La vita di Adele

Palma d'oro a Cannes 2013, è uscito ieri nelle sale il film del regista tunisino naturalizzato francese Abdellatif Kechiche.
Storia dell'amore tra due donne e discorso esistenziale sulla condizione umana.

adele
In una provincia francese civile, colta, avanzata e compiutamente multietnica sboccia la storia d'amore tra due donne. Una sensuale quindicenne in crescita impetuosa, timida, golosa, insicura, incerta della sua bellezza, in una esitante e confusa ricerca di sé stessa. Seppur non del tutto confusa, perché già ha scelto la sua professione: si occuperà di bambini, per passione sì, ma anche per avere al più presto  un lavoro che le dia la sicurezza di cui ha un bisogno disperato. E un'altra, diversa, una pittrice, anche lei ancora giovanissima ma già al di là dei turbamenti e la disperazione dell'adolescenza, impegnata nella lotta, non esente da un'incipiente vena di cinismo tuttavia ancora respinta, per affermarsi come artista. Le due si incontrano del tutto casualmente e scocca la scintilla, il coup de foudre, la freccia di un Cupido che non bada certo a convenzioni, dato che tra l'altro di convenzioni riconosciute praticamente non ce ne sono più.

Il fiotto di emozioni è dirompente per entrambe, ma nella più giovane delle due future amanti si celano segreti forse più profondi. I ragazzi che pure la corteggiano e a cui lei in un caso si concede (per  tenerezza, per provare, per gli occhi e le parole indagatrici e il temuto giudizio delle amiche, tanto “normali” da essere, alcune, anche omofobe e avere il mito di Zidane e di Brad Pitt) non sono che simulacri, strumenti del suo goffo, disperato tentativo di essere anche lei “normale”, o di sfuggire a una solitudine che si sente crescer dentro.

Ma è lei, la ragazza dai capelli azzurri, la giovane artista dai modi sicuri e irridenti, che le scatena dentro la potenza antica dell'amour fou, quel genio cieco che dalla notte dei tempi sconvolge, afferra nei suoi artigli e porta in volo come un'aquila, cambia la vita, dona delizie e minaccia distruzione.

Solo che qui si tratta di due donne, e ogni pregiudizio deve esser rigettato se si vuol tentare di capire. Le due si amano, la più giovane scopre solo tra le braccia dell'altra tutta la potenza dell'eros giovanile. E le scene sono numerose, esplicite, prolungate, quasi violente. Giovani corpi stupendamente femminili intrecciati, frementi,  sobbalzanti, gementi. Il rumore delle mani, perfino, che colpiscono sonoramente le carni delle natiche, tenere e chiare, ci rendono crudamente la profondità della loro estasi di creature, in quei momenti di felicità, quasi abissale.

Non c'è bisogno del maschio, ridicolo e lontano sembra qui il mito, freudiano e maschilista, dell'invidia del pene. Il pene non c'è, non manca, e quando c'è non è certo uno scettro, non decide, non risolve. Nemmeno per causare maternità è più necessario. Ma neppure la fine del dominio maschile è una conquista di stabilità, perché l'amore segue le sue logiche implacabili, penetri nel regno di Priapo o in quello di Saffo. Così, dissolte le convenzioni, la religione assente, le famiglie - seppur entrambe comprensive, tenere, disperatamente dialoganti - ridotte a una sostanziale irrilevanza, l'amicizia, anche quella, quando non addirittura pronta a trasformarsi in anatema, non è né rifugio né frescura e refrigerio, ogni persona è sola con le sue pulsioni, fluttuante nel magma vulcanico delle passioni, destinata se non necessariamente alla rovina, quasi certamente ad una atroce solitudine.

E nemmeno la letteratura, il pensiero, l'arte sembrano giovare a molto. Adele cerca, legge con passione il Marivaux proposto dal liceo, maestro di sentimenti e di profondità. Tenta di capire con l'aiuto dell'amante culturalmente più attrezzata la lezione di Sartre che insegna il nostro esser condannati a rinunciare, per il fatto stesso di esser liberi, ad ogni garanzia di comodo. Si sforza di ascoltare, con buona volontà, anche le discussioni attorno alla pittura (“cupa” quella di Egon Schiele, contrapposto ad un Klimt troppo “fiorito”). Ma non è il suo mondo, questo tentare di essere intellettuali. A lei interessa l'amore, come a quell'altra Adele, la figlia di Victor Hugo interpretata da una Isabelle Adjani allora ventenne come oggi la nostra splendida protagonista, che nel vecchio film di Truffaut impazzì per non esser corrisposta da un mediocre ufficiale per cui ruppe, anche lei, gli schemi del suo tempo. E i bambini, sì anche i bambini interessano ad Adele, forse inconscio desiderio di maternità. Gli splendidi bambini che prefigurano un futuro in cui tutti i colori delle razze e tutte le libertà civili avranno sempre più piena cittadinanza. Tutto ciò è presente nella Francia del regista Abdellatif Kechiche, tunisino naturalizzato, assieme alle famiglie rese insicure dalla crisi, alle grandi proteste studentesche, al venir meno delle tradizioni, ai nuovi conformismi e ai movimenti di liberazione sessuale.
 
Ma nulla, per quanto alto civile e avanzato, può essere rifugio sicuro contro il destino umano, il fantasma, il genio che oggi brucia e domani si trasforma in ghiaccio. Perché per Kechiche come per Sartre, alle cui idee esplicitamente si ispira, non c'è nessun piano provvidenziale, nessun ordine razionale e l'essere umano, uomo o donna che sia, è e non può che esser libero, ma come prezzo della libertà le sue esperienze fondamentali sono e sempre saranno lo scacco e il fallimento. Così Adele, passato un anno o più, recandosi all'esposizione finalmente ottenuta dall' ex-amante che pure l'ha duramente ripudiata e delle cui opere è stata modella, musa e ispiratrice, viene garbatamente ma inesorabilmente ancora respinta. Sperimentando tutto il sapore dell'abbandono e del distacco a cui, in fondo con dolore, anche l'altra si adegua e si rassegna. E si allontana, Adele, di spalle, in un vestito, blu come i capelli e gli occhi dell'amante, in cui vorrebbe apparire più matura ma che invece neppure la veste troppo bene. Sola, come sola era rimasta un'altra struggente figura di adolescente, quella Maria Schneider che nell'Ultimo Tango di Bertolucci aveva ucciso il maschio uccidendo forse anche sé stessa.

Così il cinema francese, confermandosi luogo inimitabile e supremo per affrontare il tema dell'amore, consacra un'altra affascinante protagonista femminile e ci regala un momento altissimo di arte cinematografica e di riflessione sull'essenza della condizione umana.

Adalberto Belfiore

Nella nostra zona in programmazione al Plinius e all'Arcobaleno

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