ROM: tra sgomberi e paura alla ricerca di una soluzione

Recentemente il Comune è stato travolto da polemiche a causa degli sgomberi di ROM in via Montefeltro e Brunetti in zona Certosa, ma comunque qualcosa è cambiato nella politica dell'attuale amministrazione in rapporto a quella precedente! ()
romsgombero
Mia madre mi raccontava dell'importanza del popolo ROM nell'economia rurale di quando era piccola. Nel paese aspettavano con ansia il loro arrivo perché da loro dipendevano una serie di lavori quali: piccoli lavori edili, riparazione e stagnatura delle pentole, affilatura di coltelli, impagliatura di sedie, etc. Non era solo l'occasione per risolvere dei problemi tangibili, ma il loro arrivo era aspettato da mia madre perché la sua famiglia li ospitava nella corte e la loro permanenza era occasione di feste, balli e musica che alleggerivano la routine  di un piccolo paese contadino dell'oltre PO mantovano.
L'economia è molto cambiata e anche le abitudini nomadi dei ROM. Sempre più cercano di integrarsi nelle realtà lavorative urbane, ma è un percorso difficilissimo e che si scontra costantemente con paure, diffidenze e distanze culturali.
Recentemente ho letto un bellissimo articolo che parla di una ragazza ROM, Anina, autrice in Francia di un libro che affronta proprio questi problemi.
A Milano ho avuto il piacere di conoscere il lavoro compiuto dalla Comunità di Sant'Egidio in occasione degli sgomberi ROM avvenuti a Rubattino qualche anno fa. Ho conosciuto Flaviana Robbiati ed altre maestre che hanno combattuto contro la diffidenza e sono andati negli accampamenti ROM per convincere le famiglie a mandare i bambini nelle loro scuole, ho aderito come associazione genitori alla richiesta di finanziamento di borse di studio a ragazzi ROM che permettessero alle famiglie di garantire la continuità di studio ai loro figli e di non essere più vittime dei continui sgomberi. Ho conosciuto gente magnifica, come Stefano Pasta, che si spende ogni giorno per aiutare famiglie ROM in un percorso di integrazione.
E' proprio questo il punto: non esiste una soluzione al problema ROM, ma ne esistono tante quanto sono le famiglie, per cui solo con l'aiuto del terzo settore si può sperare di trovare quelle mille soluzioni necessarie.
Per questa ragione i recenti sgomberi sono stati oggetto di polemiche con le associazioni del terzo settore che stavano avvicinando le famiglie per aiutarle ad uscire dalla precarietà.
A questo proposito è intervenuto, su Facebook, l'Assessore Marco Granelli. Qui il suo Post:
Dopo aver letto alcuni commenti allo sgombero delle aree di via Montefeltro e via Brunetti ho scritto alcune mie riflessioni. Lo sgombero di Montefeltro e Brunetti non è stata una sconfitta. La scorsa notte è stata la seconda di quest’inverno con temperature sotto lo zero. Meno male che i 31 bambini sotto i tre anni che fino a lunedì scorso vivevano con le loro famiglie negli insediamenti di via Brunetti e via Montefeltro, hanno potuto passare queste due notti in un letto caldo, senza topi e senza immondizie. Almeno per loro e per qualche loro sorellina o fratellino più grande lo sgombero non è stato una sconfitta, ma forse l’inizio di un percorso che potrebbe riservare loro un futuro diverso da quello di passare da campo in campo, da baracca in baracca, da area dismessa in area dismessa. L’inizio di un percorso dove poter iscriversi a scuola e frequentarla regolarmente, giungendo più facilmente puliti. Infatti i loro genitori sono stati fra quei 234 che hanno accettato le proposte di accoglienza del Comune di Milano e si sono impegnati a cercare una via di autonomia, a mandare i figli a scuola, a cercare un lavoro. L’Amministrazione ha potuto dare una risposta positiva a tutti quelli che hanno accettato le proposte, tranne a chi aveva già avuto non più tardi di due anni fa soldi e accoglienza e ora pensava di ripresentarsi per un altro giro. Nessuna famiglia con minori che si è presentata ai due tavoli degli operatori e ha accettato di farsi identificare, è stata lasciata fuori. Negli otto mesi di sperimentazione delle linee guida Rom, Sinti e Caminanti di quest’amministrazione abbiamo potuto accogliere nei due centri di emergenza sociale 315 persone e di queste 130 oggi sono in appartamenti o strutture di seconda accoglienza, in percorso verso l’autonomia. Anche per loro gli sgomberi non sono stati una sconfitta ma l’inizio di un possibile futuro diverso. Gli sgomberi sono stati probabilmente una sconfitta per le 78 persone che dai Centri di Emergenza Sociale sono usciti perché preferivano tornare a situazioni meno controllate e probabilmente abusive. Sono stati una sconfitta per le persone che in ciascuno dei 10 grandi sgomberi effettuati da questa amministrazione in un anno e mezzo (oltre ai circa 6-7 piccoli interventi realizzati mensilmente), hanno preferito non farsi trovare o rifiutare l’accoglienza. Sono come i 450 circa che non hanno accettato in via Brunetti e in via Montefeltro. Non so per quale motivo, forse perché per le loro attività avevano necessità di non avere quei controlli che ci sono nei Centri di Emergenza Sociale. Di certo purtroppo abbiamo potuto conoscere le numerose giovani ragazze provenienti da diversi insediamenti abusivi che sono state arrestate per scippo in metropolitana o in Galleria Vittorio Emanuele o nei negozi degli assi commerciali di Milano. Sono una parte dei quasi 100 arresti effettuati dalla Polizia Locale solo nel 2013, con l’unità reati predatori e altri agenti del Corpo della Polizia Locale di Milano. Forse se si fossero imbattute in sgomberi come quest’ultimo che avesse permesso loro di scegliere una strada diversa, forse avrebbero potuto iniziare a cambiare. Ma con l’Amministrazione precedente, allo sgombero non c’era l’offerta dei Centri di Emergenza Sociale: l’unica possibilità era la comunità con la sola mamma, senza il papà. Quello sgombero, sì che era una sconfitta, con violenza e forzature e senza vie di uscita. E allora tutti si sparpagliavano nel territorio, occupando altre aree o rioccupando le stesse zone a pochi giorni di distanza. Oggi non rioccupano più le stesse aree, e ad essere sparpagliati sul territorio sono è solo una parte: chi rifiuta. E forse, passando di rifiuto in rifiuto penserà di ritornare al suo Paese o penserà di provare a cambiare. Lo sgombero non è una sconfitta per quelle persone che così hanno l’opportunità di uscire dalle realtà dei campi abusivi dove in genere ogni famiglia deve pagare una specie di affitto della baracca a chi governa il campo. Per queste persone vuol dire poter veramente cercare di uscire da una zona grigia di vicinanza con l’illegalità. Lo sgombero penso non sia una sconfitta per quelle giovani donne incontrate ieri come in altre occasioni, di 15, 16, 17 o 18 anni, già in gravidanza, che magari nei Centri di Emergenza Sociale o nei percorsi di accompagnamento socio-abitativo potranno trovare operatori sociali che le aiutino a vivere la loro giovinezza in maniera diversa. Certo sgomberare è sempre una cosa non piacevole, ma in alcuni casi interrompere un percorso troppo intriso di difficoltà e negatività serve per uscire da una situazione che chiude le possibilità. E comunque questi interventi di allontanamento non sono violenti, sono dei momenti di passaggio, dove ci si relaziona con gli operatori, dove si parla con le rappresentanze delle popolazioni o con le associazioni, dove non si fa guerriglia. Certamente sarebbe stato utile intervenire prima, ma purtroppo la ricerca di un impegno concreto delle proprietà private e la realizzazione delle strutture di accoglienza ha richiesto tempo. Non si poteva fare l’intervento senza avere una reale e congrua possibilità di accoglienza come è stato per lunedì. Si pensi che la convenzione con la Prefettura che recupera le risorse non spese dalla precedente amministrazione si è potuta firmare solo il 22 marzo del 2013. Ora cercheremo di essere più veloci, ma abbiamo una situazione che si è incancrenita da tempo. Tutto questo lo abbiamo potuto fare grazie alla collaborazione di diversi soggetti del terzo settore che in convenzione gestiscono i Centri di Emergenza Sociale, i Centri per l’Autonomia Abitativa e le unità abitative. Senza di loro questo piano non può stare in piedi. Un grazie anche a quei soggetti dell’associazionismo e del terzo settore e delle rappresentanze delle etnie che ci sollecitano e pongono anche proposte e idee differenti aprendo una giusta e plurale dialettica. Un grazie a quei Consigli di Zona che hanno sul loro territorio un Centro di Emergenza Sociale e hanno accettato la sfida, insieme con i loro cittadini. Ma non può essere quella del rinvio e dell’accettazione delle favelas la risposta a tante famiglie rom e sinti che vivono nella nostra città, ai suoi margini. In questi giorni diverse associazioni ed enti mi hanno scritto e telefonato per chiedere di non sgomberare o di dare una alternativa a tutti. Per fortuna il lavoro di tutti ha permesso di dare una risposta a tutti quelli che erano disponibili. Altri mi hanno scritto in questi giorni e settimane chiedendo di intervenire per mettere fine alla favelas e per interrompere alcune conseguenze quali reati, degrado, problematiche igienico-sanitarie. Ho cercato di spiegare loro come stavamo agendo e come ora stiamo cercando di impedire il riformarsi di altre favelas. Molti di questi hanno capito, hanno collaborato e ci hanno aiutato ad essere efficaci, anche nelle diversità di opinione. Altri pensano che l’unica strada sia togliere queste persone. Io penso che ciò non sia possibile, per le leggi della nostra Europa e del nostro Paese e per dare a tutti una possibilità: nelle regole e nell’equità senza privilegi per nessuno. Non è pensando che questi temi riguardino altri che saremo una città europea. Noi ci stiamo provando, con fatica e con i nostri errori, quelli che capitano a chi si rimbocca le maniche e magari perfetto non è. Grazie per chi vorrà collaborare, anche nel dibattito e nel confronto. Per chi invece vuole solo polemizzare non ho né tempo e né voglia.

Abbiamo chiesto a Stefano Pasta della Comunità di Sant'Egidio di darci il suo punto di vista sulla questione.

E' così cambiata a Milano la politica degli sgomberi rispetto alla precedente amministrazione?
Le modalità con cui vengono effettuati e gestiti gli sgomberi sono cambiate. Nel 2008-2011, lo sgombero era utilizzato in modo ricorsivo e persecutorio, era effettuato senza preavviso: le stesse persone, spesso minori, venivano sgomberate anche 20 volte in un anno; tali azioni erano accompagnate da una "criminalizzazione" dei rom sul piano culturale, di cui ancora oggi paghiamo gli effetti. Gli sgomberi effettuati dalla Giunta attuale sono diversi sia nell'intensità, sia nelle modalità. Per la fase dell'emergenza che segue immediatamente lo sgombero, la prima accoglienza con il rispetto dell'unità familiare è un segnale importante che è stato dato (non viene più proposto che i nuclei famigliari rom si dividano: donne con bambini in centri comunali e uomini per strada come in passato). Tuttavia, quello che ci preoccupa è la forte difficoltà a pensare al dopo sgombero, alla fase successiva, a come evitare che dopo alcuni mesi di prima accoglienza le famiglie ritornino in baracca. Su questo c'è ancora davvero moltissimo da fare: il rischio altrimenti è di vanificare gli sforzi, anche economici, fatti nella prima fase. Questa è la vera sfida per uscire dalla vecchia logica dell'emergenza.
In concreto, come Sant'Egidio, avete notato un miglioramento numerico e di disponibilità a percorsi di avviamento di famiglie ROM verso situazioni abitative/lavorative adeguate?
E' il punto su cui riscontriamo più criticità, su cui "il vento deve ancora cambiare". Serve pensare sul lungo periodo a politiche sociali veramente inclusive: su questo la città vincerà o meno la sfida posta dalle baraccopoli. I soldi ci sono (quelli del cosiddetto Fondo Maroni), ma vanno spesi in modo non sbilanciato sulla sicurezza e prima accoglienza, cioè va investito di più sull'accompagnamento, sulla mediazione e sui percorsi di inclusione sociale a lungo termine. Certo, ci vuole coraggio politico essendo un tema complicato, difficile e impopolare. Spesso l'Assessore Majorino ci ha spiegato che per i rom sono disponibili solo le "vie ordinarie", cioè devono cercare di accedere ai servizi a cui accedono tutti. Chi non ha la residenza però non può usufruire dei servizi sociali, dei servizi per i minori, delle borse lavoro, di tutto il welfare. Insomma, ci sembra che questa logica di fare "parti uguali tra disuguali" porterà al fallimento i progetti di integrazione delle famiglie rom. 
Recentemente hai scritto su Famiglia Cristiana di una bambina a Segrate sgomberata e trattata peggio del suo cane, accolto in un canile municipale. Parli però anche della condizione precaria lavorativa del padre, costretto a lavorare in nero per 100 € alla settimana, 8-10 ore al giorno per 6-7 giorni la settimana: sono molti i casi di sfruttamento delle condizioni precarie dei ROM da parte di cittadini italiani? Sono molte le difficoltà che incontrate nell'ottenimento di contratti di affitto regolari a famiglie ROM? 
Chi lavora in nero, oltre che sottopagato, non può avere la residenza.
Tante volte si parla dei rom come di un "problema etnico", invece c'è un problema sociale. Molti vivono ad esempio in baracca non perché sono rom, ma perché sono poveri. Così è per il problema sociale del lavoro nero, ben diffuso nell'edilizia: in questi anni, molti uomini rom hanno lavorato, anche in nero, per costruire alberghi, case, cantieri della nostra città. Altri imbiancano le nostre case, o rifanno i nostri bagni: ovviamente nascondendo di essere rom per non essere licenziati. 
La difficoltà nel firmare i contratti di affitto è talvolta legata a questo: comprensibilmente i proprietari di casa chiedono buste paga e garanzie economiche che chi lavora in nero non ha. Un'altra difficoltà è legata al numero dei figli: per i rom, ma anche per i non rom, è difficile trovare una casa a prezzo contenuto se si hanno 3-4 figli.Certo, poi c'è una forte discriminazione legata all'etnia: se chi cerca casa o lavoro rivela di essere rom, quasi sicuramente la risposta sarà negativa. Questo è un problema culturale grave su cui tutti ci dobbiamo impegnare.
Potresti parlarmi delle borse di studio a ROM e darmi, per favore, i riferimenti per le adesioni? Puoi darmi anche l'indirizzo mail a cui richiedere di essere aggiornati sulle richieste di aiuto verso le famiglie ROM? 
Il clima culturale di questi anni ci ha fatto dimenticare che i rom sono prima di tutto persone, appena 160mila in tutta Italia, non più nomadi, per la metà cittadini italiani. I problemi ci sono, ma si dovrebbe ripartire da un dato: sono un popolo di bambini, il 40% è in età scolare. Per questo sarebbe bene decidere che una questione di 80mila minorenni va affrontata con la scolarizzazione per tutti e con un forte impegno sociale e di monitoraggio. Da questo, nasce il nostro investimento per la scuola, nello spirito dell'articolo 34 della Costituzione. Le borse di studio, corrisposte mensilmente alla famiglia dopo aver controllato la regolarità della frequenza, sono assegnate in casi di particolare difficoltà economica e spesso servono a coprire le spese connesse alla scuola. Chi vuole aiutarci può scrivere a santegidio.rubattino@gmail.com





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Re: ROM: tra sgomberi e paura alla ricerca di una soluzione
20/12/2013 Stefano Pasta
Carissimi amici,

vorremmo condividere con voi i passi fatti nell’ultimo periodo.



Alle famiglie che da parecchi anni affianchiamo e con le quali abbiamo davvero un rapporto che è di grande affetto e amicizia se ne aggiungono via via altre: la povertà avanza, il caso o il passa parola di chi già ci conosce ci mette in contatto.



Così è aumentato di parecchio il numero di bambini che frequentano la scuola, tutti hanno ricevuto un bello zaino e il materiale, di cui sono orgogliosi; naturalmente cerchiamo di seguire anche i percorsi scolastici andando a parlare con gli insegnanti, organizzando attività di doposcuola dove necessario, sostenendo economicamente le spese scolastiche come, ad esempio, le gite. Per chi ancora vive in baracca cerchiamo di offrire anche un servizio docce e guardaroba, in modo da permettere di andare a scuola sempre in ordine. Bisogna dire che lo sforzo delle mamme in questo senso è sempre molto grande e ammirevole se si pensa che per poter lavare i panni bisogna andare a prendere l’acqua con le taniche, spesso effettuando lunghi percorsi.



Da sempre mettiamo bambini e scuola al primo posto: la scuola è il primo luogo di integrazione, ma è anche il luogo in cui si apprendono gli strumenti per interagire con il mondo in modo autonomo e responsabile.

Le storie scolastiche dei bambini piccoli sono ovviamente quelle che hanno più successo, gli adolescenti purtroppo scontano un passato fatto di storie scolastiche frammentate, ma anche tra di loro vi è chi con impegno e volontà va avanti con successo: è il caso, ad esempio, di Lara, sedicenne, che frequenta la terza superiore. Le sue coetanee rom, come accade in tutte le popolazioni povere, lasciano la scuola presto, giocandosi così la possibilità di avere un futuro di lavoro, cultura, autonomia.



Nell’extra-scuola si sono aperte collaborazioni molto positive con gli scout milanesi. Inoltre tante e tante persone mettono a disposizione tempo, sostegno economico, aiuti di vario genere, facendo crescere la possibilità di aiutare e facendo crescere anche la solidarietà e la pace in questa città.



Ci sono anche famiglie milanesi che hanno “adottato” famiglie rom, seguendole nelle questioni di tutti i giorni che spesso sono sconosciute a chi per la prima volta abita in casa o vive in una metropoli.



Anche se con fatica, continuano anche i percorsi che hanno come obiettivo casa e lavoro. Il momento che attraversiamo rende tutto molto impegnativo, ma con la tenacia si riesce ad andare avanti. Molte mamme si sono rivelate ottime colf, badanti o addette alle pulizie e hanno meritato fiducia e stima di chi le ha assunte. Per gli uomini l’ambito di maggior impiego è quello edile, dove mettono a frutto le loro competenze. Allargare le possibilità di lavoro sarebbe veramente prezioso, quindi se avete occasione di aiutarci anche in questo senso, sarebbe molto, molto importante.



Alle attività che svolgiamo con le famiglie si affianca un dialogo costante con le istituzioni (Comune, Servizi Sociali, strutture sanitarie), al fine di operare verso obiettivi condivisi e di far fruttare al massimo le energie.



Alla scuola si affianca la Scuola della Pace, incontro settimanale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, che riunisce bambini di provenienze geografiche diverse, per proporre attività educative, momenti di festa ma anche di solidarietà. Anche quest’anno i bambini della Scuola della Pace sono stati presenti al Rigiocattolo a metà dicembre in una piazza centro di Milano, per un’attività di raccolta fondi a favore dei bambini dell’Africa (Progetto DREAM della Comunità di Sant’Egidio); hanno partecipato con entusiasmo, sperimentando così che la gioia di dare non dipende da quanto si possiede ma dal desiderio di essere vicino a chi ha bisogno. Anche se gli stessi bambini che erano in piazza si trovano in una situazione di grande bisogno, hanno imparato che nessuno è così povero da non poter aiutare qualcun altro. Meravigliosa è stata la frase di Sorina che, avendo saputo che a volte i bambini dell’Africa non hanno nemmeno una casa, ha esclamato con passione: “ma allora perchè non vengono nella mia baracchina!”



La frase di Sorina ci sembra un vero Presepe, cioè un luogo aperto con tutto il cuore e con tutta la spontaneità di una bambina a chi ha bisogno e cerca qualcuno che lo accolga.

Lasciamo che siano le sue parole di bimba delle baraccopoli ad indicarci la strada per un Natale sereno e aperto a tutti.



Chi volesse aiutarci può farlo con un bonifico a Comunità di Sant'Egidio Milano onlus, IBAN:IT 42 F 02008 01628 000100909828, causale: minori rom (è importante precisare la causale).Per facilitarci la contabilità,Le chiedo se può poi mandarci una mail a questo indirizzo.



Un caro saluto da

Stefano Pasta - Comunità di Sant'Egidio Milano onlus

Flaviana Robbiati, Assunta Vincenti - "mamme e maestre di Rubattino"


 
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