La violenza sulle donne: quale giustizia?

"La procura non prende sul serio le denunce". Questo il grido di allarme e accusa delle avvocate e operatrici dell'Associazione Casa accoglienza delle Donne Maltrattate (Cadmi) alla procura di Milano. Presentati il 14 maggio alla Libreria delle donne di Milano i dati dell’Associazione Casa accoglienza delle Donne Maltrattate per l’anno 2012, messi a confronto con i dati dei Centri Antiviolenza della Regione Lombardia, e quelli raccolti nella ricerca delle avvocate dell’Associazione sui procedimenti giudiziari, riguardano le donne che denunciano i maltrattamenti subiti e rivolgono domande alla giustizia. ()
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"Non ci siamo".
Con il crescere dell'interesse mediatico sulla violenza contro le donne, non solo il femminicidio viene spesso strumentalizzato ma ci si allontana dai reali problemi culturali e strutturali che riguardano le donne maltrattate. Un indice contro le istituzioni politiche, la magistratura e le forze dell'ordine.
Ma è la Procura milanese in questo caso a essere presa di mira: su 1.545 denunce per maltrattamento in famiglia (articolo 572 del Codice penale) presentate da donne nel 2012 a Milano, dal Pubblico ministero sono arrivate 1.032 richieste di archiviazione; di queste 842 sono state accolte dal Giudice per le indagini preliminari. La situazione non è migliore per il reato di stalking (articolo 612 bis del codice penale, introdotto nel 2009).
Su 945 denunce fatte nel 2012, per 512 è stata richiesta l’archiviazione e 536 sono state archiviate. Reato in crescita se si considera che le denunce nel 2009 erano 430.
Tendenza ad archiviare quindi, ancor più in tempi di crisi dove il fattore economico ha il suo peso: aumentando le denunce, aumenta il carico di lavoro complessivo ma questo, da solo, non appare una spiegazione sufficiente. In realtà il fenomeno della violenza familiare viene decisamente sottovalutato quasi "occultato" e ridotto frequentemente a semplice "conflittualità familiare". Situazione poco incoraggiante per chi decide di denunciare, alimentando la scarsa fiducia nella giustizia da parte delle donne che non si sentono sufficientemente tutelate. Ma sono le prassi usate dalla procura, spesso utilizzate in maniera strumentale anche per sfoltire il lavoro, a contribuire ad alimentare indirettamente la non reale percezione della violenza familiare contro le donne e la stessa sfiducia nelle donne.
Archiviare "de plano" cioè senza avviare nessuna indagine rilegando il tutto ad una banale diatriba familiare, richiesta di ammonimento, forma di mediazione, al posto della denuncia, ricorso alla mediazione gestita dalla Polizia Municipale (!) soprattutto per i reati di stalking, «come se si trattasse di casi legati a cause civili non a violenza e quindi perseguibili penalmente», spiega Francesca Garisto, avvocata Cadmi.
Situazione grottesca se si pensa a entrambe le parti convocate alla polizia municipale per la mediazione quando la vittima e il suo aggressore non sono sicuramente in condizioni di parità. Da ricordare in proposito che la stessa Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmato nel 2012 anche dall’Italia, vieta la mediazione considerata espressamente a rischio per l'incolumità delle donne. Il risultato? Sono il 29,09 % le donne che hanno sporto denuncia rispetto al 67,27% che non hanno denunciato, mentre il 3,18% ha ritirato la denuncia secondo i dati raccolti.
Questo lo scenario che riconduce sostanzialmente al mancato riconoscimento e presa in carico del fenomeno. In Lombardia, come più volte denunciato, mancano i fondi con conseguente rischio di chiusura dei Centri Antiviolenza ormai al collasso, operanti in regione da oltre 20 anni e il finanziamento di iniziative concentriche. In sintesi, la legge contro la violenza sulle donne, in Lombardia varata a fatica a luglio 2012 è stata bloccata: i fondi non ci sono, i centri sopravvivono malamente sul volontariato e autofinanziamento.
Non ci stupiamo se il fenomeno del femminicidio non si arresta.

Marzia Frateschi


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