Inserimento dei nuovi compagni nella vita dei figli di genitori separati

Far frequentare il nuovo partner è un diritto. Ma solo in assenza di rischi per la prole. ()
figli genitori separati
Si è già rilevato in precedenti articoli come, a livello giudiziario, si stia dando sempre più peso alle unioni di fatto. Si ricorda in particolare la sentenza della Corte di Cassazione n. 7214 del 2013 (citata nell'articolo pubblicato il 4 settembre scorso), ove si legge della “rilevanza giuridica” e della “dignità stessa del rapporto di convivenza di fatto”, perciò non paragonabile all'ospitalità.

Di tali principi ha tenuto conto un'importante ordinanza del Tribunale di Milano del 23 marzo 2013, che ha affrontato con una certa completezza il tema dell'inserimento del nuovo partner di uno dei coniugi separati nella vita del figlio minorenne.
Nel caso di specie, chi aveva intrapreso una nuova e stabile convivenza era il marito, padre del minore.

Nelle richieste al tribunale relative al figlio, egli aveva insistito per l'affidamento condiviso e per la possibilità di far frequentare al minore la nuova compagna. La moglie, al contrario, aveva insistito per l'affidamento esclusivo a sé del figlio e perché il padre lo potesse vedere solo in assenza della compagna, senza tuttavia dare motivi di fatto idonei a supportare questa richiesta di esclusione.

Prudentemente, il Presidente, con i provvedimenti provvisori, aveva disposto che “allo stato” il padre potesse vedere il figlio senza la presenza di altre persone, compresa la nuova partner. Ciò soprattutto al fine di favorire la ricostruzione del rapporto padre-figlio, che si era in quel caso molto allentato.
La situazione è stata posta sotto il monitoraggio dei servizi sociali e di uno psicologo, i quali dopo alcuni mesi hanno presentato relazioni scritte, in cui erano del tutto assenti rilievi dai quali si potesse dedurre la possibilità che, da un rapporto con la convivente del padre, potesse derivare pregiudizio al minore.
Il tribunale ha quindi affermato che la richiesta della madre si traduceva “in una mera opinione soggettiva”, mancando “alcuna prova o indizio che la frequenza del figlio con la nuova compagna del padre possa nuocere al minore”.
Ha dunque concluso che, in assenza “di elementi circostanziati che suggeriscano la distanza tra figlio e nuova compagna del genitore, quest'ultima non può essere esclusa...”.

E' importante la motivazione data a tale decisione, perché si collega ai principi ricordati all'inizio dell'articolo, riguardanti la sempre maggiore rilevanza delle unioni di fatto. Nel provvedimento del tribunale di Milano del 23 marzo 2013, si legge infatti: “...il convivente del genitore, il quale abiti con questo in modo permanente, non è qualificabile come mero 'ospite'”; “...la famiglia di fatto è compresa tra le formazioni sociali che l'art. 2 della Costituzione considera la sede di svolgimento della personalità individuale...”.
Proprio basandosi su questi concetti, il tribunale di Milano sancisce quindi un vero “diritto” del genitore a coinvolgere il figlio nella propria nuova unione sentimentale, in assenza di pregiudizio per il minore e “adottando le opportune cautele”; inoltre, afferma che il divieto di far frequentare figlio e nuova partner avrebbe l'effetto di “porre il padre di fronte a una scelta che mette da una parte la nuova compagna e dall'altra il figlio (il che) troverebbe giustificazione solo se il preminente interesse della prole fosse esposto a rischio”.

E' infine opportuno segnalare che la serietà e completezza dell'ordinanza del tribunale milanese qui citata si evince anche dal richiamo, in essa contenuta, della migliore letteratura psicologica sull'argomento, secondo la quale il “graduale” inserimento dei nuovi compagni nella vita dei figli di genitori separati corrisponde al loro benessere, quando madre e padre “abbiano cura e premura di far comprendere alla prole che le nuove figure non si sostituiscono a quelle genitoriali”.
Alla luce di questa pronuncia, ma anche sulla base della personale esperienza sul campo, mi permetto di dare qualche suggerimento alle lettrici e ai lettori.

Ai padri, che non abitando stabilmente con i figli, più spesso per primi intraprendono una nuova convivenza: non siate precipitosi; i giudici tutelano il vostro diritto a far frequentare la vostra compagna ai vostri figli, ma l'inserimento dev'essere graduale, dovete avere la certezza che i minori non siano turbati da questa relazione e la figura della mamma dev'essere sempre tenuta in grande considerazione; soprattutto, mai confusa con quella della vostra partner, che solo tale deve rimanere.

Alle madri, le quali vedo di sovente smarrite di fronte alla possibilità che gli ex mariti passino il loro tempo con i figli insieme alla nuova compagna: cercate di capire, magari con l'aiuto di uno psicologo, se i vostri timori di un danno per i minori sono fondati, o se si tratta solo di vostre proiezioni; nel primo caso, raccogliete il maggior numero di elementi di fatto da sottoporre eventualmente a un giudice, per far sì che almeno per un certo periodo il rapporto padre-figli sia esclusivo, senza la presenza di altre persone.

Spero infine che sia superfluo ricordare alle mogli conviventi con i figli che la regola della gradualità si applica anche - anzi di più - a loro, e che la convivenza con un nuovo compagno, data la presenza in casa dei minori, deve seguire un periodo di lento avvicinamento, durante il quale dev'essere accertata l'assenza di rischi per questi ultimi.
In ogni modo, invito coloro che si trovano nelle situazioni sopra descritte a cercare di evitare il conflitto e a rivolgersi ai centri di mediazione familiare presenti in tutte le città, dove specialisti sono pronti ad aiutare i genitori separati o che si stanno separando e a dare caso per caso i suggerimenti più opportuni, in presenza di nuove relazioni.


Avv. Francesca Agnisetta