Intervista a Nicoletta Rizzato

Personaggio centrale del teatro milanese, Nicoletta Rizzato è la prima donna a essere diventata presidente dell’Agis Lombarda (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo). In veste di amministratrice unica del Teatro Carcano gestisce una delle realtà più importanti della scena milanese. Le sue principali doti? Passione, tenacia e correttezza. E scusate se è poco di questi tempi.

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foto nico nov 2012
Come nasce la tua passione per il mondo del teatro e quali sono state le tue prime esperienze in questo ambito?
Vengo da una famiglia in cui il teatro e la lettura sono sempre stati il pane quotidiano, da bambina frequentavo lo storico teatro Gerolamo, la cui gestione allora era affidata a Carletto Colombo dopo la riapertura per volontà di Paolo Grassi e l’aiuto di Eduardo e, oltre ad avere la straordinaria opportunità di ascoltare e vedere gli ultimi attori dialettali milanesi, che fanno parte del mio ricordo d’infanzia, ho vissuto la trasformazione di quella piccola sala, la cui direzione venne affidata successivamente a Umberto Simonetta, che impresse il suo stile e il suo gusto alla programmazione … così ho vissuto la mia prima esperienza legata alla possibilità di una sala teatrale di modificare la propria direzione artistica e gestire la trasformazione del pubblico.
Ho iniziato la mia attività lavorativa nel 1980 ai teatri Nuovo e Odeon con Franco Ghizzo, che era succeduto al grande Remigio Paone nella conduzione dello storico teatro di Piazza S.Babila.
Dopo un primo periodo si esperienza amministrativa, rivolgo la mia attenzione professionale al settore dell’organizzazione del pubblico, nel cui ambito collaboro successivamente con il Teatro Nazionale diretto da Giordano Rota.


Com’è nata e come si è sviluppata la tua esperienza professionale al Teatro Carcano?
Nel 1984 inizio la collaborazione con Luigi Stippelli, socio paritario nella conduzione del Teatro Carcano, e con lui sviluppo la struttura ancora oggi attiva di organizzazione e promozione per il pubblico di Milano e di tutta la Lombardia: unica struttura, con l’eccezione del Piccolo Teatro, a organizzare sistematicamente  il  rapporto con  il pubblico organizzato, sia adulto che scolastico. E ancora oggi, con il nome di Progetto Teatro, unico punto vendita polivalente con accordi commerciali con le maggiori piattaforme italiane di ticketing.
Nel 1997 sono  fondatrice, insieme ad altri due soci, della società della quale sono ancora oggi legale rappresentante che gestisce il Teatro Carcano. Nella compagine da me rappresentata la direzione artistica viene affidata a Giulio Bosetti, che entra in società dimostrando quella volontà artistico-imprenditoriale  che il mondo teatrale gli riconosce. Insieme a lui entra in società la sua compagna di una vita: Marina Bonfigli, a cui viene affidata la direzione artistica del teatro nel 2009.
Nel 2000 ho gestito la trattativa per l’acquisto dell’immobile del teatro Carcano, che in quel momento corre il rischio di essere trasformato in un garage o in una sala bingo. Trattativa andata a buon fine anche grazie al rapporto con BIPIEMME, che consenti l’accensione di un mutuo tuttora in essere, e alla partecipazione finanziaria di nuovi soci, che contribuirono al salvataggio della sala.
L’operazione è stata estremamente complessa da un punto di vista tecnico-giuridico, passando attraverso la messa in liquidazione della vecchia società, poi fallita. L’acquisto dal liquidatore della stessa. E l’avvio di un’avventura professionale che con grande sforzo e dedizione continua ancora oggi.


Quali sono le maggiori difficoltà nel dirigere un teatro così importante ?

L’impegno nei confronti del pubblico. Lo spettatore è sempre stato il primo elemento da considerare per me e per chi con me condivide questo pezzo di strada. Non va scontentato, ma nemmeno assecondato: credo ci si debba mettere l’impegno che è necessario nella formazione del gusto, alla capacità critica e alla voglia di tornare a teatro!

La seconda difficoltà è acquisire la consapevolezza di vivere in un’ economia “altra” rispetto a qualsiasi attività di natura commerciale o artigianale, ma nella quale entrambi questi aspetti sono da considerare. Far quadrare i bilanci conciliando le esigenze artistiche e produttive e rispettando le regole economiche dalle quali non è possibile prescindere. Purtroppo nel corso degli ultimi anni c’è stata una progressione di obblighi amministrativo-burocratici, che rischiano di far sviluppare maggiormente gli apparati amministrativi a danno di quelli legati alla produzione artistica.

La terza è l’impossibilità, molto spesso, di dare visibilità a compagnie di nuova formazione, perché i 1000 posti in sala condizionano molto le scelte. Non a caso parlo di nuova formazione e non di giovani: la frequenza con la quale si usa questo termine comincia a disturbarmi, essere giovani non è un titolo di merito, non costituisce di per sé un diritto, è un grande privilegio avere un’intera vita professionale davanti a sé.


Qual è l’esperienza teatrale alla quale sei più legata e perché?

Tutti gli spettacoli che abbiamo prodotto sono esperienze nuove, uguali e diverse al tempo stesso, che mi tengono legata a questo luogo. Sono legata a tutti gli spettacoli per i quali provo emozione: credo questa sia l’essenza del teatro. Non il riso o il pianto o la noia: è necessario provare in qualsiasi momento dello spettacolo una sensazione di felicità per essere proprio lì in quel momento.


Qual è il ruolo di Agis Lombarda di cui sei oggi presidente?

Il ruolo di Agis è delicato: in un ambiente politico scomposto e frammentato rappresentare delle imprese in difficoltà è complesso. Ciò che penso si debba fare è “sistema”: unire le energie, tralasciando i personalismi e lavorando in maniera coordinata, affrontando i piccoli e i grandi temi con lo stesso impegno e lo  stesso rigore, come se fosse l’ultima volta in cui si ha l’opportunità di farlo. La partecipazione delle imprese iscritte all’Associazione è fondamentale perché la rappresentanza della presidenza sia forte e trasmetta politicamente un’unica istanza.


Qualche rimpianto? Qualche sogno?
Il termine rimpianto non appartiene al mio vocabolario.
Sogni sì, continuamente. Sogno un Paese migliore in cui la cultura occupi per tutti una posizione di prestigio nel quotidiano, una società più tollerante con individui che incontrandosi si scambino un sorriso, un Paese in cui sia possibile identificarsi con una classe politica che davvero stia lavorando per il bene della nazione e che l’arte – attingendo da una società migliore – ricominci a produrre e
non più a sopravvivere (e non mi riferisco solo al teatro).



Progetti per il futuro…
Cercare dei successori: è un tema che sento molto. Mi piacerebbe trovare dei giovani, e qui sì parlo di anagrafe, a cui poter lasciare ciò che in anni di duro lavoro e sacrifici è stato costruito e dar loro l’opportunità di proseguire sulle proprie gambe, in autonomia, avendo avuto l’opportunità di imparare, come è successo a me.

(a cura di Massimo Cecconi)


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