Impresa, impegno sociale e solidarietà. La Cooperativa Sociale Cidiesse
Abbiamo ricevuto in redazione un invito a partecipare ad un incontro con la cooperativa sociale Cidiesse, attiva da anni nella nostra zona, che ha avviato un progetto di formazione professionale ed inserimento lavorativo per i giovani reclusi nel carcere minorile Beccaria. Ci è sembrato importante far conoscere questa iniziativa, che in questo momento di grande difficoltà per la nostra economia reale si deve confrontare con un mercato in crisi e si propone di reintegrare nella società giovani svantaggiati fornendo loro un'opportunità di lavoro e di reinserimento nella società.
(PAOLO BURGIO)01/07/2013Mario
Olivieri, ex presidente e socio fondatore della Cooperativa Sociale
Cidiesse ci ha raccontato la storia di questa onlus, nata 24 anni fa
per svolgere attività di recupero di soggetti svantaggiati,
dedicandosi inizialmente ai tossicodipendenti e poi ai minori
soggetti a provvedimenti giudiziari. Dal “Bullo al Bullone” è Il
progetto che la cooperativa sta portando avanti dal 2011.
L'obiettivo
è quello di evitare che i giovani sottoposti a misure di restrizione
della libertà o reclusi nel Carcere Minorile Beccaria, una volta
scontata la pena, non riescano a trovare lavoro e non siano quindi in
grado di reinserirsi pienamente nel contesto sociale, diventando
recidivi, ed iniziando quindi un percorso di emarginazione o di
delinquenza abituale.
E'
il lavoro che conferisce dignità alle persone e che consente di
integrarsi nella società, chi è privo di preparazione professionale
e non ha un minimo di credenziali per ottenere un lavoro, sopratutto
oggi, ha ben poche prospettive di realizzazione personale.
Dal
bullo al bullone.
Cosa fa la cooperativa e come è articolato il progetto? La cooperativa realizza e vende quadri elettrici industriali, per il comando ed il controllo di apparecchiature ed impianti (linee di produzione, gruppi di pompaggio, ascensori, etc) ed impiega quindi personale specializzato. Nell'ambito del progetto “dal Bullo al Bullone”, elaborato rispondendo ad un bando della Fondazione Cariplo, è stato attrezzato all'interno del Beccaria un laboratorio di assemblaggio quadri, in modo da consentire anche ai minori reclusi, che volessero aderire, di iniziare un apprendistato, essere formalmente assunti con regolare contratto e, una volta messi in libertà, continuare senza soluzione di continuità il rapporto di lavoro presso il laboratorio esterno della cooperativa. I giovani (o meno giovani) dopo aver acquisito la necessaria preparazione ed esperienza verranno poi aiutati a trovare occupazione presso altri datori di lavoro.
Per poter dare una formazione professionale occorre ovviamente operare sul mercato, acquisire ordini e produrre, confrontandosi con la concorrenza in termini di qualità e prezzi. E questa è la grande sfida che la cooperativa ha dovuto affrontare, resa ancora più impegnativa dall'attuale situazione di crisi, con la perdita di molti clienti, fabbriche che hanno chiuso o che hanno grosse difficoltà economiche. Da un lato quindi ha dovuto diversificare la produzione, dall'altro innovare e puntare su prodotti maggiormente qualificati sul piano tecnologico. Oltre alla difficoltà del mercato, la cooperativa deve anche sostenere il maggior onere che le deriva dall'obiettivo perseguito con il progetto di reinserimento.
I costi di formazione degli apprendisti ed il mancato utilizzo di queste professionalità, una volta terminato il periodo di apprendistato, non costituiscono un investimento dell'impresa, ma un bagaglio professionale, che verrà messo a frutto altrove.
Il
sostegno finanziario ricevuto dalla cooperativa è appunto destinato
a questo scopo; permettere di fare formazione professionale ed
operare inserimenti lavorativi in modo concreto, produttivo e quindi
efficace, coprendo i costi aggiuntivi, che non è possibile sostenere
con la sola attività di impresa nella attuale fase di congiuntura
economica, ed aggiungerei politica.
Nel
bilancio 2012 a fronte di un fatturato di circa 500.000 euro il
contributo finanziario ha rappresentato una quota del 15% circa ed è
servito a coprire i costi di formazione di 7 apprendisti, in una
struttura lavorativa che comprende 9 persone, stabilmente impiegate
per lo svolgimento dell'attività di base, con risultati di gestione
“industriale” in pareggio (la cooperativa è nata come onlus e
non prevede quindi la corresponsione di utili ai soci). Se
consideriamo quindi il “ritorno” dei contributi erogati a fronte
del risultati ottenuti in termini di solidarietà, oltre che di
occupazione diretta, direi che dovremmo proporre la cooperativa per
un premio “Oscar alla capacità di imprenditorialità sociale”. I
contributi sono stati erogati dalla Fondazione Cariplo, dal Comune di
Milano, da EnelCuore e da soci e sostenitori privati.
Qualche
considerazione personale a margine.
Tre sono le considerazioni che mi vengono in mente. La prima che gli interventi a sostegno della formazione in Regione Lombardia, pur raggiungendo livelli cospicui (salvo errori 280 milioni di euro negli anni passati tagliati a circa 80 per il corrente anno) sono stati utilizzati in gran parte per il sostegno allo studio di chi lo studio se lo può permettere, o in corsi di formazione in gran parte inutili ed inefficaci. Sarebbe interessante avere notizia di qualche esempio virtuoso di buon impiego dei fondi regionali per favorire l'apprendistato e la formazione al lavoro dei giovani o il reinserimento al lavoro dei meno giovani.
La
seconda che proprio in questi giorni si discute degli F35, per
impegnare l'Italia in un programma di acquisto di aerei da
combattimento dal costo abnorme e di utilizzo problematico, dato che
ci renderebbero totalmente dipendenti da altri per la gestione e la
manutenzione degli stessi. L'unica giustificazione addotta (a parte
il ridicolo e direi offensivo slogan coniato dal ministro Mauro, che
per amare la pace bisogna armare la pace) è quella occupazionale,
daremmo lavoro ad un certo numero di lavoratori (mi pare 600)
impegnati nell'assemblaggio di alcune parti dell'aereo in uno
stabilimento già realizzato a Cameri, spendendo 3 miliardi di euro,
ossia 5 milioni di euro per addetto, investiti solo
nell'infrastruttura necessaria ad avviare un'attività in cui non
abbiamo alcun controllo e che non ci fa acquisire alcun know-how, in
base ad impegni contrattuali che non è dato di conoscere, essendo
coperti dal segreto militare, un bell'affare di certo. E nemmeno la
triste esperienza delle cattedrali nel deserto create in Italia in
passato, finanziando con i soldi dello stato iniziative industriali,
senza creare occupazione e prospettive di lavoro adeguate alla realtà
locale, è dunque servita a qualcosa. La categoria dell'interesse dei
cittadini e del bene comune non pare contemplata dalle menti di chi
ci rappresenta in parlamento e di chi ci governa. Richiederebbe certo
maggior impegno e sarebbe certo più difficoltoso operare sul
territorio per rispondere in modo più serio ed efficace alle
esigenze reali dell'economia del paese.
L'ultima
considerazione è che avremmo bisogno di molte altre iniziative
imprenditoriali come quella della cooperativa Cidiesse, certo “sui
generis”, ma importante per la cultura imprenditoriale che afferma,
dove il profitto non è l'obiettivo da perseguire. Certo il profitto
resta una condizione necessaria ed indispensabile per la
sopravvivenza e il buon andamento di ogni attività imprenditoriale,
ma pensiamo che se l'impresa tenesse conto anche delle condizioni
sociali entro cui si trova a operare, potrebbe trovare lo stimolo per
sviluppare nuovi prodotti, migliorare le tecnologie ed i processi
produttivi. La delocalizzare per risultare competitivi impiegando
mano d'opera a basso costo in contesti locali ove non si rispettano
li diritti umani e civili forse non è l'unica soluzione e la crisi
attuale non sarebbe forse così grave, se la cultura di impresa
dominante non fosse così poco attenta alle istanze sociali.
Paolo
Burgio
Per avere maggiori informazioni e sostenere l'attività di questa cooperativa: