Allo Scalo di Lambrate

Conosco Rudi da anni. L'avevo vista al Circolo di Via Caretti un venerdì sera... ()
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I colori splendono
nel cielo terso
e il giallo con il verde
svanisce
i netti contorni dell’oro.
Quando le cose perdono
i loro contorni,
il mondo
s’avviluppa a te,
come una coperta
d’autunno.
A.N.

... Conosco Rudi da anni. L'avevo vista al Circolo di Via Caretti un venerdì sera, dove vanno i poeti un po' sfigati della città, per una lettura veloce delle loro poesie. Così tra un bicchiere di vino e qualche chiacchierata ognuno ha il suo piccolo o grande momento di gloria. Tanto le poesie non le legge più nessuno e almeno il presunto poeta ha la sensazione di essere un po' meno vittima di un mondo crudele che non l'ascolta e non lo riconosce.
Qualcuno si è auto pubblicato come una signora che distribuisce immaginette con fiori e versi, oppure qualcun altro ha avuto la grande fortuna di venir reclutato per una serata di cabaret in qualche localino un po' trendy.
Lei, Rudy, aveva recitato un sonetto molto intenso che raccontava la storia d'amore tra una matita e un foglio. La gente aveva applaudito distratta.
Non avevo afferrato bene tutte le parole della poesia, ma la sua voce aveva sfiorato la mia placida attenzione proprio come un lapis temperato su di una carta liscia.
Indossava un pesante maglione nero e se ne stava seduta un po' rigida, con le gambe accartocciate. I suoi capelli erano lunghi e neri, sciolti sulle spalle, le labbra senza trucco e gli occhi, ansiosi e scuri, ad un tratto, incontrarono i miei. La guardai sorridendole a mia volta, timida.

Quella fu la prima volta che la vidi, ma non tardai a riconoscerla, alcuni mesi dopo, all'ingresso dell'area dismessa della ferrovia di Lambrate. Entrambe sorprese d'incontrarci in quel posto, che ritenevamo un po' segreto, ci scambiammo un sorriso.
“Ciao, come stai?” - le chiesi, seria.
“Ciao…”- rispose, facendosi da parte, per capire se davvero fossi intenzionata a varcare il cancello dello scalo.
“Sto bene, vado dentro a leggere, tu vieni spesso qui?”
“Leggi Pavese?” - chiese, lanciandomi un sorriso ironico.
I suoi capelli erano sparpagliati sulla fronte come un cane Lessie. Quella volta non riuscii ad intravedere i suoi occhi, ma percepii dal leggero movimento della sua allampanata figura che celava uno sguardo acuto e profondo. Insieme varcammo il cancello proibito, insieme attraversammo la stradina diroccata che si perdeva nello sterrato, dirigendoci in direzioni diverse, ma continuando a lanciarci brevi saluti e sorrisi.

Sapevamo che al di là della soglia iniziava l'avventura, che di là i colori che ci aspettavano sono più nitidi di quelli che si vedono nella città circostante, più gioiose  le stagioni e più vivido anche il sole. Iniziò così la nostra amicizia, nella consapevolezza di una complicità nascosta, nella condivisione di quel luogo inesplorato e avvincente.
Cumuli di rotaie giacciono un po' dappertutto, carrozze dismesse e arrugginite, lamiere, traversine e macerie; eppure, accanto a tutto ciò, una natura rigogliosa e selvaggia cresce indisturbata ai lati della massicciata e accanto alle costruzioni abbandonate. Sempre più incalzante, negli anni ha colorato i pomeriggi della  primavera e ha protetto il silenzio di quel luogo colmandolo di mistero e di fascino.

Per molto tempo vi si sono avventurati solo cani e dietro a loro, i padroni, poi credo che vi abbia abitato qualche custode, infatti se ne nota ancora qualche traccia vicino alla fontana. Anni fa, vi portai mio figlio ad esercitarsi nella guida. Era il posto ideale per ingranare le marce e guidare. All'epoca non passava davvero nessuno e si poteva procedere indisturbati. Rarissimamente entrava qualche operaio. Ci si sentiva padroni di un mondo segreto.

In fondo all'area, ma non ho mai osato avventurarmi tanto lontano, c'è un orto con le galline e il cane. Ogni tanto lo si  sentiva abbaiare dietro qualche gallina distratta che tentava di fare capolino tra le lamiere.
Il mio angolo preferito rimane là, dove ci sono gli alberi da frutta. Insieme a Rudi, qualche volta, abbiamo mangiato albicocche e fichi. Più la conoscevo e più mi pareva assomigliasse a quei ragazzi orfani di cui mi narrava mia madre, che vivevano in Via Pitteri. Era una parte di mondo a me sconosciuta, io avevo sempre potuto contare su affetti solidi e presenti, non avevo i suoi problemi. Più la conoscevo e più la sua persona diventava reale. Una donna con un passato doloroso certamente, ma  intraprendente, a suo modo trasgressiva e accanto a noi c'erano  le fragole e fino a qualche anno fa, un ciliegio che poi cadde in seguito ad un forte temporale.
Era un posto fantastico eppure surreale, un'allucinazione urbana immersa nel traffico tra il cemento dei discount e le linee dei Freccia Rossa.

Il condizionamento di quell'ambiente ci permetteva di condividere pensieri e silenzi e perfino l'astrazione di una poesia ci faceva sentire vive, vive e vere.
“Ma cosa vuoi dalla vita?” aveva esordito un giorno sbucando improvvisamente da un cespuglio di lillà in un angolo dello scalo. Vedendomi sorpresa e un po' spaventata era scoppiata in una risata stridula.
“Come mai vieni sempre qua dove non c'è mai uno svago, non c'è anima viva, dove non si riesce neppure a concepirlo, un desiderio?”
Mi confessò che lei andava allo scalo per scrivere e che era stanca e intontita dalla notte che aveva trascorso laggiù all'aperto.
“Ma tu vivi qua?” le chiesi inorridita, addossandomi ad un mucchio di vecchi binari accatastati per terra.
“io... io non so - balbettò in risposta - in realtà non vorrei vivere qua come un'eremita. Stanotte ho rubato le dita all'alba, massacrando parole su un foglio, per non sentirmi sola, ma le parole non volevano più rimanere attaccate alla carta, volevano correre da tutte le parti, prigioniere di pensieri eclettici. Quando ti ho vista arrivare ho capito che saresti stata la mia salvezza.”

Aveva la pelle d'oca e le labbra secche. Mi disse che era stato facile passare la notte là, a dispetto della scomodità, del freddo e della paura. Nessuno l'aveva vista se non qualche viaggiatore dai finestrini di un treno di passaggio sulla massicciata antistante la stazione.

La poesia intanto le era scivolata via lontano, l'aveva vista strisciare come un verme nell'ombra della mente, in quegli anditi oscuri come le scale del cavalcavia, dove da tempo si era allontanata tremando. Ancora una volta la poesia l'aveva tradita, si era presa gioco di lei e mentre sperava di potercisi aggrappare nello scalo abbandonato, tanto magico e ricco di suggestioni, quella invece l'aveva scaricata, lasciandola sola e vuota.
L'aveva avvolta nella sua spirale mortale, stordendola con il sarcasmo che assieme al verme era cresciuto tra le pieghe del foglio, diventando un immenso serpente con le fauci riverse, protese ad emettere sarcastiche risate.
“Fiammeggiavano i suoi occhi - mi raccontò - Vomitavano urla a lungo taciute, la vanità dei miei sforzi, la nausea delle mie aspirazioni, inondando di veleno la timida crisalide del nuovo aforisma che forse mi sarebbe venuto in mente” Sobbalzò, cercò a tastoni il mio braccio e vi si aggrappò come ad un àncora di salvezza.

“Chiedo solo il mezzo di procurarmi la felicità” - mi sussurrò affogando la tensione nella stretta del mio braccio. Mi sentii vacillare sotto i colpi furiosi del mio cuore compassionevole. Aspettai che continuasse, poi nel silenzio che era subentrato, non trovai nulla di meglio da dirle che “Andiamocene, forse sarà lei a venire a cercarci”.

Mi chiedevo infatti se poteva avere un senso che la poesia rubasse il sorriso alla nostra vita, a quelle quattro semplici cose che ci avrebbero reso normali: stirare, lavare, cucinare, dormire e perché no? Metterci il rossetto e fuggire. Scappare da quei fogli infedeli, da quel mondo infelice che generava solo parole, parole false, parole ammaliatrici, rese altresì infette da uno scalo abbandonato e diroccato.
“Un giorno scriverò la vita del ciliegio e di quando sono nata - mi disse un pomeriggio, qualche mese più tardi. - Qui ho visto assottigliarsi i binari della ferrovia e poi man mano accumularsi le rotaie, e mentre la città si divorava gli orti di questa zona, i sampietrini si riempivano di muschio e quei quattro prati qui intorno...”
“Se li sono accaparrati tutti i prati qua intorno - la interruppi - sai che anche il prato in via Saccardo, di fronte alla Lidl, è diventato di proprietà della Banca?”
I suoi occhi non più vispi si persero nel vuoto. Aveva un modo di corrugare la fronte che sembrava divorasse il mondo per troppa intensità.

“Già... e tra qualche tempo inizieranno pure i lavori per la costruzione della nuova metropolitana. Dovremmo andare fino in fondo all'avventura - mi disse - non possiamo fermarci a metà. Dovremmo impedirgli di rovinare anche qua.Tu invece cerchi con tutte le tue forze di evitare guai. Cerchi di non nuocere alla gente ma in realtà non fai nulla per aiutarla. Tu sei  schiava di te stessa e del tuo passato, ma noi non possiamo fermarci qua- aggiunse sognante- noi dovremmo andare oltre”
“Hai ragione, sono schiava dei condizionamenti. Come gli altri del resto. Cosa ne faranno di questo posto? Ora che già mi sembra di sentire l'asfalto risuonare di congegni elettronici, io e te coltiviamo il folle desiderio di prolungare il passato di questo posto e di raccontarne la storia”.
“Ma va là, andiamo via - si schermì, poi restò a fissare il cancello dello scalo, riflettendo - torniamo indietro, scavalchiamo le barriere, fuggiamo, la consuetudine altrimenti,  è più forte delle barriere...”

Era un periodo difficile della mia vita, un periodo in cui dubitavo delle mie capacità ed insieme dei miei obiettivi reali e le conversazioni con Rudi mi furono di  grandissimo aiuto, ma all'improvviso lei scomparve.
Fu proprio in quei giorni in cui lo scalo era sottosopra per un evento eccezionale di cui si mormorava a mezza voce.
Pare che nessuno degli abitanti della zona avesse notato niente di sospetto nel pomeriggio dell'accaduto. Era un pomeriggio afoso che costringeva tutti a spalancare le finestre in cerca di un filo d'aria.

Nessuno sembra, avesse fatto caso al leggero odore di nafta che si levava nei dintorni. Qualche balordo di passaggio aveva infatti già più volte bruciato ciarpame e rifiuti. Forse qualcuno pensò ai lavori dell'orto, ma quando l'odore si fece puzza e gli sfrigolii del fuoco divennero rumore e il rumore si trasformò in fracasso e si udirono chiaramente urla lancinanti e richiami, nessuno poté più sottrarsi all'evidenza della tragedia. Prima che arrivasse la polizia, molti raccontano di aver visto fuggire delle persone da un vagone in preda alle fiamme.
Si disse che il fuoco era stato appiccato dolosamente da qualcuno che aveva visto degli zingari dimorarvi saltuariamente. Provai subito a cercare Rudi, ma nessuno pareva conoscerla o averla mai incontrata. All'inizio ipotizzai le sciagure peggiori e mi aggirai tra i capannelli dei curiosi per captare informazioni.

Avevano visto una donna? Era giovane? Fortunatamente mi fu subito chiaro che nessuno degli infortunati poteva corrispondere a Rudi. Tuttavia i giorni passavano e di lei non vi era traccia.
Almeno non credo che ci fosse e se c'era non si faceva vedere. Una sera di pioggia mi inoltrai lungo i binari dismessi. Avevo l'animo lacero per la pioggia assorbita. Non c'era, non era venuta. Non c'era più quando la cercavo. Ma perché la cercavo? Perché volevo che mi cercasse? Desideravo forse la sua compagnia? Che bello sarebbe stato condividere quel silenzio della massicciata, sedersi sotto il fico e immaginarsi altrove, lontane da questo incubo di cemento.

In breve la fantasia ebbe il sopravvento sulla malinconia. Mi ritagliai un pezzetto di cielo sopra lo scalo Lambrate dove fissarle i miei appuntamenti e lentamente mi convinsi che avesse trovato un'amica migliore di me. Decisi che dovevo essere libera e che nei giorni seguenti avrei stipato i miei ricordi nella bottiglia e avrei cercato un altrove. Già le ruspe incombevano con le fauci spalancate nelle strade limitrofe. La nuova linea della metropolitana avrebbe infatti aperto nuovi scenari distruggendo i miei inutili sogni.

Il mondo che mi stava innanzi era dunque un mondo da rifare. Tra una settimana o due al massimo si sarebbero avviate le operazioni di cantierizzazione per la costruzione della stazione della metropolitana quattro. Si sarebbero utilizzate le più avanzate tecnologie per mitigare e abbattere i disturbi derivanti dal sollevamento di polveri, rumori e vibrazioni. La metrò avrebbe collegato l'aeroporto di Linate a Lorenteggio. I benefici sarebbero stati tanti: si sarebbe potuto attraversare la città più velocemente, ci sarebbe stato meno traffico, si sarebbero ridotti l'inquinamento e gli incidenti.

Non rimaneva che aspettare, dunque. Mi lessi tutti i giorni i giornali locali, per tenermi aggiornata, senza essere davvero convinta se accettare senza condizioni ogni cambiamento o di tentare una defatigante battaglia con le istituzioni preposte. 
Fu grazie a un giornale di zona dal titolo strano - mi sembra z3xmi - che la ritrovai. Il suo sorriso davvero inimitabile e caldo faceva da sfondo alla foto di apertura della cronaca di Milano.
L'articolo che subito divorai, parlava della pubblicazione di un libro storico scritto da una certa Rudi, sulla storia dello scalo Lambrate, che figurava tra i finalisti del premio letterario “Milano da bere”.

Cercai di mettermi nei suoi panni. Una donna che in tutta la sue esistenza non aveva mai avuto successo, che era stata spesso frustrata e con un infanzia difficile.
Voleva fare grandi studi, ma non aveva potuto perché era povera.
Magari aveva anche trovato un buon lavoro, un buon marito, una casa nel centro storico, ma avrebbe dimenticato le sue ambizioni? No. Anche quando si fosse accontentata di tutto non avrebbe mai abbandonato il suo amore più puro: la poesia.
Ora che la fama l'aveva raggiunta aveva dunque potuto dimostrare alla società, a coloro che un giorno l'avevano respinta che avevano sbagliato.
Ma non si era dimenticata del posto dove era cresciuta, dove entrambe avevamo segretamente nascosto la nostra passione per la scrittura e i nostri  reciproci sforzi creativi.
Stampai l'articolo con la fotografia e lo misi in tasca. Accartocciandolo tra le dita, mi avviai trepidante ancora una volta, verso l'ingresso dello scalo. Ormai i cantieri si stavano avviando alle costruzioni, ma venni presa egualmente dallo sconforto nel trovarlo completamente deserto. 
Avrei potuto scavalcare la massicciata ma non lo feci. Gettai lontano la foto e il taccuino del giorno si chiuse sulla pagina asciutta.
   
 

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Re: Allo Scalo di Lambrate
20/01/2014 Ai-chér Milano zona 3
Che bella storia, Antonella!
Mi lascia un duplice senso di magia: o è tutta inventata, e allora mi fa vedere come la poesia tramuti i luoghi più trascurati della Città in spazii viventi, oppre è una storia vera, e allora mi mostra come il rapporto profondo da cuore a cuore illumini di poesia e di senso i luoghi.
Grazie
Pino


Re: Allo Scalo di Lambrate
20/01/2014 Ai-chér Milano zona 3
Che bella storia, Antonella!
Mi lascia un duplice senso di magia: o è tutta inventata, e allora mi fa vedere come la poesia tramuti i luoghi più trascurati della Città in spazii viventi, oppre è una storia vera, e allora mi mostra come il rapporto profondo da cuore a cuore illumini di poesia e di senso i luoghi.
Grazie
Pino


Re: Allo Scalo di Lambrate
05/12/2013


 
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