Per non dimenticare il Lambretta

Sono tornati, come le mosche di Bertoldo, a sfidare il potere.
Il quartiere li accetta e il Gruppo di acquisto solidale di zona si riunisce da loro.
I problemi che denunciano sono seri, reali. E attendono risposte.
 
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Dunque, come abbiamo già segnalato a suo tempo, il Collettivo Lambretta lo scorso ottobre ha rioccupato le palazzine Aler di Piazza Ferravilla. Appena un mese dal giorno in cui la Questura, piombata sui pochi ragazzi addormentati, aveva dato via libera all’opera di demolizione di quanto era stato costruito dopo gli anni dell’abbandono, le luci sono state riaccese, i murales rinnovati e i passanti tornati a sentire le voci e le risate degli stessi ragazzi di prima. 

Per scongiurare lo sgombero a nulla erano valsi gli appelli del Comune di Milano per una soluzione concordata e neppure la simpatia del quartiere e le prese di posizione del Consiglio di Zona. Su istanza del Consigliere regionale  Zambetti, in carcere per corruzione e concorso esterno con la ‘ndrangheta e dell’ottimo Loris Zaffra, (http://www.milanox.eu/chi-e-zaffra-boss-delle-case-popolari-in-lombardia) presidente dell’Aler e segretario craxiano del Psi fino ad incocciare in Mani Pulite e cavarsela a buon mercato con il patteggiamento, la legalità era stata ripristinata. Sigilli, lastre di metallo a porte e finestre, masserizie in discarica, servizi igienici spaccati a martellate e ragazzi sul tetto con i poliziotti a picchiare coi manganelli sul soffitto per non lasciarli nemmeno dormire. Sembrava fatta. Abbandono, incuria e desolazione potevano tornare a regnare in via Apollodoro in attesa che maturassero i tempi, dopo due aste andate deserte, per qualche bella speculazione o chissà cos’altro. Con calma. C’è tempo, magari ancora qualche decennio. Si sa che i grandi amministratori guardano lontano e non si fanno turbare dai piccoli affanni della gente comune.

Invece no. Sono tornati, come le mosche di Bertoldo, a disturbare i sonni dei nostalgici di La Russa, di De Corato e di tutti quelli pronti a strapparsi le vesti per la legalità, purché ciò non implichi occhi indiscreti sugli affari loro. Però fino ad ora la reazione della proprietà (pubblica) e degli opinionisti mainstream non è stata troppo veemente. Anche l’Aler si è limitata ad emettere una nota stampa di “condanna  delle continue aggressioni” subite dai centri sociali. Ciò non vuol dire che le palazzine siano definitivamente passate di mano, ovviamente. Qualcosa dovranno pur fare per recuperarle. Ma intanto il Lambretta ha ripreso a tessere la sua tela di attività e relazioni. In attesa che siano di nuovo cacciati con gran sollievo di tutti i benpensanti vale la pena di andare a vedere cosa combinano.

Dopo un po’ di rinvii dovuti ai vari impegni mi ricevono in una sala della prima palazzina. Anche se fa un bel freddo l’ambiente non è malaccio e i muri sono stati di nuovo imbiancati. Sedie, sgabelli e un divanaccio slandrato ad accogliere me e una decina di ragazzi coi loro piercing, i jeans sdruciti  e i capelli alla Peter Tosh. Sono Valentina, Sergio, Filippo, Ilaria, Margerita, e altri che non intervengono ma ascoltano attenti, specialmente quando parla Teo, barba nera da carbonaro e carisma da leader, uno dei tre sul tetto lo scorso autunno. Sanno che la nostra rivista e il Comitato per Milano di Zona 3 li appoggiano con calore e l’ambiente è cordiale ed allegro. 

Ci risiamo, siete tornati ad occupare. Vi siete proprio affezionati a queste belle palazzine?
Come le avete (ri)trovate?

Quando siamo rientrati, risponde Valentina, la situazione era tornata come prima. Porte scardinate, siringhe, degrado, gatti morti, gas tagliato… beh, almeno c’era la corrente. Abbiamo subito iniziato a risistemare e a proporre iniziative: il cineforum, spazio per le associazioni di quartiere, palestra, bar riammodernato. Tra poco ci saranno anche cene di finanziamento. “Vedi che non siamo choosy?” si intromette spiritosamente un ragazzo giovanissimo, causando le risate di tutti “Abbiamo anche laboratori, soprattutto quello di falegnameria.”
E poi ci sono anche le iniziative politiche – interviene Ilaria - con il Circolo Ponte della Ghisolfa ad esempio, sull’assassinio di Claudio Varalli e la strage di piazza Fontana, tutti con ragazzi dai 15 a 19 anni che se no non ne saprebbero niente.

Come è nata la decisione, non avete considerato alternative?

Risponde Sergio: ci siamo guardati attorno ma non c’erano spazi adatti. Abbiamo fatto un’occupazione simbolica del Rizzoli, un liceo abbandonato con ancora dentro tutto il materiale. Ma non era idoneo, era isolato e l’aggregazione veniva meno.
Filippo parla di politica: Comune e Regione, dice, non si occupano degli spazi vuoti, lasciati al degrado. Pensiamo anche all’emergenza abitativa: sempre lo stesso da decenni. Denunciamo l’ipocrisia dell’Aler e diciamo: una famiglia, un tetto. Invece quelli, a San Siro hanno appena buttato fuori una madre con una bambina che non sapevano neppure dove andare.

Cosa state facendo adesso, cosa è cambiato rispetto alla prima occupazione? Come ha reagito il quartiere al vostro ritorno? Che prospettiva vi date, non temete che anche questi sforzi risulteranno se non vani molto dispendiosi?

Sergio: in questo momento ci sono meno progetti e più precarietà. Comunque per il quartiere siamo senz’altro meglio noi del vuoto. Valentina: la gente passa, saluta, ci approva. Anche i negozianti sono contenti. Ricordati che avevamo raccolto più di 1000 firme contro lo sgombero. Avevamo anche un orto pieno di pomodorini e fiori di zucca – dice con un po’ di nostalgia Pietro, il falegname del gruppo, con i suoi capelli da rasta -e le piantine ce le avevano regalate persone del quartiere. E abbiamo anche un accordo con il Gruppo di Acquisto Solidale della zona: da gennaio si riuniscono qui da noi. E tutti i martedì abbiamo il collettivo degli studenti

Qual è il vostro obbiettivo strategico,  pensate o sperate che alla fine ve le assegneranno?
 
La risposta è un coro di no. Ma Teo prende la parola per spiegare che la loro prospettiva è restare. Dice che quest’occupazione è un laboratorio, che hanno fatto scuola e che da qui si possono aprire delle tendenze per il futuro.

Come pensate reagisca la proprietà, ossia l’Aler? Non temete un altro sgombero?

I ragazzi sbuffano e mugugnano e la loro risposta è un poco un compendio della logica dell’autonomia. Siamo un collettivo e se ci sgombrano resistiamo, dicono. Nel momento in cui occupiamo sappiamo che non siamo legali. Però siamo legittimi, più che legittimi, e cercheremo di fargliela sudare. Le modalità dipendono dalle situazioni. Come obbiettivo abbiamo la creazione di conflitto. Attraverso il conflitto e la partecipazione della comunità si arriva alla tutela dei diritti. Noi non cerchiamo lo scontro per lo scontro, ma vogliamo far emergere il conflitto sociale. Però non ci consideriamo un’avanguardia, perché siamo aperti a tutti. Teo è il più netto a rimarcare la posizione: non siamo contrari ad un accordo, ma il problema sono l’Aler e persone come Formigoni, Daccò e Zambetti. Loro sono legali e noi no? Noi non ci stiamo. Un accordo lo vogliamo trovare ma niente logiche privatistiche: se qualcuno vuole parlare con noi mette un tavolo in mezzo alla strada e tutti ascoltano.

Paolo Limonta dall’Ufficio per la Città del Comune di Milano si è speso per voi con il Questore, lo stesso Sindaco non vi è certo stato ostile e l’assessore Castellano vi ha invitati a “non alzare la soglia critica” del Comune. Per voi è importate o no avere un’interlocuzione con le istituzioni? Dal vostro punto di vista, quali sono le differenze tra questa e l’amministrazione dei Moratti, De Corato e soci? 

L’interlocuzione con le istituzioni è una bella cosa, dice Teo, ma noi abbiamo fatto 73 incontri istituzionali e il risultato è stato lo sgombero e tre persone a passare la notte sul tetto. L’assessore Castellano è una brava persona. Lo ha dimostrato ad esempio quando ha revocato l’assegnazione di uno spazio a Casa Pound. ‘Però lo ha fatto perché noi abbiamo fatto un gran casino!’ grida un ragazzo dal fondo sollevando un coro di consensi.  Teo continua: riconosciamo anche gli sforzi di Pisapia. Lo conosciamo bene il sindaco e sappiamo anche che come avvocato si è impegnato spesso per la difesa dei diritti. Ma da questa giunta ci sinceramente ci aspettavamo più coraggio. Anche su questo sono tutti d’accordo: ha fatto di meglio perfino Rutelli a Roma, con la Carta dei Centri sociali. O Guazzaloca a Bologna. Invece qui sia il Pd che Sel sono andati avanti per mesi a parlarci di Zambetti e di Zaffra  come persone brave e rispettate, come ha fatto la Questura. Nessuno ha attaccato Zambetti, neppure l’assessore Majorino. Perché? Noi semmai abbiamo buoni rapporti col Consiglio di Zona e con la Fiom.

Lo scorso novembre avete partecipato all’incontro di via Gadio sugli spazi del Comune da recuperare. Non accettate la proposta del Comune, ossia partecipare ai bandi per l’assegnazione degli spazi pubblici con tutti i crismi della legalità?

C’è dibattito, ma pensiamo che la delibera non risolva il problema perché non riconosce il valore dell’autogestione. Se ci venisse concesso uno spazio se ne discuterebbe in assemblea ma dovrebbero riconoscere la nostra legittimità. Ci sono realtà che non hanno statuto, presidente ecc ecc, ma ugualmente sono legittime. Devono riconoscere il lavoro che abbiamo fatto, non devono ridurci a un problema di ordine pubblico. Il vento è cambiato? Vogliamo fatti. La realtà è che ci vogliono troppi soldi per partecipare. Noi non ne abbiamo e la delibera non prevede aiuti. Hanno messo a bando anche la cascina Torchiera, che non è libera, ma occupata da anni. A Roma, a Genova e a Bergamo hanno assegnato direttamente degli spazi, anche con aiuti economici.

Come avete iniziato il 2013?

Intensamente, rispondono Valentina e Margherita: con cene e aperitivi di solidarietà, con una giornata di apertura al quartiere, col cineforum, riaprendo la palestra e il bar e riparando le attrezzature. Questa casa sembrava una bambina spogliata, dice ancora Teo, avreste dovuto vedere che desolazione. Anche i muri qui parlano. Fortuna che qualcuno ci ha insegnato a collegarci alla rete elettrica. Noi saremmo anche disposti a pagare, ma non vogliono farci il contratto. Insomma ci vorrebbero almeno 800 euro per rimettere le cose come prima. Per questo ci andiamo cauti. Aspettiamo segnali, negativi o positivi, ad esempio dalle elezioni.

Non sono fessi, questi ragazzi. Sanno che i problemi che sollevano sono reali e molto sentiti. Si sentono forti, come ci si sente forti a vent’anni e anche meno. Io invece, dopo i saluti e gli arrivederci faccio fatica a rimettermi in piedi dopo un’oretta seduto su quella trappola di divano. Li lascio alle loro attività e mi avvio per via Tiepolo. Mi ricordo che anch’io, quando ero studente, osservavo le belle palazzine di via Apollodoro già allora in abbandono, con la voglia di farci qualcosa. La schiena mi ricorda che quei tempi sono ormai lontani. Bravi loro che hanno avuto la forza e il coraggio di provarci. 'L’Italia è uno schifo, un inceppo di buorocrazia’ mi ricordo che così l’ha definita qualcuno, forse Teo. Vedo una serie di cartelli di ‘affittasi’ a due passi dalle palazzine occupate e mi viene l’ispirazione di telefonare. Per un bilocale di 40 metri quadrati, al quarto piano senza ascensore, chiedono 800 al mese più 140 di spese. Difficile allora dar torto ai giovani lanzichenecchi del Collettivo Lambretta.   

Adalberto Belfiore


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