Ma siamo sulla strada giusta?
(Adalberto Belfiore per la redazione )17/04/2013
Fatto sta che le presenze, rispetto alla prima Due Giorni, quella del lontanissimo ottobre del 2011, si son più che dimezzate. Quasi cinquecento allora, meno di duecento oggi. Che cosa è successo in mezzo? Non credo sia né giusto né opportuno nascondersi dietro un dito e considerare fisiologico un calo di queste proporzioni.
Certo, la Giunta arancione fa fatica. L’eredità della destra pesa ancora, la crisi finanziaria, malgrado l’uscita del Comune di Milano dalla trappola dei derivati grazie a Corritore, il city manager che tanto ci aveva entusiasmati e che non si sa bene cosa stia facendo adesso, morde la città nelle sue carni vive. E i tentativi di risanamento, a partire da quelli controversi e non coronati da successo come la quotazione in borsa della Sea, non hanno evitato che il deficit comunale veleggi verso i 450 milioni (c’è chi dice addirittura il doppio) senza che peraltro ai cittadini sia spiegato bene come mai.
I progetti strategici, come l’wi-fi generalizzato e gratuito, ancora non decollano e il nuovo assessore al bilancio è costretto ad annunciare, tanto per cambiare, prossimi tagli lacrime e sangue. Anche le vicende politiche più vicine a noi, come il conflitto con Boeri, di cui peraltro in pochi hanno capito le motivazioni, non hanno certamente aiutato il senso della nostra appartenenza.
Insomma, è chiaro a tutti che siamo nel bel mezzo di una crisi non solo politica ma generale, di sistema, di cui non si può certo dar tutta la colpa a Pisapia. A meno di non essere beceri come i migliori esponenti della destra cittadina.
Ma tutto ciò non spiega il calo di partecipazione. Ci dev’essere dell’altro, perché la nostra gente non ha ancora perso la voglia di lottare. Forse il non detto, il non parlare della crisi, per esempio, la scelta di fare dell’evento più un momento di autocelebrazione che di effettivo approfondimento dei problemi, la carenza di informazione sulle difficoltà e sulle le decisioni, tutto ciò ha certamente un peso sul livello di partecipazione.
“Sono ornai anni che vivo lo stesso film.” mi dice qualcuno di cui non riferisco il nome per carità di patria “Ci vengono a cercare durante le campagne elettorali e poi, se si vuol fare qualcosa di duraturo, ci mollano. Ci considerano un optional usa e getta, buoni per raccattare facile consenso. Ci vedono come incontrollabili, come suscitatori dal basso di impegni che interferiscono con politiche e iniziative decise da loro. Lo abbiamo visto con le giunte di destra e abbiamo misurato ieri questo timore anche con la giunta di sinistra.”
Io non ci sono andato, alla Due Giorni, e non posso che riferire opinioni altrui, sentendomi pure abbastanza in colpa. Ma il peggio è cominciato già la sera di domenica, all’apertura della posta. “Una giornata ricca di delusioni”, il primo commento che ci leggo. E poi arriva la proposta per un pezzo il cui taglio dovrebbe essere questo: Un'esperienza da non ripetere (e che forse non si ripeterà più). Sempre meno gente, sempre più malumori, sempre più retorica. e sempre onnipresenti le "facilitatrici". La due giorni dei Comitati per Milano si è rivelata quel guscio vuoto che molti temevano...
Oddio, che cosa mai è successo, mi sono chiesto.
E’ successo che il tavolo sulla e-democracy, quello con più iscritti, e a cui avrei partecipato anch’io come membro della redazione di Z3, sembra sia andato proprio male. Il primo segnale, mi hanno detto poi, si è avuto già nell’intervento di apertura di Paolo Limonta. Il responsabile dell’Ufficio per la città nonché coordinatore dei Comitati ha sostenuto che “la partecipazione è quella faccia a faccia e non quella di chi schiaccia un tasto dietro a un monitor."
Niente male come premessa per tutti quelli che hanno passato anni a impegnarsi per l’estensione della partecipazione on line, tra l’altro in un momento in cui si sperimentano soluzioni innovative, da Porto Alegre alla Regione Toscana, e i 5 Stelle la stanno usando addirittura per scegliere il loro candidato al Quirinale, con l’uso sempre più diffuso di quegli strani aggeggi che di tasti e monitor per il momento ancora son composti. Non c’è che dire, Milano e i suoi Comitati sono proprio all’avanguardia. Ma era questo l’oggetto specifico del tavolo, questo l’importante tema in discussione. E invece si è dovuta registrare l’assenza, o meglio il dileguarsi, di Cristina Tajani, assessore alle Politiche del lavoro, con delega anche per l’innovazione e l’agenda digitale: l’assessore è sparito senza salutare né motivare in modo soddisfacente la sua decisione di non partecipare ai lavori, facendo mancare al gruppo le informazioni, ad esempio sugli esiti del bando relativo agli strumenti di Information Technology di cui si è dotato il Comune.
Eppure la questione all’ordine del giorno: di quali regolamenti e piattaforme software dovremmo dotarci per permettere a una Zona del decentramento di far decidere ai cittadini quale progetto scegliere riguardo interventi relativi alle deleghe ricevute, tutto questo poteva essere un terreno di sperimentazione interessante per un’amministrazione che intende fare di innovazione e partecipazione la propria bandiera.
Nulla di massimalista bolliva in pentola. Anzi, si era giustamente scelto un taglio basso e di scarsa confittualità, tenendo ben presente i requisiti di economicità necessari in questa situazione di risorse assolutamente scarse. Ma l’assessore ha pensato bene di svanire, lasciando il campo alle “facilitatrici”. Le quali per giunta hanno dato a molti l’impressione di aver avuto il compito di far passare un concetto di partecipazione general generico e preconfezionato, piuttosto che raccogliere con la necessaria imparzialità, passione, apertura e intelligenza le proposte in discussione. In questo modo, mi dicono, la loro funzione ha finito piuttosto per essere quella di “complicatrici” poco utili se non dannose. Come pensare che si sia trattato di casualità? Non è invece logico supporre una scarsa volontà di interlocuzione su un’ipotesi di lavoro strutturata con cui far davvero i conti?
Per fortuna gli altri tavoli sono andati meglio e alcuni addirittura molto bene, come quello sulle Case mediche, o su Corso Buenos Aires, che hanno potuto arrivare ad accordi operativi, grazie anche alla presenza degli assessori competenti. Però in un contesto generale in cui il tempo per la discussione e l’approfondimento dei progetti si è limitato a un’ora il sabato (durante la quale secondo le “onnipresenti” facilitatrici, si sarebbe dovuto discutere di quanto sentito nel plenario) e tre ore la domenica, ridotte nella pratica a due soltanto. Facendo i conti della serva tre ore scarse su sedici. E il resto del tempo? Ripartito fra interventi di esperti e interviste perfino eccessivamente compiacenti, con solo quindici minuti per domande libere, tanto da far pensare che la Due Giorni dei Comitati sia appunto stata concepita più come una “passerella” o una “attività di propaganda” che come effettivo laboratorio di progettazione partecipativa.
Il responsabile di uno dei tavoli, uno di quelli che è andato bene, mi ha detto al telefono di essere stato colpito, osservando su Facebook le circa 200 foto dedicate all’evento, dal fatto che nessuno sorrideva. Sarà un caso? O forse non è precisamente questo il modello di partecipazione che vogliamo, che sogniamo per Milano e i suoi Comitati, e di cui tutti abbiamo un gran bisogno.
Adalberto Belfiore