Musica. Milano. Mondo: Baba Zula

Le nuove sonorità di Istanbul: un ponte tra oriente e occidente. Una ricerca musicale tra tradizione e avanguardia. ()
baba zula WEB
Sulla scia delle proteste di piazza, al Cairo è nato l’“Electro Chaabi”: un mix di hip-hop, dance e suoni tradizionali che sintetizza l’eccitazione collettiva.
Piazza Tahir, insomma, ha prodotto sommosse e riots non solo sociali ma anche e soprattutto culturali.
Stato nascente di una delle più vivaci musiche da ballo del pianeta, come fu per il rai algerino, il baile funk brasiliano, il primo hip-hop newyorkese, l’electro chaabi è suonata su software "craccati" e vecchi computer che diffondono capillarmente questa litania della rottura degli schemi tradizionali.
La Tahir turca si è svolta invece a Gezi Park. L’onda della protesta lì è nata e si è poi propagata con una forza di cui ancora si sentono “i rumori di fondo” e si ”scorgono ancora le tracce”, come a piazza Tahir del resto.
Il detonatore esploso ad Istanbul ha catalizzato una serie di vertenze locali in corso da tempo, dalla costruzione di discariche di rifiuti alle centrali nucleari, dalle autostrade alle dighe. Attivisti locali e musicisti hanno invitato a porsi in opposizione a siffatti progetti di scempio ambientale e urbanistico.

Baba Zula sono in prima fila in questa temperie. Con sonorità che fondono la memoria e i suoni del rock psichedelico degli anni Sessanta, una voce femminile e melodie da “Mille e una notte” elettronica e strumentazione tradizionale turca. Una meravigliosa miscellanea di oriente e occidente, una sintesi magica di tradizione e futuro.
Istanbul una porta, da e verso l’oriente e vicendevolmente il contrario. Fondato nel 1996 da Murat Ertel, Levent Akman e Emre Onel, il gruppo si è sempre caratterizzato per essere “una formazione aperta” alla collaborazione con musicisti e artisti appartenenti a diversi campi.
Fra i tanti, il clarinettista turco di origini rom Salim Sesler, i trombonisti Tunnel Kurtiz e Ahmet Uourlu, la quasi novantenne Semiha Berksoy, prima cantante dell’opera di Istanbul e rinomata pittrice.

Poi, per continuare, non “va certo” dimenticata la partecipazione al film Crossing the Bridge del regista Fatih Akin (berlinese di origini anatoliche) in cui, insieme a Baba Zula, si sono espresse le migliori band del momento di quelle terre: street music e brekbeat che incontrano il lamento della tradizione kurda; black music che scivola su ondulazioni dei dervisci rotanti…
A seguire collaborazioni con noti agitatori culturali europei. Dal celebre mago del dub Mad Professor (che ha prodotto tra gli altri il leggendario Lee “Schratch Perry” e i Massive Attack) grazie al quale sono usciti dai confini turchi i loro due ultimi dischi “Psychobelly Dance Music” e “Belly Double”. Quest’ultimo è arricchito, nelle sue eterodosse musicalità (spiritual tzigani, blues prewar folk, liriche klezmer), dall’apporto vocale di Robbie Shakespeare, toaster, cantastorie d’assalto dei quartieri poverissimi di Kingston-Giamaica, quasi a creare in alcuni pezzi un nuovo genere, che si potrebbe definire “oriental dub”.
Dopo di che il percussivo tintinnio di ninnoli che deflagrano insieme al darbuka o tambureke (strumento musicale a percussione del gruppo dei membranofoni, utilizzato tradizionalmente in nord-Africa e Asia centrale dalle tribù nomadi arabe) e “riportati a ragione” da strumenti cordofoni, i più diversi, ci danno il senso di una musicalità davvero originale, preziosa e contagiante.
Al punto che un musicista “rumoroso” come Alexander Hacke degli Einsturzende Neubaten si è fatto a sua volta contaminare durante le riprese di Crossing The Bridge, al punto da suonare nel loro ultimo disco, prima citato.
Episodio non causale, d’altro canto se, più volte, le loro tonalità sono state avvicinate a quelle dei mitici Can, gli inventori del Krautrock o musica elettronica tedesca, che miscelavano nei ’60-’70 rock d’avanguardia con diverse influenze musicali etniche.
L’eterno ritorno.

Amerigo Sallusti


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