La resa

Racconto breve. Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale.
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Depero   Rotazione di ballerina e pappagalli  6cm
La signora Attilia socchiude gli occhi appoggiando la testa allo schienale della poltrona dove ormai passa la maggior parte della giornata. Da quattro anni non può quasi più alzarsi, se non con l’aiuto della figlia o della badante moldava che vive con lei.
- Mamma, sono arrivati. E’ ora di andare.-
L’anziana lancia un’occhiata attraverso la vetrata agli alti pini nel parco, appena mossi da una tiepida brezza di mare, della grande villa sull’Aurelia antica, alle porte di Roma. I suoi occhi, di un azzurro ceruleo e stinto, sembrano feritoie di una vecchia torre oltraggiata dal tempo.
- Io non mi muovo di qui, Amelia.-
 “E’ la mia ultima battaglia, Alfredo" pensa Attilia spostando lentamente lo sguardo verso un grande quadro appeso alla parete di fronte "ma non me ne andrò di qui, come mi hai fatto giurare sul tuo letto di morte. Non lascerò la nostra casa, non da viva.”
- Mamma, ho preparato tutto, ho fatto come hai voluto tu, tutto quanto come volevi: Adesso è tardi per ripensarci, ti prego. -
- Tu hai sempre pensato solo ai soldi. Non pensi ad altro. Non hai mai pensato ad altro. –
Amelia non è più una ragazzina. Da quando suo marito, un pittore cubano molto più giovane di lei, l’ha lasciata per andare a vivere a Madrid con un’altra donna, è rimasta completamente sola. Non ha figli, né fratelli. Solo uno zio, il fratello della madre, anche lui arrivato oltre la soglia dei novant’anni. Ma cosa conta lo zio, quel vecchio tipo di artista che vive da sempre in un appartamento al primo piano della villa sfuggendo ormai il contatto con tutti. Collezionista, pittore e fotografo più per passione che per talento, non è mai stato di alcun aiuto. E da un anno ha cominciato anche a dar segni di evidente demenza.
- Ma cosa dici, cosa dici mamma. A me non è mai importato niente dei soldi, lo sai benissimo. Me ne sono andata via appena ho potuto, senza chiedere niente, proprio per non pensare a voi e ai vostri soldi. Ma adesso sono finiti, finiti capisci?-
Un fremito scuote la vecchia signora come fosse stata colpita da una frase ingiuriosa.
-Non è vero. Ho venduto la casa di Anzio. Mi hai costretto tu a venderla. Paga con quei soldi. Liquida tutti e lasciami vivere in pace i miei ultimi giorni.-
Da ormai più di cinque anni, ogni volta che Amelia deve toccare il tema delle spese, altissime, per il mantenimento della grande villa, delle due badanti, del custode e della domestica, la signora rinfaccia alla figlia la vendita della residenza estiva di Anzio.
- Sono passati cinque anni mamma, cinque anni. Non ricordi che eri piena di debiti? Non è rimasto più niente, lo sai bene, più niente. –
Attilia getta alla figlia un’occhiata di profondo disprezzo, una di quelle occhiate che in passato avevano provocato in Amelia una disperata voglia di piangere.
- Non è possibile. Ti ho chiesto di farmi vedere i conti, ma tu ti rifiuti. Vendi i quadri allora, i mobili, l’argento, i tappeti. Ma io non me ne andrò dalla mia casa. Non da viva.-
-Te li ho fatti vedere, te li ho sempre fatti vedere i conti, mamma. Non ho fatto altro negli ultimi anni se non curare i tuoi conti. E tutto quello che aveva qualche valore l’ho venduto o portato alla casa d’aste, lo sai. Solo il tuo Depero è rimasto. Mi hai detto di non venderlo e io non l’ho venduto, ricordi?  - la voce della figlia continua triste, dimessa, venata di rassegnazione – E’ venuto anche Giovanni, ti ricordi? Il commercialista. Ti ha fatto vedere le fatture, le ingiunzioni, gli atti, tutto. -
- Giovanni, chi è Giovanni?  Non mi piace, non capisce niente. E poi è un amico tuo. E’ Mario che devi chiamare, Mario Anselmi. Lui era amico di tuo padre, un vero amico. –
Anche Amelia, sentendo quel nome, ha un fremito e la sua voce si alza senza che nemmeno lei se ne accorga.
- Mamma, mamma! Ancora mi tiri fuori Anselmi. Ti ho detto che è morto, morto, capito? -
- Non è vero, bugiarda. Adesso sono sicura che menti, che mi hai sempre mentito. Mario ha telefonato proprio ieri. Me l’ha detto Alina. Voleva parlare con me, ma dormivo. Alina gli ha detto di richiamare. E lo farà, vedrai. Mi aiuterà, come ha sempre fatto. -
Amelia rimane interdetta. Quel disgraziato ha telefonato? Proprio adesso che deve portar via la madre, adesso che tutto è predisposto, che ha trovato finalmente un compratore e c’è dunque una speranza di salvezza.

Mario Anselmi è un vecchio spregevole imbroglione. Per anni ha abusato della fiducia della madre approfittando dell’amicizia con suo padre, risalente ai tempi del primo fascismo. Assieme, i due amici hanno fatto grandi affari con le forniture al Regio Esercito. Suo padre, Alfredo Ferrari, era imprenditore tessile e Anselmi, iscritto al PNF subito dopo la marcia su Roma, gli procacciava gli affari, grossi affari col Ministero delle Colonie. Dopo la morte del padre, ormai quasi dieci anni fa, Anselmi, mentre Amelia viveva all’estero, si è metodicamente impadronito di quasi tutto il patrimonio dei suoi genitori. Creazione di società off shore, fittizie, un fallimento molto sospetto ancora oggetto di indagini, false fatturazioni: la firma di sua madre compare su tutto.

Amelia se n’era andata via di casa a vent'anni, per cercare di vivere la sua vita, di dimenticare le sue origini, la sua famiglia, che ha sempre detestato. Ma negli ultimi anni la madre la chiamava, le chiedeva aiuto. E lei si era decisa a tornare. Ha dovuto studiare tutti i documenti, i bilanci, le carte processuali, lei che si era sempre interessata solo di pittura. Ha faticato molto, si è stupita, angosciata, disperata, ma alla fine è riuscita a estromettere il vecchio imbroglione e salvare il salvabile. Lo ha liquidato accettando forse troppe delle sue condizioni, ma l’importante era strappargli la promessa, scritta, firmata e depositata dal notaio, di non farsi vedere mai più. D’altronde il dossier che aveva messo assieme su di lui ricostruendo con l’aiuto di Giovanni tutti i suoi intrallazzi era più che sufficiente per configurare una notevole mole di reati. Compresa l’evidente circonvenzione di incapace. Sarebbe bastato consegnarlo all’autorità giudiziaria per smascherare i suoi inganni grossolani e rovinarlo completamente. Ma la madre si fidava ciecamente di lui, quello era il problema. Forse lo amava, perfino, seppur senza mai arrivare ad ammetterlo. Dunque le aveva detto, per proteggerla, che Anselmi era morto in un incidente di caccia in Kenia, dove invece quell’essere infame vive buona parte dell’anno grazie proprio ai soldi della sua famiglia.
“Proprio adesso torna fuori, lurido topo di fogna! Non è possibile, non gli conviene.”
Ma un brivido freddo corre lungo la schiena di Amelia. Sarà per questo che mamma ha cambiato idea? Il pensiero che Alina ne debba necessariamente sapere qualcosa la induce ad avvicinarsi per suonare il campanello sul tavolino posto affianco alla poltrona.
- Perché, non mi credi?- freme l’anziana cercando penosamente, con un incerto movimento del braccio, di impedire alla figlia l’esecuzione del suo proposito -O non sopporti che ti abbia scoperta? Tu ci hai sempre disprezzato, me e tuo padre. Ma noi abbiamo lottato per quello che abbiamo. Tuo padre ha creato tutto questo dal nulla, col suo lavoro. Aveva dei valori, tuo padre, degli ideali. Ha sempre pensato a me, non mi ha mai abbandonata. Non come il tuo Ramón, quel negro che…-
- Basta mamma, non ti permetto. -
- … ti ha sposato per scappare da Cuba e ti ha piantato in asso appena ha potuto. -
- Vergognati mamma, meriteresti che ti abbandonassi al tuo destino. -
- Fallo, Amelia, fallo. Magari lo facessi. Anzi, ti ordino di farlo. Vattene e lasciami sola. Penserò io a tutto. Alina Alina! -
Amelia si ferma, ma Alina, la badante moldava, entra in quel momento dalla porta in fondo al salone, portando un vassoio con un bicchiere d’acqua e alcune scatole di medicinali. Amelia le va incontro, voltando le spalle alla madre.
- Alina... - tenta ancora di dire la signora Attilia radunando le forze.
Ma la sua voce si è abbassata, ora è quasi solo un lamento. Amelia sente una stretta al cuore. Ha capito in un lampo. Lascia che Alina vada dalla madre, senza dire parola.
- Cosa c’è donna Attilia, che succede? Lo sa cosa detto il dottore, no? Stare tranquilla. Adesso do sue medicine. -
- Alina, Alina, cosa ha detto Mario, quando richiama?- 
Alina approfitta del movimento necessario per appoggiare il vassoio sul tavolino e lancia uno sguardo ad Amelia. “Nessuno ha chiamato, nessuno” dicono gli occhi azzurri, onesti e smarriti di Alina.
Una rapida occhiata d’intesa intercorre tra le due donne.
- Lo vedi mamma? ti sei sbagliata, non era Mario. Mario è morto, mamma. Era il dottore. Vero Alina, che era il dottore? -
- Sì signora Amelia – conferma Alina nascondendo la sua agitazione - il dottor Marino, io detto Marino! -
- Vedi mamma? Perché vuoi farmi soffrire così?- Amelia sente le lacrime salirle agli occhi - Io ti voglio bene, mamma. Perché non ti fidi di me? -
- Fidarmi di te? Io fidarmi di te? Tu sei stata un errore, solo un errore! Ma mi sta bene. E’ colpa mia. Ho avuto una figlia incapace, che ha tradito sua madre e suo padre per andar via con certa gente, con certa gentucola senza … -
- Mamma, mamma, basta, basta!- 
Per un attimo Amelia risente il freddo della sua infanzia senza amore, i lunghi pomeriggi nel parco col suo adorato pastore tedesco, a cui parlava come a un fratello. In attesa del ritorno della madre, di una parola, una carezza che non arrivavano mai. Non riesce a provare odio per questa vecchia donna quasi paralizzata ma un pensiero atroce penetra da una qualche fessura della sua mente agitata: “che bello se morisse, finalmente.” Lo scaccia stringendo i pugni, sdegnosa, con un moto di ripulsa di tutto il suo essere.
- Ora dobbiamo andare, mamma. Alina, sei pronta? -
- Sì, signora Amelia. Gervaso è giù che aspetta. Dico salire? –
Uno sguardo smarrito al suo quadro adorato, un moto d’orgoglio, un freddo sapore di antiche cose perdute per sempre scuotono come onde marine la figura della vecchia signora. 
- No, non ti azzardare Alina. Vuoi la mia morte, vero Amelia? Dammi quelle medicine allora, dammele tutte. Io non me ne vado. Voglio che tu mi senta sulla coscienza, fammi morire, voglio morire. -
Amelia sente le lacrime uscirle dagli occhi, ma non si accorge di piangere, come se a piangere fossero gli occhi di un altro, di una bambola lontana nell'incerta scena di un sogno. La sua anima si tende in uno sforzo supremo.
- Mamma, io non ti abbandonerò mai, lo sai. Hai visto che bella la casa dove andiamo?  E’ vicina alla mia, e dalla finestra si vede tutto Monteverde. Ti ricordi? Hai detto che ti piaceva. Viene anche Alina, sai? Vero Alina che vieni anche tu? -
- Sì, signora Amelia, sì, signora Amelia - ripete Alina senza riuscire a trovare altre parole.
Attilia non risponde. I pini maestosi del parco stanno immobili adesso, come in attesa. Guardando sopra la vecchia consolle di rovere il suo amato Depero, dono personale dell’artista, le pare sentire ancora l’eco di parole lontane: è lei la mia ballerina, signora. Suo è il movimento, è la sua armonia segreta ciò che cercai di riprodurre e che ora le dono.
Forse anche l’anziana donna sente infine il sapore improvviso di una lacrima. Sapore di fuoco rappreso, tramutatosi in gelo. Immagini fluttuanti compaiono, danzano e si decompongono nei suoi occhi cerulei, ormai quasi spenti. 
- Alina, - sussurra alfine con un filo di voce, dopo un prolungato silenzio – dì a Gervaso che salga. -

Adalberto Belfiore


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Re: La resa
23/05/2013 Nadia Boaretto
Bel racconto, asciutto pur nel suo trattare di sentimenti, più che di eventi. Molto vicino a realtà di varie persone che conosco. L'aridità affettiva cresce degli infelici, che compiono errori per inseguire l'amore. Se lo ricordino i genitori, anzi tutti.


 
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