo in atto una convenzione con il Comune di Milano per l’Operazione freddo. Tutto ciò ci permette di svolgere la nostra attività senza il fiato corto. Per la parte farmaceutica abbiamo un accordo con il Banco Farmaceutico, oltre alle donazioni di qualche azienda. Ad esempio, una multinazionale indiana ci applica sconti che arrivano, su certi prodotti, sino al 90%. Anche la distribuzione gratuita di farmaci spinge le perone a rivolgersi a noi, indipendentemente dalla loro disponibilità economica.
Quali sono i rapporti con il Comune di Milano e le altre istituzioni?
Esiste una struttura di coordinamento delle associazioni che si chiama GRIS (Gruppo Regionale Immigrazione e Salute) a cui aderiamo. Con la Regione Lombardia, la collaborazione è del tutto relativa. Abbiamo rapporti con il Comune di Milano che però non ha competenze sanitarie specifiche. Con il Comune abbiamo condiviso e condividiamo progetti a seconda dei bisogni e delle emergenze, compatibilmente con i loro tagli di bilancio.
Abbiamo un rapporto costruttivo con l’Ufficio d’Igiene che ci aiuta nei protocolli relativi alle patologie pesanti come la tubercolosi.
Progetti per il futuro?
Abbiamo l’obiettivo principale di far funzionare meglio i nostri servizi. Ora stiamo avviando l’attività del poliambulatorio e stiamo prendendo contatto con le associazioni della zona che si occupano di immigrati in difficoltà e con i Centri di assistenza della ASL.
Buon lavoro, dottor Boioli.
A cura di Massimo Cecconi