In Valsassina, sulle tracce di Antonia Pozzi
Quando la poesia trasforma la vocazione di un luogo. Ora a Pasturo in Valsassina ogni angolo del paese è dedicato ad Antonia Pozzi e alla sua tenue poesia in punta di vita.
(Massimo Cecconi)24/07/2013
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Pasturo è un paesotto della Valsassina arrampicato lungo un crinale che lassù, più in alto verso il cielo, sfocia nella Grigna. D’inverno diventa buio presto perché il sole si nasconde dietro la montagna, d’estate gode di qualche ora di luce in più, mollemente adagiato tra prati e giardini fioriti.
Nel 1938, Pasturo era un paese di montagna come tanti altri di ruvide case di pietra con uomini baffuti, donne sdentate e bambini sporchi in cui passava le sue vacanze estive, nella sobria ma ricca casa di famiglia, Antonia Pozzi, anima inquieta afflitta da mal di vivere.
Sino al 2008, solo gli addetti ai lavori sapevano che Antonia Pozzi era stata una poetessa di intimismo romantico, colta e moderna, amante della montagna e della fotografia, giovane studiosa di filosofia all’Università Statale di Milano, amica e complice di alcuni tra i più eccellenti intellettuali dell’epoca, liberali e antifascisti (Antonio Banfi, Remo Cantoni, Vittorio Sereni, Dino Formaggio, Enzo Paci)).
Nel 2008, appunto, in occasione del settantesimo anniversario della sua tragica morte (ma può la morte non essere tragica?) le cronache (nel senso buono del termine) tornano a occuparsi di lei attraverso l’organizzazione di convegni sulla sua figura e sulla sua opera e la realizzazione di un film che cerca di raccontare gli aspetti più intimi e reconditi della poetessa.
Il film di Marina Spada si intitola “Poesia che mi guardi” (2009) da un verso della stessa poetessa, principalmente prodotto dalla Provincia di Milano che, in quel tempo, dedicava un certo impegno nel conservare memoria di vicende e persone degne di memoria.
Da allora, la curiosità intellettuale ha abbondantemente scavato nella vita di Antonia Pozzi, nelle sue inquietudini, nelle sue fotografie in un illuminante bianco e nero, nelle sue poesie che manifestano ansia di vivere e serenità ritrovata, curiosità intellettuale e sgomento, abilità descrittiva e abbandono amoroso. Tra le righe, traspare una religiosità irrisolta che naviga a mezz’aria come un grosso cruccio sospeso.
Nel 2013 è in fase di produzione un nuovo film sulla Pozzi che segue alla realizzazione di spettacoli teatrali e di rappresentazioni di varia natura.
Antonia Pozzi scelse di uscire dalla vita in punta di piedi, sdraiandosi in pieno inverno in un campo nei pressi della Abbazia di Chiaravalle, perdendosi dietro il suo sogno di giovane donna inquieta e irrisolta. Aveva 26 anni.
«E poi - se accadrà ch’io me ne vada- /resterà qualche cosa/di me/ nel mio mondo».
E ancora: «Ho visto un pezzo di prato libero che mi piace», che sarà la sua dimora definitiva sotto le sue mamme montagne.
Se vi spingete fin quassù, ma non è molto distante da Milano, andate a visitare il piccolo cimitero di Pasturo e comprenderete il piccolo mondo sensibile di Antonia Pozzi.
Massimo Cecconi
Nel 1938, Pasturo era un paese di montagna come tanti altri di ruvide case di pietra con uomini baffuti, donne sdentate e bambini sporchi in cui passava le sue vacanze estive, nella sobria ma ricca casa di famiglia, Antonia Pozzi, anima inquieta afflitta da mal di vivere.
Sino al 2008, solo gli addetti ai lavori sapevano che Antonia Pozzi era stata una poetessa di intimismo romantico, colta e moderna, amante della montagna e della fotografia, giovane studiosa di filosofia all’Università Statale di Milano, amica e complice di alcuni tra i più eccellenti intellettuali dell’epoca, liberali e antifascisti (Antonio Banfi, Remo Cantoni, Vittorio Sereni, Dino Formaggio, Enzo Paci)).
Nel 2008, appunto, in occasione del settantesimo anniversario della sua tragica morte (ma può la morte non essere tragica?) le cronache (nel senso buono del termine) tornano a occuparsi di lei attraverso l’organizzazione di convegni sulla sua figura e sulla sua opera e la realizzazione di un film che cerca di raccontare gli aspetti più intimi e reconditi della poetessa.
Il film di Marina Spada si intitola “Poesia che mi guardi” (2009) da un verso della stessa poetessa, principalmente prodotto dalla Provincia di Milano che, in quel tempo, dedicava un certo impegno nel conservare memoria di vicende e persone degne di memoria.
Da allora, la curiosità intellettuale ha abbondantemente scavato nella vita di Antonia Pozzi, nelle sue inquietudini, nelle sue fotografie in un illuminante bianco e nero, nelle sue poesie che manifestano ansia di vivere e serenità ritrovata, curiosità intellettuale e sgomento, abilità descrittiva e abbandono amoroso. Tra le righe, traspare una religiosità irrisolta che naviga a mezz’aria come un grosso cruccio sospeso.
Nel 2013 è in fase di produzione un nuovo film sulla Pozzi che segue alla realizzazione di spettacoli teatrali e di rappresentazioni di varia natura.
Antonia Pozzi scelse di uscire dalla vita in punta di piedi, sdraiandosi in pieno inverno in un campo nei pressi della Abbazia di Chiaravalle, perdendosi dietro il suo sogno di giovane donna inquieta e irrisolta. Aveva 26 anni.
«E poi - se accadrà ch’io me ne vada- /resterà qualche cosa/di me/ nel mio mondo».
E ancora: «Ho visto un pezzo di prato libero che mi piace», che sarà la sua dimora definitiva sotto le sue mamme montagne.
Se vi spingete fin quassù, ma non è molto distante da Milano, andate a visitare il piccolo cimitero di Pasturo e comprenderete il piccolo mondo sensibile di Antonia Pozzi.
Massimo Cecconi