Anche il CAD sfrattato dalle palazzine di via Apollodoro

L’ALER ‘sgombera’ anche lo storico Centro Aiuto Drogati, attivo dal ’68.
Ma la sua preziosa attività continua in via Wildt 27, tel. 02 715960.
La sua logica e i servizi che offre per vecchie e nuove dipendenze.
Anche per gli immigrati irregolari.
Un importante presidio di cui si parla troppo poco.
()
Drug Addiction web
Non è stato solo il Collettivo Lambretta a subire il recente furore possessorio dell’ALER nei confronti delle sue palazzine di via Apollodoro a Città Studi peraltro, come è noto, lasciate per decenni all’abbandono. In uno degli edifici liberty che si affacciano sulla via, la più stretta di Milano per la cronaca ma anche una delle più suggestive, operavano i 30 specialisti di un’importante realtà socioassistenziale attiva dal lontano 1968. Si tratta del CAD, il Centro Aiuto Drogati.
Li ho contattati per chiedere il loro parere sulla presenza del Collettivo Lambretta e mi sono trovato di fronte a una realtà di estremo interesse. Concordo allora un incontro col Presidente e il Vice presidente. Ciò che segue è il risultato di più di un'ora di conversazione.
Il Cad è un'associazione fondata dal prof. Alberto Madeddu, scomparso nel 1996, ai tempi primario di neuropsichiatria dell’Ospedale psichiatrico Antonini di Limbiate, il vecchio Manicomio. Mombello, o Mombell, come ogni milanese di una certa età ricorda senz’altro, forse per il rischio, sempre in agguato, di poterci finire dentro.
L’intuizione di Madeddu fu quella di non considerare il tossicodipendente semplicemente un malato, ma una persona vittima di un profondo disagio sociale oltre che personale. Il professore inaugurò un modello di intervento psicosociale e multidisciplinare alla tossicodipendenza e ancora adesso nel CAD ogni caso viene affrontato assieme da medici, psicologi, assistenti sociali, educatori e perfino avvocati. 
 
Ora, dopo lo sfratto intimato dall’ALER e finito per fortuna con una conciliazione, questo importante presidio ha dovuto sloggiare e trasferirsi  in via Wildt, presso la Stazione di Lambrate, dove gli è stata assegnata un’altra struttura. "Ma il modo ancor m’offende", si rammarica la signora Manduzio, vicepresidente e attivista, ricorrendo a Dante per stigmatizzare la logica "aggressiva ed espulsiva" dell’ALER medesimo.
 
Una storia interessante e avventurosa quella del CAD. Dalla fine degli anni ‘60 la droga iniziava a circolare con abbondanza nelle strade di Milano e nelle vene di molti ragazzi vittime del disagio. Strumenti e normative mancavano e il drogato, considerato un semplice delinquente, se veniva pizzicato finiva in galera e rischiava da 3 a 8 anni di carcere. A quei tempi, spiega il presidente Avv. Malcangi, non c’era neppure la libertà provvisoria, introdotta solo nel 1972 dalla Legge Valpreda (così chiamata perché permise la scarcerazione di Pietro Valpreda, l’anarchico accusato ingiustamente della strage di piazza Fontana) e anche il solo possesso di un poco di erba poteva rovinarti la vita.
 
Il prof. Madeddu, uomo di frontiera, per poter curare i tossicodipendenti col suo metodo innovativo - "commettendo anche reati", precisa Malcangi con un sorriso - li faceva passare per matti e li curava appunto a Mombell, salvandone molti. Ma da questa sperimentazione fuori dagli schemi nacquero i servizi pubblici dedicati a quello che intanto stava diventando un grave problema sociale. Fino al 1978 l’unico presidio a Milano furono proprio i volontari del CAD, a cui lo IACP (ora ALER) nel ’72 assegnò in comodato la palazzina da dove sono stati appena sloggiati. Per anni fu il Comune a garantire il servizio prima con contributi e in seguito stipulando una convenzione, tanto che il CAD era conosciuto (impropriamente) come una struttura dello stesso Comune di Milano.
 
Ma tutto cambiò, dice il presidente Malcangi, con l’avvento della giunta Moratti fino ad arrivare alla disdetta del contratto di affitto che ha costretto il CAD a passare alla condizione di "occupante senza titolo", più o meno come il dirimpettaio Collettivo Lambretta.
Malcangi, sommessamente, avanza l’ipotesi che ciò sia avvenuto per la nota generosa vicinanza della famiglia Moratti alla Comunità di San Patrignano e al suo fondatore Andrea Muccioli, controverso individuo accusato da molti suoi ospiti di violenze e soprusi e condannato per favoreggiamento nonché scampato ad una probabile condanna per "maltrattamenti seguiti da morte" di un malcapitato che aveva cercato di sottrarsi con la fuga ai suoi metodi. Il procedimento infatti si estinse in seguito alla scomparsa del Muccioli avvenuta nel ‘95.
 
Ciò che è importante notare è che al CAD sul problema delle dipendenze si sperimentano e si applicano da decenni metodiche inclusive e non invasive basate sulla volontarietà e non sulla costrizione. Un modello democratico per così dire che non è il più gradito alla cultura della proibizione e della repressione. Comunque poi vennero i CMAS, Centri medici di assistenza sociale, i NOT, Nuclei operativi tossicodipendenze e infine i SERT, Servizi tossicodipendenze, in una faticosa ricerca pubblica della formula giusta per affrontare il grave fenomeno. Ma il CAD rimane un punto di riferimento e l’avv. Malcangi, con legittimo orgoglio, mi fa notare che buona parte degli operatori dei SERT si sono formati da loro.
 
Ma che servizi offre il CAD? Innanzitutto accoglienza, ascolto e raccolta dati, visita medica, diagnosi di un’equipe multidisciplinare. E poi, in base alla diagnosi, avvio di un programma terapeutico che può essere ambulatoriale, semiresidenziale o residenziale, ossia presso un centro o una comunità d’accoglienza. In seguito colloqui di verifica, controlli e somministrazione di farmaci sostitutivi. Inoltre inserimento in gruppi diretti da uno psicologo esperto in dinamiche. Malcangi fa notare anche che mentre nei SERT il dirigente è un medico, al CAD è uno psichiatra.
 
Il lavoro è ed è stato notevole, con più di 13.000 casi trattati dalla sua fondazione e oltre 700 persone attualmente seguite (cartelle attive, come si esprimono qui). E non è mica tutto: da poco il CAD si occupa anche delle nuove dipendenze, quelle da gioco d’azzardo, videogiochi e internet. Oltre di quella da alcool che nuova non è. Ma non basta ancora: Il CAD è l’unico servizio che prende in carico gli stranieri tossicodipendenti irregolari, di preferenza con medici abilitati degli stessi paesi di provenienza. Hanno anche stabilito un metodo di identificazione autonomo (con foto) per i sens papier. E si occupano anche degli stranieri irregolari tossicodipendenti e carcerati. Come dire degli ultimi degli ultimi degli ultimi di questo mondo sublunare in cui ci è toccato vivere.
 
I risultati, ci tiene a dirlo l’avvocato, non mancano, perché il 50% delle persone che ricorre al CAD "ne esce" e il 70% "ha qualche beneficio". Anche se ricorda che la dipendenza, sia essa da droghe o da altro, non termina con la fine dell’uso, così come un giocatore d’azzardo compulsivo non finisce di esserlo se non ha più soldi in tasca. Ci informano anche che la Lombardia dal 2006 ha istituito i Servizi Municipali Integrati per la tossicodipendenza, uno a Milano e 10 in tutta la regione. Ma tutto è nato da qui, da questo Centro che è un modello di collaborazione fattiva tra pubblico e privato, nato dall’intuizione di alcuni pionieri e vissuto in tutti questi decenni grazie al il lavoro volontario di numerosi specialisti.
 
Però il fenomeno si è trasformato, spiega l’avv. Malcangi. Se negli anni ’70 le tossicodipendenze erano principalmente da eroina e Lsd, adesso quasi mai si tratta di una sola droga ma di policonsumo, con una diffusione altissima di cocaina e delle nuove droghe sintetiche, quelle da discoteca, che per giunta i giovani non vivono come vere droghe. E invece possono causare danni neurologicamente irreversibili, specialmente se associate all’uso di alcool, come purtroppo avviene. Con l’eroina, sostiene Malcangi, il recupero è più facile, mentre con le nuove droghe non si recupera più. 
 
Anche il quadro normativo si è evoluto. L’uso personale non è reato, nemmeno quello di gruppo, come stabilisce una recentissima sentenza della Cassazione. Lo spaccio invece è punito con una pena pesante ed è reato anche la detenzione di una dose che ecceda quella giornaliera ‘normale’. Anche se nella pratica, dice l’avvocato, la magistratura fa della legge un’interpretazione elastica. Ma soprattutto, spiega ancora Malcangi, chi si inserisce in un programma di recupero evita il carcere (fino a sei anni), ha una terapia gratis e può anche beneficiare dell’aspettativa per tutto il periodo della cura. Sempreché abbia un lavoro  a tempo indeterminato, naturalmente. Quindi lo Stato finalmente tenderebbe a rinunciare ad una logica sanzionatoria per sposarne una rieducativa, limitandosi a sanzioni amministrative, come il ritiro della patente o l’imposizione della terapia, e non penale. Tutto ciò per il contribuente rimane comunque meno oneroso del carcere.
 
Ma i ragazzi del Lambretta hanno davvero contribuito ad allontanare dalla zona gli spacciatori? Qui gli operatori del CAD ci vanno cauti. Sono venuti a presentarsi, dicono, e a discutere di possibili attività per la prevenzione. Confermano anche una modesta attività di spaccio in via Apollodoro e dintorni e ammettono che la presenza di giovani organizzati e non consumatori può fare da deterrente. Ma spiegano che la zona non è mai stata particolarmente affollata di spacciatori e che oggi lo smercio è più nascosto, sofisticato e si svolge prevalentemente in case private e in discoteca. I ragazzi del combattivo centro sociale però, impedendo che le palazzine fossero frequentate da consumatori, hanno certamente contribuito a fermare il degrado.
 
Già, comunque adesso anche il CAD è stato sloggiato e l’amarezza degli operatori è evidente. La nuova struttura, seppure più moderna, è più periferica e meno adeguata perché loro hanno bisogno di numerose stanze per i colloqui e le terapie di gruppo. Ma l’ALER procede con i tentativi, finora infruttuosi, di alienazione di tutto il complesso. E dunque sgombera, anche se quelli del CAD ricordano che sulla loro palazzina esiste il vincolo d'uso per scopi sociali. C’è da aspettarsi che neppure il Lambretta potrà resistere molto. Intanto un altro passo per far tornare il deserto in via Apollodoro è stato compiuto. 

Adalberto Belfiore


Commenta

Re: Anche il CAD sfrattato dalle palazzine di via Apollodoro
05/02/2013 Antonella Meiani


Re: Anche il CAD sfrattato dalle palazzine di via Apollodoro
02/02/2013 valentina schinetti

OTTIMO ARTICOLO, SCRITTO BENE MA SOPRATTUTTO CHIARO E COMPLETO


 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha