Al cinema, al cinema: La grande bellezza

Viaggio sin troppo magniloquente in una Roma abitata da una fauna amorale, cafona e decadente. Poveri noi. ()
La grande bellezza

Narrasi di un giornalista che scrive per un’improbabile rivista di gossip “colto”, diretta da una direttrice nana, autore in gioventù di un unico promettente e ambizioso romanzo (L’apparato umano) a cui non ha dato seguito.

Il giornalista, a cui gli aggettivi vacuo, fatuo e cinico ben si addicono, è però altrettanto consapevole di essere quello che è e di essere parte di un mondo, la borghesia della Capitale, a sua immagine e somiglianza. Animale notturno, con ricco attico con vista sul Colosseo, Jep Gambardella (alias Toni Servillo) vede gente, partecipa a feste esagerate dove lo champagne e la droga scorrono a fiumi, balla, sentenzia, circuisce e fa lunghe passeggiate in una Roma preferibilmente crepuscolare benissimo fotografata da Luca Bigazzi che già si sapeva essere molto bravo.

Frequenta per lo più personaggi patetici, irrisolti, sconfitti dalla vita malgrado ricchezze e posizioni sociali. Si distingue almeno per sincerità l’amico, mediocre poeta, Romano (un ottimo Carlo Verdone) che getta la spugna in tempo utile e si allontana da questa Roma che lo ha profondamente deluso.

Tra i patetici, la figura di Ramona (Sabrina Ferilli), matura spogliarellista, che esce di scena, nel senso che muore, in punta di piedi, con dignità da popolana (e la memoria va, si parva licet, ad Anna Magnani). Nelle parti di contorno, amanti, amici, nobili e cialtroni vari, ottimi attori di teatro della stretta cerchia del Piccolo Teatro di Milano (Franco Graziosi, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Massimo Popolizio, Massimo De Francovich).

Tra reminiscenze giovanili, resistibili crisi esistenziali, esperienze tra il religioso e l’esoterico, Gambardella forse scriverà un nuovo libro.

Per dirla in antico romanesco, vanitas vanitatum, horror vacui e cupio dissolvi sono, in qualsivoglia ordine, i “sentimenti” portanti di questo film sostanzialmente irrisolto, infarcito di citazioni (il prologo è affidato ad una frase di Céline tratta da Viaggio al termine della notte), con sceneggiatura aeffetto, che paga tributo, a più che debita distanza, a La dolce vita e ad altri allegorici film di Fellini e, persino, a La terrazza di Ettore Scola di cui si coglie più di un rimando.

Nel sottobosco da luna park di questa Roma (ma leggasi pure Italia) cafona, sgangherata, disperata si muovono suorine (anziché pretini), cardinali gastronomi, nane, ballerini e uomini di malaffare che, vivaddio, finiscono in manette.

Le presunte e forzose allegorie si tramutano in grottesco attraverso orride macchiette che, se esistesse il paradiso, c’è da augurarsi finiscano tutte all’inferno.

Toni Servillo è come (quasi) sempre troppo bravo nel rendere un personaggio complesso, non del tutto disgustoso che conserva persino briciole di dignità, disincantato quanto basta senza possedere sino in fondo un autentico cuore di tenebra.

Alcune scene resteranno nella memoria: la rappresentazione teatrale all’acquedotto Claudio, l’enorme giraffa a Massenzio, l’incontro notturno con la sempre bellissima Fanny Ardant.

Del tutto gratuita, invece, la scena in cui i fenicotteri, di cui la “Santa suora” conosce tutti i nomi, si posano sulla terrazza.

Importanti le musiche di Lele Marchitelli e splendida Roma che, per troppa bellezza, fa ancora stramazzare al suolo turisti giapponesi.

Tra l’altro, al film nuoce la durata (150 minuti) che concorre a inserirlo nella categoria dei fantasticamente inutili.


La grande bellezza
di Paolo Sorrentino
con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Galatea Ranzi, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Isabella Ferrari, Roberto Herlitzka

Italia, Francia 2013

Di nuovo in programmazione nei cinema dopo aver vinto l’Oscar quale miglior film straniero. Eccesso di abbondanza…

(Massimo Cecconi)


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