A teatro e al cinema…a piedi! Il nipote di Rameau

In scena nella sala Shakespeare del Teatro ElfoPuccini sino al 10 marzo, il pamphlet filosofico illuminista viene rivisitato con arguzia da Silvio Orlando che ne sottolinea le assolute modernità.
()
Rameau 1
Denis Diderot, padre nobile dell’Illuminismo, scrive in forma di dialogo satirico “Il nipote di Rameau” a partire dal 1762, molto prima quindi della Rivoluzione Francese. La prima pubblicazione è del 1805, Diderot è già morto, ed è a cura di Goethe che la tradusse in lingua tedesca. La prima edizione francese risale al 1821. Questo per dire il travaglio che l’operetta di Diderot dovette subire, per i suoi contenuti iconoclasti,  prima di essere conosciuta dal mondo intero.
Da allora di acqua sotto i ponti della Senna, ma anche del Tevere e dei Navigli, ne è passata tanta. Resta però intatta la maschera universale tratteggiata  da Diderot nel plasmare uno dei personaggi più gretti e servili che mai siano apparsi in letteratura.

Il sedicente nipote di Rameau (il presunto zio Jean-Philippe era un rispettabile musicista e grande clavicembalista) è un cortigiano intrigante che non si perita di confessare al suo interlocutore in scena (Diderot stesso) tutta la sua esecrabile personalità di ruffiano compiaciuto. Il nipote Rameau è opportunista, corrotto, adulatore, amorale. Il peggio del peggio dunque, una sorta di cattiva coscienza della società di allora (in attesa della Rivoluzione) ma anche della nostra società. Colpisce l’assoluta modernità degli assiomi di Diderot che oggi si fanno riconoscere nel bosco e nel sottobosco della nostra politica.
Da apprezzare il triplice sforzo di Silvio Orlando (attore, regista, produttore) nel riproporre un’opera di non facile gestione, anche per via del linguaggio del testo originale a tratti desueto, arricchita sulla scena, per scelta di regia,  da una presenza femminile e da un clavicembalista che sottolinea i passaggi più scabrosi del dialogo tra lo sgradevole protagonista e il rispettabile filosofo.

Silvio Orlando, agghindato con una stopposa parruccaccia, utilizza movenze e cadenze mediterranee per rendere al peggio un personaggio che sembra persino emanare, agli occhi del filosofo, un’attrazione fatale, quasi a subirne il fascino perverso.
Dice Orlando in un’intervista raccolta da Maurizio Porro per il Corriere della Sera:” Mi ha aiutato Vespa nella regia. Mi ha suggerito come, circondando di attenzioni, premure, adulazioni il principe, gli si fa smarrire il senso del reale, lo si fa impazzire, esempi sono a portata di mano”.

Oppure, per dirla con Hegel:” Non c’è eroe per il suo cameriere; e non già perché quello non sia un eroe, ma perché questo è un cameriere”. In questo senso, il nipote di Rameau sarebbe il servo perfetto. Il dilemma però resta.

L’operetta morale è compiuta in perfetta unità di tempo, luogo e azione, come voleva un tempo il teatro classico, con una scenografia sobriamente evocativa.

Memorabile, nel testo di Diderot, l’affermazione:” Le mie idee sono le mie puttane”.
Come un vino da meditazione (Sauternes, naturalmente).




Il nipote di Rameau

di Denis Diderot
regia di Silvio Orlando
adattamento di Edoardo Erba e Silvio Orlando
con Silvio Orlando, Amerigo Fontani, Maria Laura Rondanini, Luca Testa (clavicembalista)

In programmazione al Teatro Elfo Puccini sino al 10 marzo.

Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha