Dimissioni in bianco: il ministro Fornero ci riprova

Varata da Prodi nel 2007, abrogata appena dopo un anno dal governo Berlusconi, la norma sulle dimissioni in bianco è di nuovo nell'agenda del Governo per abolire una pratica illegale che obbliga la lavoratrice, all'atto dell'assunzione, a firmare una lettera di dimissioni priva di data che sarà utilizzata al momento del "lieto annuncio", cioè quando la donna annuncerà al suo datore di lavoro lo stato di gravidanza, aggirando così non solo l'articolo 18 ma qualsiasi forma di indennità prevista per legge.

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Una pratica tutt'altro che marginale, se è vero che, dati Istat, tra il 2008 e il 2009 ben 800mila donne hanno "mollato" in maniera più o meno volontaria il proprio lavoro per motivi legati alla maternità e che anche in Lombardia, regione con tassi di occupazione europei, ogni anno 5mila mamme si dimettono.
Il governo Prodi, con l'allora ministro Damiano, mise fine a questa pratica non solo eticamente inammissibile ma anche illegale, con la legge 188 del 17 ottobre 2007.
La norma imponeva l'obbligo di predisporre la lettera di dimissioni su un modello informatico messo a disposizione dagli uffici autorizzati e con numerazione progressiva (per evitare buchi temporali e scelte post-datate). La procedura doveva essere eseguita obbligatoriamente on-line collegandosi al sito del Ministero del Lavoro. Se l'iter previsto non veniva rispettato o il modello "scaduto", le dimissioni erano ritenute nulle.
Nel giugno del 2008 il governo Berlusconi cancellò tutto con un bel decreto d'urgenza, bollando la legge come "burocratica".
Ora è nuovamente all'attenzione del governo, come ha precisato il Ministro del lavoro Elsa Fornero, "in quanto tale pratica pesa fortemente e negativamente sulla condizione lavorativa delle donne e sulla loro stessa dignità, costituendo una vera e propria 'devianza' dai principi di libertà alla base della società civile".

Sicuramente l'indebolimento delle lotte sindacali e politiche, centrate sui diritti e la dignità di chi lavora, hanno determinato in prima istanza certi fenomeni come la pratica indegna e illegale delle cosiddette "dimissioni in bianco".
Non a caso in Italia, pur in presenza di un mercato del lavoro altamente flessibile non solo per la presenza di un vasto precariato e di oltre 40 forme contrattuali, non solo per la presenza di un’ampia concorrenza nell’ambito del lavoro anche di bassa professionalità, ma sopratutto per l’assenza del sindacato nelle piccole e piccolissime aziende, è accaduto che questo fenomeno si sia potuto sviluppare colpendo i lavoratori in genere.

Ma se questa analisi appartiene alla realtà storica del nostro paese, non bisogna dimenticare un elemento fondamentale, e in fondo non è una scoperta, che ancora una volta sono le donne a subire storicamente queste discriminazioni andando a pescare profondamente nel ruolo della donna nella società, nel lavoro, nella casa e nel rapporto più generale tra uomo e donna, in una politica fatta dagli uomini per gli uomini in un contesto di cattolicesimo e produttività fine a se stessa.
In sostanza vengono toccati i diritti, non riconosciuti alla donna in quanto tale, indipendentemente dal grado di sviluppo e benessere raggiunto.

Nei rapporti con il mondo del lavoro i dati ci dicono che le donne subiscono i più alti tassi di disoccupazione, minori guadagni a parità di compiti e impegno, maggiori discriminazioni nel mercato del lavoro (le dimissioni in bianco per esempio).

Nell’ambito domestico subiscono il maggior carico familiare e le conseguenze economiche, l’assistenza domestica, per l’educazione ai figli, nonché per un alto numero di vittime di delitti compiuti nell’ambito delle relazioni primarie (famiglia e affetti).

Nell’ambito delle modalità di informazione e spesso solo i fatti di sangue o di gossip o pubblicitari le riporta in prima pagina.

Se guardiamo le percentuali delle donne che dichiarano di essere state costrette alle dimissioni per aver firmato le dimissioni in bianco e comunicate dall’Istat nel 2011, fra il 2008 e il 2009 sono state licenziate con questo sistema circa 800mila madri.

A essere maggiormente colpite le lavoratrici più giovani: i casi di dimissioni forzate riguardano il 13,1% delle donne nate dopo il 1973, percentuale che scende al 9,3% per le lavoratrici nate fra il ’64 e il ’73, al 7,9% fra il ’54 e il ’63, al 6,8% fra il ’44 e il ’53.

Il totale delle lavoratrici che lasciano il lavoro dopo la gravidanza, comprendendo anche le interruzioni volontarie, è pari al 15,1%. Significa che la decisione di lasciare il lavoro nel momento della maternità nella maggioranza dei casi è obbligata: il 15,1% è infatti formato da un 8,7% di dimissioni forzate e da un più basso 6,4% di dimissioni volontarie.

La legge che cercava di combattere il fenomeno delle dimissioni in bianco fu approvata dal governo Prodi e poi abrogata da Berlusconi .

È difficile valutare la reale efficacia di questa legge considerando il breve tempo di applicazione e pertanto se l’aspetto “burocratico” di cui si fece forte Berlusconi avesse un reale peso o meno. Sicuramente aveva il merito di fornire una forma di protezione alle donne specialmente nel momento della gravidanza.
Inoltre: sarebbe stato interessante avere ulteriori dati per comprenderne meglio il fenomeno e il peso nel lavoro, specialmente in quello precario colpendo quindi non solo le donne ma i lavoratori in genere.

Si parla ora di ripristinare la legge approvata dal governo Prodi ma senza conoscere il reale pensiero dell'attuale governo.
Possiamo solo sperare di non assistere ai soliti problemi, tipici della legislazione italiana, ovvero ottime leggi ma scarsa applicazione sia per mancanza di criteri applicativi, di fondi, controlli e sanzioni adeguate. 

Certamente le leggi devono essere fatte, rese operative e sanzionate pesantemente là dove sono disattese , ma nella condizione attuale di resa incondizionata alla crisi, se non riparte lo scontro sociale, anche le migliori leggi rischiano di rimanere sulla carta.
Ma occorre qualche cosa di più.

Sono le categorie, gruppi e settori sociali a rischio e, in particolare sono le donne, che subiscono le maggiori sopraffazioni e discriminazioni, e questa delle dimissioni in bianco è anche qualche cosa di più, che possono e devono imporre il proprio punto di vista ad un realtà, sindacale e politica, ancora al maschile rivendicando una propria autonomia politica là dove fosse disattesa:

"Se non ora quando?", è il momento giusto.

Vincenzo Robustelli, Marzia Frateschi (Comitato Zona 3)


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Re: Dimissioni in bianco: il ministro Fornero ci riprova
18/01/2012 Valeria Novellini
A quanto ha affermato il ministro Fornero nel suo comunicato del 3/1/2012 si intende rendere CERTA la data di rilascio e di validità delle lettere di dimissioni, il che implicherebbe grosso modo il ripristino della normativa precedente (lettere di dimissioni numerate progressivamente), di conseguenza impedendo di presentare dimissioni "strumentali". Il problema delle dimissioni in bianco è stato affrontato anche durante la recente presentazione alla Camera dei Deputati del "rapporto ombra" stilato dalla Piattaforma Lavori in Corsa: 30 anni Cedaw, dove la Convenzione Cedaw (Committee on the Elimination of Discrimination Against Women), adottata dall'ONU nel 1979 e ratificata dall'Italia nel 1985, è il trattato internazionale più completo sui diritti delle donne.


 
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