Coltiviamo il futuro della terra

Come sfamare una popolazione mondiale di 7 miliardi e che si avvia a raggiungere 9 miliardi entro pochi anni? Innovazione e sostenibilità per una nuova agricoltura al convegno del Caffé-Scienza all'Urban Center di lunedì 26 maggio.
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grano
L'approssimarsi dell'Expò fa moltiplicare le occasioni di convegni e dibattiti relativi alla sostenibilità del pianeta Terra nelle interrelazioni tra aria, acqua, suolo. A questo incontro, condotto da Daniele Balboni e Luca Carra hanno preso parte: Claudia Sorlini - presidente del Comitato scientifico Expò , che ha parlato della sostenibilità; Stefano Bocchi - agronomo, docente dell'Università di Milano, che ha parlato della biodiversità; Elisabetta Lupotto - del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, che ha parlato sulla ricerca e l'innovazione;Sylvie Lardon - dell'INRA Agro Paris Tech UMR Métafort Clermont-Ferrand, che ha parlato degli attori territoriali.

Come sfamare una popolazione mondiale di 7 miliardi e che si avvia a raggiungere 9 miliardi entro pochi anni,  tenendo conto che l'agricoltura produce un forte incremento di CO2? Quale tipo di cibo, quale agricoltura: monocoltura o mista, industriale o piccola impresa?

Innanzitutto occorre che venga acquisita conoscenza e che questa venga divulgata, che le informazioni e le esperienze siano condivise; occorre viaggiare, visitare paesi - Cavour insegna -.  
Oggi, grazie a internet, è più facile organizzare scambi, confronti e suggerimenti, ritrovarsi in luoghi d'incontro anche virtuali e condividere i risultati delle ricerche delle scuole d'agricoltura europee e americane.
Le innovazioni in agricoltura hanno consentito finora di triplicare il cibo prodotto, mentre la popolazione è aumentata solo del doppio, non sono tuttavia state in grado di impedire che circa due miliardi di persone siano denutrite o scarsamente alimentate, mentre un altro miliardo si ammala per eccesso di cibo.  
Non si tratta soltanto di garantire cibo! Per arrivare a una più equilibrata produzione mondiale bisogna ripensare alla diffusione di informazioni, coinvolgendo i paesi più poveri, ripensare all'educazione alimentare, alla cultura dell'alimentazione nella storia e studiare le soluzioni migliori in relazione ai luoghi: quale piante, quale irrigazione, quale agricoltura.

Sono trascorsi più di 12000 anni dalla nascita dell'agricoltura -inventata dalle donne che, come raccoglitrici, osservavano i cambiamenti stagionali nella natura -durante i quali sono state selezionate le piante migliori: cereali e frutti.
La selezione tradizionale viene fatta ancora oggi scegliendo le piante che presentano migliori spighe o radici più lunghe o foglie più lussureggianti. In Italia ci sono 20 istituti che studiano genetica vegetale e anche OGM. La ricerca attuale richiede tempi più brevi, ma - avverte la Dott.sa Lupotto - non bisogna demonizzarla, perché creando piante più resistenti si risparmiano antiparassitari, è necessario invece pretendere che siano maggiormente controllati i risultati che gli OGM hanno sull'uomo, anche se i prodotti vegetali diventano solamente nutrimento per gli animali da allevamento.

Già nella prima Conferenza di Rio de Janeiro sono stati evidenziati i problemi di una selezione troppo mirata e prolungata delle piante che hanno portato alla perdita di numerose varietà autoctone, soprattutto per i cereali e anche se ora si cerca di correre al riparo con una banca delle sementi, una parte si è già persa, così come si stanno perdendo terreni e piccole aziende che erano portatrici di conoscenze e tradizioni, che nessuno ha raccolto. La UE, ad esempio, ha varato alcune norme negative rispetto a questo problema, cercando di modernizzare l'agricoltura.

I problemi nascono forse dalle piccole dimensioni delle aziende agricole o dalla scarsa capacità di contrattazione, dalla perdita di profitto nel percorso della filiera?  
Porre il problema in questi termini è sbagliato -sostiene il Dott. Bocchi -, tant'è vero che i giovani che oggi diventano agricoltori, e che molto spesso praticano agricoltura biologica o integrata, si organizzano in filiere corte, vendono direttamente al consumatore, risparmiano sugli intermediari e trasformano le materie prime.
Va conservata la biodiversità, la varietà delle colture e delle dimensioni aziendali: ci deve essere libertà d'impresa sia per l'azienda familiare in agricoltura interurbana, per la preservazione delle agrodiversità , sia per la grande azienda che produca monocolture per il largo consumo e per l'esportazione.  

Le scuole d'agraria come all'università Sant'Anna di Pisa e l'INRA Agro Paris Tech- riferisce la Dott.ssa Lardon - organizzano studi e progetti sul territorio, unendo ricerca e azione; mettono a disposizione degli attori del territorio i risultati ottenuti circa migliori metodi per un determinato luogo, in modo da conservare l'agrobiodiversità che è troppo preziosa per finire rinchiusa in una banca di semenze.

Comuni, Enti Locali devono operare per mettere insieme, coinvolgere, far partecipare chi lavora per organizzare un'agricoltura sostenibile, anche perché l'Italia, che è un piccolo paese, ha una ridotta quantità di pianure; la maggiore, la Pianura Padana - 60% del totale -, è così densamente cementificata da compromettere persino la capacità del suolo di assorbire l'acqua piovana.

Acqua che diventerà sempre più preziosa con l'aumento della popolazione, suolo che tende a inaridirsi per lo sfruttamento eccessivo. Le ricerche devono orientarsi a trovare sementi più redditizie, magari più antiche se più adatte a un determinato territorio e a un minore consumo di suolo, acqua, energia: dobbiamo pensare alle generazioni future e agire responsabilmente e non lasciare soli i paesi poveri - dice la Dott.ssa Sorlini - .
L'autonomia alimentare deve essere l'obiettivo cui tendere, perché quei paesi che non lo sono, finiscono per mettere in crisi l'equilibrio globale come il land grabbing della Cina che acquista territori in Africa per coltivare cibo per sè.

La perdita di terreno agricolo è dovuto solo per metà alla cementificazione, l'altra metà riguarda l'abbandono dell'agricoltura familiare. Vanno così perse conoscenze e questo ci danneggerà in futuro.
Occorrono politiche che coinvolgano gli attori territoriali, sostengano gli agricoltori che creano progetti, si associano, formano distretti, che cercano di mantenere il rapporto città-campagna con progetti di agricoltura periurbana, che va bene per l'Italia dalle tante città e poche pianure.
Ma anche l'agricoltura estensiva va bene ove vi siano le condizioni adatte.   
Il mondo della ricerca e dell'agricoltura - che in Italia è di competenza regionale - si incontrano in rete sulla piattaforma internet CRA. La ricerca però deve essere pubblica se non vuole essere costretta a fare l'interesse di qualche azienda che si impadronisce delle innovazioni, come oggi avviene, anziché quello degli agricoltori.


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