I racconti di Mala Strana

Per il ciclo di letture “Luoghi letterari europei” Raffaele Santoro propone per il mese di dicembre la raccolta di racconti praghesi di Jan Neruda. Buona lettura. ()
Mala Strana immagine
Praga è tre città in una. La città piccola o Mala Strana, la città vecchia o Stare Mesto e la città nuova o Nove Mesto. La città piccola o Mala Strana venne fondata nel 1257, accanto alla città vecchia, come seconda città di Praga e gli abitanti parteciparono attivamente allo sviluppo architettonico del quartiere le cui case ne caratterizzano il volto. A Mala Strana si può infatti assaporare l'atmosfera magica di palazzi, piccole piazze, giardini profumati che conferiscono al quartiere una natura appartata e silente che è lo stesso Neruda a descrivere, già nel primo racconto, presentandoci Mala Strana in questi termini: “La Mala Strana (case e gente considerata in blocco) ha in sé qualcosa di silenzioso, dignitoso, antiquato, diremmo quasi assonnato”. Un'impronta quindi bonaria e un po' dimessa che i racconti di Neruda, nel ricreare quel mondo piccolo e placido nel quale sono ambientati, esaltano, dando vita a storie che, a prima vista, colpiscono per la loro semplicità naif, per la loro ingenua tenerezza, per la loro assurdità improbabile.
Il mondo letterario di Neruda attinge quindi da quell'universo umano che egli ben conosceva essendovi nato a Mala Strana, il 9 luglio 1834, ed essendovi vissuto proprio nella strada principale che, in onor suo, è stata poi ribattezzata con il suo nome, chiamandosi infatti Nerudova. Nei racconti di Neruda siamo quindi lontani da quei misteri e da quelle inquietudini, da quei labirinti e da quelle ombrosità che tanta letteratura praghese tra fine '800 e inizi del '900 ha evocato e rappresentato. Pur tuttavia i suoi racconti, nella loro ironica semplicità, contengono una loro vena “infida” che mette a nudo e smaschera un fondo ora grottesco, ora amaro; ora malinconico e ora persino crudele che rivela che anche tra quell'umanità, così apparentemente pacata e semplice, si svolgono sorde lotte, si inventano folli avventure, si conducono vite surreali, si intessono vicende farsesche, si verificano esiti tragici che rendono tutt'altro che sonnacchiosa e tranquilla l'esistenza di chi vive a Mala Strana. Siamo quindi di fronte a un microcosmo che diventa parte di un tutto assai più ampio, rispecchiando e contemplando un mondo solo apparentemente rarefatto, in realtà profondamente vivo, perché capace di essere caustico e feroce così come sa essere la vita.

In questo senso il pregio di Neruda sta proprio nel rappresentare tutta la sottile e sfaccettata “cattiveria” che aleggia nelle storie che racconta, dissacrando, di fatto, l'apparente bonomia dei suoi personaggi ed evidenziandone l'aspetto folle e assurdo. E, in virtù di questa sua caratteristica, Neruda appare antesignano e capostipite di quel filone della letteratura praghese connotato da una vena “surreale”, ma anche tenera e incantata, che troverà, nel corso del '900, il suo più alto interprete in Bohumil Hrabal. Neruda è quindi interprete e, al tempo stesso fondatore, di quella Praga che, oltrepassando la sua natura di luogo geografico, si fa luogo letterario, quella città' - libro che innalzerà, a partire da un substrato di realtà, la creazione di un vero e proprio immaginario e che costituirà un'inesauribile fonte di ispirazione per gli scrittori successivi.
Ed è proprio questo aspetto caleidoscopico delle storie e dei personaggi - che rende il variegato e mai prevedibile fluire della vita - che tiene insieme “I racconti di Mala Strana” (1877) di Jan Neruda. I protagonisti delle sue storie vivono infatti vicende che possono sembrare minime ma che, in realtà, trasformano quegli anonimi protagonisti in veri e propri personaggi che incarnano tutta la segreta umanità ma anche disumanità della vita rendendo quelle vicende delle piccole/grandi epopee. Come accade nel primo racconto, dal titolo: “Il signor Rysanek e il signor Schlegl” che, del racconto, sono i protagonisti, i quali, per undici anni, staranno regolarmente seduti allo stesso tavolo del più noto caffè di Mala Strana senza rivolgersi mai la parola, odiandosi ferocemente per un'antica rivalità d'amore. Il caso aveva voluto che finissero seduti a quel tavolo ed essi avevano continuato a sedercisi. Ma quell'odio silenzioso e testardo col passare del tempo aveva finito per unirli e si era esso stesso trasformato. E quando il signor Rysanek, per un periodo - essendosi ammalato - non verrà più al caffè, accadrà che, fattovi ritorno e sedutosi di nuovo al solito tavolo, lui e il signor Schlegl inizieranno a parlarsi e scopriranno che tra di loro si era ormai stabilito un legame che aveva trasformato quell'odio in amicizia.
Al contrario, nel secondo racconto, la vicenda avrà un epilogo assai diverso. Già il titolo paradossale, e cioè “Come un mendicante andò in miseria” ce lo fa presagire. Infatti il protagonista, il signor Vojtisek, un mendicante a tutti noto a Mala Strana e ben voluto diventa, all'improvviso, oggetto di dicerie secondo le quali egli non è affatto povero ma, bensì, è un possidente. Venutone a conoscenza il povero Vojtisek sprofonderà nella più cupa disperazione essendo tutto ciò falso ed essendo egli specchiatamente onesto. Affranto lascerà Mala Strana, smetterà di mendicare e, ridottosi in totale miseria, si lascerà morire. Anche “Come il signor Vorel si affumicò la pipa” si rivela un racconto dalle premesse bonarie che finisce però tragicamente. Il signor Vorel stabilitosi a Mala Strana e apertavi una bottega si predispone con le migliori intenzioni verso la nuova clientela che si augura di avere. Ma, proprio con la prima cliente, commetterà una gaffe che getterà su di lui una cattiva e ingiustificata nomea che gli alienerà l'arrivo di altri clienti. Il negozio, ben presto, finirà per non rendere e lui finirà per impiccarsi lasciando solo la pipa, che aveva fumato rabbiosamente fino all'ultimo, completamente affumicata. A questo filone “a sfondo tragico” è ascrivibile anche il racconto dal titolo “Hastrmann”, contrassegnato da una toccante tenerezza, il cui esito Neruda non ci dice esplicitamente ma che, nel non detto con cui conclude il racconto: “E il resto non lo voglio, non lo so più raccontare”, allude ad una conclusione tutt'altro che felice.

Ad un filone in cui prevale più spiccatamente l'elemento “assurdo-paradossale” è ascrivibile oltre al primo racconto anche quello dal titolo “Il cuore tenero della signora Ruska”, la quale signora Ruska, assidua frequentatrice di funerali, in realtà è una gran pettegola che ai funerali ci va per sparlare, di fronte a tutti, dei morti, suscitando irritazione e sgomento fra i presenti, finché non gli verrà letteralmente ingiunto, dal locale commissario di polizia, di non farsi più vedere a nessun funerale. Anche il racconto “Il dottor Guastafeste” ha per sfondo un funerale ed è incentrato su una vicenda che oscilla tra la farsa e il teatro dell'assurdo. Accade infatti che a un funerale, i cui partecipanti si atteggiano addolorati, essendolo in realtà fintamente, in quanto sono ben contenti della dipartita del defunto, questi risulterà non essere defunto per niente. Il caso, infatti, farà scivolare il coperchio della bara e, nello stesso momento, farà passare di lì il solitario e taciturno dottor Heribert il quale si accorge che il morto non è morto. E per aver “resuscitato” quel morto egli sarà, da quel momento in poi, per tutti, il “dottor Guastafeste”. Sempre a questo filone può essere ascritto il racconto dal titolo “Come fu” il cui sottotitolo ne esplicita il contenuto “che il dì 20 di agosto 1849, all'una e mezza del pomeriggio, l'Austria non fu distrutta”. Ma, come ci dice il sottotitolo, l'Austria non finirà distrutta.

Mentre da un'assurdità beffarda e da una comica confidenza con la morte è pervaso il racconto “Scritto nel giorno dei Morti di quest'anno”. Nel quale “la signorina Mary” che, del racconto, è la protagonista, sarà vittima di un crudele scherzo fattole da due “veri mascalzoni”, tra loro amici, famosi a Mala Strana per i loro perfidi scherzi. I quali, con spudorata sfrontatezza, le faranno prima credere di essere entrambi innamorati di lei, ma poi di rinunciare entrambi alla loro promessa d'amore per non farsi reciprocamente un affronto, pur amandola ancora. E ingenuamente convinta di ciò ella resterà loro, per tutta la vita, fedele, certa di essere stata perdutamente amata da entrambi, i quali, poco dopo quello scherzo, erano nel frattempo schiattati, lasciando, dal suo punto di vista, la “signorina Mary”, vedova. E, come una vedova, nel giorno dei morti, sulle tombe di entrambi, ella aveva continuato tutta la vita a recarsi.
Infine a un terzo e ultimo filone, più squisitamente “fantastico, con una vena onirica”, fanno capo il racconto “La Messa di S. Venceslao” e il racconto “Chiacchiere notturne”, mentre una sorta di compendio finale è l'ultimo racconto “Macchiette”, il più lungo, nel quale trovano spazio le diverse vene narrative di Neruda.

In conclusione, in tutti questi racconti, dietro la cornice narrativa che ne fa dei quadretti delicati e “facili”, accade però sempre qualcosa che va oltre la superficie delle cose e che rivela quanto imprevedibile e piena di tranelli possa essere la vita. Neruda ci racconta questo facendo di Mala Strana la scena di ciò, come fosse un vero e proprio teatro nel quale egli muove i suoi personaggi, lasciandoci però alla fine l'impressione che quel teatro non è solo il teatro di Mala Strana ma è quel teatro in cui anche noi viviamo.

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