Quello che non c’aveva la biro

Enzo Jannacci se n’è andato e adesso Milano è un po’ meno Milano.

Se n’è andato avvolto dalla riconoscenza della sua città che, forse come nessuno mai, aveva cantato e raccontato.


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Jannacci Bikers

Nelle sue canzoni, ma sarebbe riduttivo definirle così, ci sono piazza del Duomo e il Duomo stesso (tetto compreso), Sant’Ambrogio e piazza Beccaria, ma ci sono soprattutto le periferie. Rogoredo, alla ricerca di diecimila lire sottratte con malizia, Baggio, dove Gigi Lamera, un’anima bella, ritagliava fiori nelle lamiere, e, naturalmente, l’Idroscalo che, dopo di lui, sanno cosa sia anche a Bari, che era poi la terra d’origine del suo nonno paterno.

Nella vita vera, la sua zona d’elezione si collocava, per chi viene dalla nostra zona, subito al di là di viale Argonne, quindi terra di confine per noi, in via Lomellina (Lomella, per gli intimi), via Sismondi e piazza Adigrat.

Salvo grossolani errori, Porta Venezia e Lambrate non compaiono nei testi delle sue canzoni. Fa eccezione l’Ortica, quella del palo della banda, ma il testo era di tale Walter Giovanni Nicola Pinnetti, per tutti Walter Valdi. Jannacci del Palo dell’Orticaaveva riscritto le musiche e ne dava un’interpretazione insuperabile, stracolma di umanissimi tic.

I più informati segnalano qualche sua frequentazione in zona alla pizzeria Rosy&Gabrieledi via Sirtori, molto frequentata anche da un tale Bettino Craxi, ma anche alla pizzeria Strambio 6, dove la denominazione corrisponde all’indirizzo, per un’ ottima pizza al trancio. Dicono che amasse, almeno sin quanto è esistito, il ristorante Giggi Fazidi piazza Risorgimento, per molti anni mitico luogo di cucina romana in città. Sulle sue ceneri, esiste ora uno dei tanti anonimi locali della moda, senza storia e senza gloria.

E ancora, il padre di Jannacci, maresciallo dell’Aeronautica, era di stanza al Comando di Piazza Novelli nei giorni più caldi della Resistenza. Milano come una grande mappa appunto in cui Jannacci si muove come nel soggiorno di casa, usando spesso una vecchia Vespa un po’ scassata.

Mi permetto un ricordo personale. Enzo Jannacci venne a Spazio Oberdan, dove io ho lavorato per oltre dieci anni, a parlare del suo rapporto con il cinema.

Parlò de L’udienza,un film epocale di Marco Ferreri del 1972 in cui interpretava un bizzarro personaggio che voleva a tutti i costi parlare con il Papa per rivelargli un immenso segreto. Parlò soprattutto di Romanzo popolare (1974) di Mario Monicelli di cui curò la colonna musicale e, con il suo straordinario complice Beppe Viola, i dialoghi in slang milanese. In quel film Jannacci canta una delle sue canzoni più strazianti, Vincenzinae la fabbrica, che rimane un capolavoro assoluto di sobrietà narrativa e di partecipazione umana.

In quel film, per nostra autoctona soddisfazione, le scene dell’esterno della fabbrica sono state girate alla ex Innocenti di Lambrate.

A conclusione del suo intervento, Jannacci si sedette al pianoforte e interpretò senza microfono proprio Vincenzina. Da brividi.

Uscendo dalla sala, gli raccontai che nel 1964 acquistai il mio primo 45 giri in assoluto. Era El portava i scarp del tennis, sul retro c’era Ti te se’ no, un altrocapolavoro. Gli dissi anche che, poiché non possedevo un giradischi, andavo ad ascoltarlo a casa di un mio compagno di scuola. Jannacci rise di gusto.

E siccome l’occasione è tentatrice gli dissi che la sua canzone a me più cara era El me indiriss, perché la sua infanzia era stata, anche se una generazione prima, la nostra stessa infanzia con le case popolari, i giochi da maschi anche un po’ violenti, il clima del dopoguerra che si era di fatto protratto per tutti gli anni ’50.

Fuori da retorica, con Enzo Jannacci se n’è andata una parte di noi che la biro gliela avremmo prestata per sempre.


(Massimo Cecconi)

Foto: Enzo Jannacci con il suo Vespone in compagnia di Fabio Treves con la sua Lambretta ( Per gentile concessione di Fabio Treves).

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Re: Quello che non c’aveva la biro
01/05/2013 nicla maya sambvani


Re: Quello che non c’aveva la biro
10/04/2013


 
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