Affidamento condiviso: analisi e perplessità sul nuovo disegno di legge


Al Senato, in Commissione Giustizia, è in discussione un disegno di legge (n. 957) volto ad apportare alcune sostanziali modifiche alla normativa relativa all’affido condiviso dei figli in caso di separazione dei genitori (sposati o conviventi).
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Perplessità e preoccupazione per due elementi essenziali che emergono dal disegno di legge: la perdita di importanza dell’interesse superiore dei figli, non più considerato il principale fine da salvaguardare in ogni procedimento (consensuale o contenzioso) di separazione tra i genitori e l’irrilevanza di situazioni di violenza (fisica, psicologica od economica) posta in essere dal padre nei confronti della madre (e spesso dei figli, che assistono alla violenza). Viene quindi favorito in modo indiscriminato l’affido ad entrambi i genitori privando il Giudice, o i genitori stessi, la discrezionalità di adeguarsi alle reali situazioni di fatto di ogni singola famiglia. E, non ultimo, senza prevedere in cosa consista la "bigenitorialità" in termini non solo economici ma anche di responsabilità e di gestione quotidiana.
 
Questi, in sintesi, i punti più discussi del disegno di legge:
- irrilevanza del tenore dei rapporti tra i genitori ai fini della decisione sul tipo di affidamento.
I promotori del disegno di legge hanno probabilmente preso spunto per questa modifica da quella giurisprudenza che ritiene l’esistenza di un conflitto tra i genitori non pregiudicante l’affido condiviso.
Cristallizzare però in una norma di legge l’irrilevanza del tenore dei rapporti tra i genitori è un’imposizione ben più drastica. Significa non permettere di dare alcun rilievo non solo al conflitto tra i genitori (ed è difficile immaginare una separazione senza conflitti!) ma neanche a situazioni che vanno ben oltre il conflitto, per concretizzarsi molto spesso in situazioni di violenza agita dal padre nei confronti della madre.
Anche in questi casi, verrebbe impedito al Giudice di tenere conto di tali gravi comportamenti, ritenuti irrilevanti a fronte della necessità di assicurare l’affido ad entrambi i genitori, indipendentemente quindi anche da un accertamento sulle capacità genitoriali di un genitore che, se violento con la partner, presenta evidentemente profili di rischio - se non fisico, almeno morale - anche nella crescita ed educazione dei figli;
 
- perdita automatica dell’assegnazione della casa coniugale in caso di nuovo matrimonio o convivenza del genitore assegnatario della casa (e che la abita con i figli).
 Il disegno di legge tende a monetizzare ogni diritto, anche quello al godimento della casa familiare.
Se il genitore assegnatario della casa si risposa o inizia una convivenza, perde l’assegnazione della casa in cui i figli sono cresciuti e che la legge prevede venga appunto assegnata al genitore presso cui i figli sono collocati proprio allo scopo di tutelarli in un momento difficile come la separazione ed assicurare loro una continuità almeno dal punto di vista logistico.
Con questa norma, il diritto dei figli a restare nella casa familiare e a mantenere un equilibrio dal punto di vista abitativo cede a fronte del diritto del proprietario della casa a rientrarne in possesso. O forse, meglio dire, cede a fronte della volontà di punire il genitore assegnatario e quindi presso cui i figli sono collocati (la madre, il più delle volte), nel caso in cui questa si ricostruisca una nuova vita;
 
- obbligo per i genitori di intraprendere un percorso di mediazione prima di potere adire il Tribunale competente per domandare la separazione e previsione di sanzioni a carico del genitore che abbia causato il fallimento del percorso di mediazione.
Il disegno di legge prevede l’obbligatorietà della mediazione e ciò indipendentemente dalla realtà familiare e dalla realtà della coppia. Che senso può avere costringere una donna che ha subito (e spesso continua a subire anche nel momento della separazione) violenza da parte del partner (e la violenza non è solo quella fisica, ma anche quella psicologica ed economica, che rende la donna dipendente dall’uomo) ad intraprendere un percorso di mediazione? Nei casi di violenza non potrà mai esserci un rapporto equilibrato tra i partner e quindi nessuna mediazione può funzionare. Né è corretto obbligare la vittima di una violenza, o di una sopraffazione, a confrontarsi e rapportarsi con chi ha agito violenza nei suoi confronti.
Con questa previsione il disegno di legge punisce il genitore (la madre) che denunci condotte negative o pregiudizievoli dell’altro genitore, al fine di proteggere i figli e se stessa.
Allo stesso modo, c’è il rischio che in caso di abusi, o anche più semplicemente di un genitore che mostri scarse capacità di accudimento, se il figlio rifiuta di vedere il padre, non vi sia più la possibilità di indagare sui motivi di questo rifiuto, ma venga al contrario inteso come condizionamento della volontà del minore realizzato dalla madre, che potrebbe paradossalmente essere esclusa dall’affidamento, in quanto fomentatrice della volontà del minore.
 
 
In conclusione, il disegno di legge all’esame della Commissione Giustizia rischia davvero di togliere priorità all’interesse superiore dei minori, dei loro diritti e dei loro bisogni, ponendo al contrario una serie di norme e paletti estremamente rigidi per i genitori e per gli operatori e non lasciando spazio alla valutazione discrezionale della singola concreta realtà.
 
Avv. Barbara Fezzi
Diritto di lavoro e famiglia