Milano. Musica. Mondo... Lula Pena - Troubadour

Una voce forte che interpreta le origini del fado con sorprendenti sonorità contaminate con il jazz e con il rock. Alla riscoperta di Lisbona, città atlantica.

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lula troubadour sticker

Capelli corti, lineamenti duri, quasi maschili, solo due dischi pubblicati in vent’anni, poche apparizioni pubbliche, e i complimenti di Caetano Veloso che la considera una delle più grandi voci viventi, e non solo all’interno della scena etnica.

Più che una semplice cantante, la portoghese Lula Pena è un enigma mai risolto, un’affascinante poetessa del fado in fuga dalla fama, sempre pronta a nascondersi nel suo appartamento del Barrio Alto della meravigliosa Lisbona quando le luci della ribalta si fanno più intense.

Classe 1974 (l’anno della sfolgorante rivoluzione dei garofani che anche gli Area omaggiarono), nata e cresciuta a Lisbona, poi vissute tra le altre “capitali coloniali” Bruxelles e Madrid prima di ritornare in Portogallo.

“Troubadour” (d’altro canto per un’anima inquieta e “tzigana” come la sua quale miglior fonte d’ispirazione che i ribelli troubadourdell’anno mille che mutarono i canoni della musica popolare partendo dall’Occitania?) pubblicato quest’anno a oltre sedici dal precedente “Phados” (anno domini 1998) è caratterizzato come sempre dalla sua chitarra, spesso l’unico strumento oltre alla sua voce asciutta e profonda. Album che è limitante inserire nei confini della world music. In realtà la nostra utilizza il fado e la tradizione di interpreti come Amalia Rodrigues solo per elaborare una formula sonora molto personale, che risente tanto delle influenze del folk americano (in taluni frangenti si ode il tono monocorde ma dal forte impatto emotivo di Tracy Chapman) quanto dalla lezione brasiliana, meglio ancora del jazz carioca (Astrud Gilberto su tutti). Una combinazione unica che ha davvero pochi simili.

Come del resto la sua città, Lisbona. Una sorta di nordèste brasiliano atterrato a Parigi. Lo sconforto dell’emigrazione forzata. La speranza dell’oceano con i suoi approdi. Le tradizioni, le culture che si mischiano creando un mutante clash musicale. Come non pensare d’altro canto ad un’andata e ritorno continuo e circolare tra lamorna capoverdiana, latropicalia brasiliana ed il fado lusitano?

La voce di Lula è il vero “tormento” se ci si immerge nelle atmosfere dei vicoli di Lisbona. Corde che vibrano in gola, sommessamente nella glottide, rilasciando una quantità di flutti inaspettati e profondi. Molti la definiscono come neo o post fadista.

Certo è che Lula si metabolizza nella sua voce, nelle sue parole, nei sui fonemi, attuando quella metamorfosi, impercettibile all’esterno, ma biologicamente realizzata da artisti che sono tali solo se sanno concretizzare quell’abbraccio tra viscere e spirito (blues?) inopportunamente tenuti separati da una visione pseudo funzionale dell’essere.

Dal vivo poi passa dalla viola do fadoalla guitarra portuguèsasuonando pure il cavaquino, la chitarra di tipo spagnolo che produce le armonie e i bassi. Facendosi accompagnare in genere dal baixo, il basso portoghese.

Acto I, apre l’album che parte con una voce bassa cui segue una chitarra tenue, languida che ti trasporta sulle onde dal mare.

Acto II (si arriva sino all’Acto VII che chiude il lavoro) è caratterizzato da un’estenuante inseguimento tra baixoe viola do fado con la voce di Lula a metter pace con toni secchi, privi di dolcezza grazie ad espressioni vocali roche.

Il quarto pezzo è quello che maggiormente si rifà ai grandi del fado popolare quali Carlos do Carmo, Josè Afonso e Josè Carlos Ary dos Santos. Parliamo quindi del fado di Lisbona, nato negli ambienti proletari del porto, delle fabbriche del pesce del Barrio Alto. Dove la malavita urbana è il vero fado popolare a differenza di quello di Coimbra, barocco e “colto”. Quindi la guitarra portoguesa che strazia il cuore perché si parte per l’altro sponda dell’oceano per cercare lavoro o per fuggire a qualche condanna. Sino a che prorompe come la lava da un vulcano il pianto cantato di Lula come le donne piangevano i loro uomini sul molo mentre le navi si allontanavano.

Acto VI è invece la fotografia di Lisbona. Sul mare col vento ed il sole che ti segnano il volto. Senza veli a descrivere la felicità di un momento felice, di un frangente gioioso che va preso così com’è e quindi una tessitura musicale lineare, armonica con la voce perfettamente inserita nel corpus, come il tassello che chiude un mosaico.

ActoVII, per finire è il fado che incontra la tradizione popolare americana che parte da Woody Guthrie ed arriva a Suzanne Vega. Sonorità “che richiamano il rock” con le parti vocali più in vista e gli strumenti in tensione, in manifesta dimostrazione di potenza. Le corde vibrano e toccano livelli di intensità inusitati.

Certamente Lula con questo come con il precedente suo album ri-porta il fado alle sue origini culturali e sociali ispirandosi quindi ad artiste quali Berta Cardoso, Lucilìa do Carmo, Hermìnia Silva e Argentina Santos.

Le note dell’oceano.



(Amerigo Sallusti)


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