Come è nata la previdenza sociale

Una storia di solidarietà. Pubblichiamo questo scritto ricevuto da un amico, Umberto Boselli, che ci narra l'esperienza vissuta dal padre, che aveva iniziato giovanissimo a lavorare in fabbrica nell'anteguerra. Il racconto ci induce a pensare che la solidarietà nasce dal basso, dagli umili che vivevano con dignità la loro condizione e volevano affermare i loro diritti quando la società poneva il lavoro come valore fondamentale da salvaguardare (come dice la nostra “bella” Costituzione), senza negare il valore della solidarietà.

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Gli operai dello stabilimento dove ho lavorato dai 13 ai 29 anni, dovevano cominciare il loro lavoro alle otto del mattino e partivano per tempo dalle loro abitazioni, quasi tutte poste nelle zone periferiche della città e nei piccoli paesi dei dintorni, distanti anche cinque o più chilometri e collegati da strade interrate che percorrevano col bello o cattivo tempo, con biciclette vecchie e malridotte.

Tra gli operai c'era un forte legame di solidarietà; si erano organizzati e nella pausa di lavoro, da mezzogiorno alle una, si aiutavano nel riparare le gomme delle biciclette, che subivano non meno di una foratura al giorno

Il mio ruolo di impiegato addetto alle paghe, mi portava a volte a contattare degli operai durante la pausa di mezzogiorno e avevo modo di osservare i loro miseri pasti a base di pane e di pasta o riso mal conditi, ma la cosa che mi stupiva maggiormente era il senso scherzoso e allegro che li accomunava.

Secondo alcuni studi antropologici anche gli operai di alcune miniere nel mondo, che vivevano in grande povertà e degrado ed in situazioni di lavoro pesante e mal riconosciuto, per attenuare le sofferenze, resistere alle fatiche e non subire devastazioni psicologiche, avevano trovato il modo di reagire con lo scherzo e la burla per superare le avversità con la fantasia prendendo in giro i padroni.

A quei tempi gli operai lavoravano a tempo pieno per sei giorni alla settimana.
Il sabato pomeriggio disponevo su un tavolone i mucchietti di denaro della paga, sopra dei piccoli foglietti (non c'erano ancora le buste-paga) sui quali avevo conteggiato, per ognuno, le ore di lavoro della settimana precedente, moltiplicate per la paga oraria meno le trattenute contributive. Alle cinque del pomeriggio smetteva il rumore dei macchinari e gli operai, in fila indiana, entravano in ufficio da una porta, ricevevano il loro piccolo gruzzolo, e uscivano da un'altra porta.
Un sabato un operaio mi disse in dialetto: la matematica non è un'estetica, qui mancano dei soldi! Gli feci osservare che per lui c'era una trattenuta in più. Lui riguardò il conteggio e commentò con ironia: sono brutto e sono stato penalizzato due volte: per non aver trovato una donna e per dover anche pagare una tassa a carico dei celibi! Ebbi modo di conoscere anche le famiglie degli operai: tutti vivevano in case degradate e malsane, con un solo gabinetto in condivisione con altre famiglie; i problemi di salute che ne conseguivano erano tanti e colpivano in prevalenza i bambini e i vecchi, scarsamente alimentati.

Tra le regole di lavoro vigevano le multe per ritardi o disattenzione e danni ai pezzi di produzione; erano piccoli importi che dovevo trattenere sulle misere paghe degli operai. I denari delle multe però si accumulavano e nel tempo ingrossavano una busta che tenevo nel cassetto del mio tavolo, perché nei conti della contabilità non avevano un preciso riferimento. Un giorno mi venne l'idea di utilizzare quel denaro per aiutare alcuni operai ammalati rimasti senza paga, con la conseguenza che nelle loro famiglie le condizioni precarie erano diventate pietose. Allora le assenze per malattia non erano retribuite.

Gli operai erano vittime di un capitalismo avido che aveva inventato e legalizzato la regola di pagare poco il lavoro delle braccia e di trattenere tutto l'utile derivante dalla produzione.

I proprietari dello stabilimento dove lavoravo, che ho imparato a conoscere e rispettare, erano impastati di capitalismo, quello che regnava in occidente da ormai tre secoli, ma in fondo avevano sentimenti da galantuomini.

Parlai ai proprietari della mia idea di come utilizzare il denaro delle multe e loro capirono la situazione e non solo mi autorizzarono a realizzarla, ma rilanciarono l'idea di aggiungere, da parte loro, nella busta delle multe, una piccola percentuale sull'intero importo delle paghe in modo da istituire un piccolo fondo di aiuto nei casi di malattia.

Il sabato successivo, al momento della consegna delle paghe, invitai gli operai a fermarsi e comunicai loro la disponibilità di quel piccolo aiuto. In piedi e compressi nel locale, parlottarono tra loro, apprezzarono l'idea e conclusero dicendomi che anche loro avrebbero contribuito a quel fondo con una piccola trattenuta sulla paga. Rimasi emozionato per quella rapida decisione che non mi aspettavo.

Nacque così una mutua interna di aiuti per malattia.

Per tanti anni quando occorreva, sono andato in bicicletta direttamente a casa di che ne aveva bisogno, per portare la busta con l'importo prestabilito, accolto come un portatore di manna; loro si sentivano anche onorati dalla breve visita di condivisione e conforto in un momento alquanto difficile.
Finita la guerra le difficoltà economiche generali perdurarono per alcuni anni, ma era giunta la libertà democratica e si formarono i sindacati a protezione dei lavoratori. C'era tanto lavoro, vennero assunti altri operai, arrivò un aiuto economico dagli americani col piano Marshall, nuove tecnologie con macchine autoamtiche; la qualità migliorò e la produzione esplose, mentre i fatturati raggiunsero apici che non erano immaginabili. Gli utili delle aziende aumentarono ed anche le retribuzioni dei dipendenti, ma mai in modo proporzionale. Gli industriali ed i sindacati cominciarono a incontrarsi senza astio per trovare accordi che accontentassero tutti e promuovere miglioramenti per la previdenza pensionistica, l'assistenza malattia e contro gli infortuni. Quel periodo di impiegato in uno stabilimento, a contatto con gli operai, è stato fondamentale per il formarsi dentro di me dei principi sui diritti e doveri, che mi hanno guidato per il resto della vita. Le successive esperienze mi hanno fatto riflettere sui problemi che riguardano le diversità, i cambiamenti sociali, il valore delle persone, in un'epoca dominata da un capitalismo ormai del tutto incurante di quelli che lavorano alla sua mercé, dove la solidarietà è un valore totalmente assente.

Miro Boselli
(a cura di Umberto Boselli)


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