Perchè ho scelto la Scuola Pubblica
(lettera ricevuta da Guido Maffioli)
(Guido Maffioli)13/11/2012
Sono papà di tre figli in età scolare, i miei figli frequentano le scuole pubbliche in zona 3 e io penso sia la scelta più valida: quanto successo all'IMI, ed il dibattito che ne è conseguito, me lo conferma ulteriormente. E non perché la scuola pubblica sia tutta rose e fiori, ma è un tipo di scuola in cui mi aspetto di trovare e ho diritto di chiedere tre cose fondamentali, che la scuola privata non potrà mai dare compiutamente ai miei figli e che ritengo irrinunciabili: un ambiente relazionale plurale e inclusivo, una didattica responsabile e dinamica, una gestione indipendente e trasparente.
1)
In una classe di Scuola Pubblica non c'è selezione di reddito,
culto, sesso, lingua e stato fisico. Significa che i miei figli
esercitano la loro capacità di relazione con tutti, femmine e
maschi, ricchi e poveri, figli di italiani e figli di migranti,
cristiani, agnostici, musulmani, figli di coniugati, separati, figli
senza genitori, .... E' una grande risorsa di conoscenza e di
apertura di mente e di cuore. E' alla base di un'educazione alla
cittadinanza in una realtà urbana complessa come Milano.
Solo
la rigidità dei bacini d'utenza (per intenderci, scuole "di
centro" / scuola "di periferia") può impoverire
questa realtà plurale (e questo andrebbe - a mio avviso -
gestito da amministratori e urbanisti, per evitarlo o limitarlo.) La
classe è una situazione sociale dove si creano occasioni infinite di
vivere in
prima persona i principi della solidarietà in tutti gli aspetti,
anche nei momenti difficili. Per i miei figli è un
insegnamento insostituibile, che trovo valido anche come credente,
ben più di molti catechismi.
Richiede
adattamento da parte di maestre e professoresse (non me ne vogliano i
colleghi maschi ma vista la loro presenza minoritaria uso il
femminile anche per loro...per una volta!). Devono adattare il passo
della classe a chi è meno dotato sulle intelligenze più tipicamente
scolastiche. Ma è uno svantaggio didattico, spesso temporaneo, che è
ampiamente superato dall'arricchimento di relazioni e di stimoli
vissuto con i propri coetanei. E, nella mia esperienza, almeno nella
scuola primaria, realizza un ambiente sereno.
2) I docenti non sono vincolati ad un metodo predeterminato. Questo non significa che lavorino a caso né che non trasmettano i valori etici. Anzi. Significa però che hanno il diritto e il dovere di assumersi la piena responsabilità delle loro scelte didattiche, non sono sotto l'influenza di chi li paga. E possono quindi adattarsi alla realtà dei bambini e dei ragazzi e mettere in campo le loro competenze o correggere le loro carenze. Possono evolvere: se un sistema non è efficace lo possono cambiare, possono usare lo spirito critico e interagire con i colleghi e con le famiglie. E possono valutare l'apprendimento e la crescita degli alunni in modo indipendente, perché le famiglie non sono i "committenti" della loro opera. Bocciature o promozioni non dipendono dalla gestione delle risorse economiche della scuola.
3)
La gestione economica della scuola è indipendente da gruppi o
poteri. E' povera e impoverita dalle scelte irresponsabili di tagli
che da decenni si susseguono. Ma, almeno in linea teorica, è
trasparente perché gestita collegialmente in organismi di
rappresentanza democratica, e nessuna componente ha ruolo per
decidere il destino dei corsi o di intere classi sulla base di scelte
unilaterali o su valutazioni di convenienza economica.
Il
fatto che, nel caso del passaggio IMI/FAES, la permanenza o meno
degli studenti sia oggetto di contrattazione mi suona davvero
aberrante.
Questa
riflessione mi fa anche essere fortemente contrario all'ingresso di
interessi privati nelle scuole pubbliche. La didattica della scuola
pubblica deve potersi mantenere indipendente da qualsiasi interesse
economico.
Questi tre valori cruciali della Scuola Pubblica, pluralità-responsabilità-indipendenza, forse non interessano ai genitori che hanno scelto IMI o FAES, ma - confido - sarà quello che troveranno i loro figli se dovranno trasferirsi nelle scuole pubbliche di zona.
Guido Maffioli