Rebelot

Sala rompe il silenzio e in cinque punti sintetizza le logiche auspicate per il cambiamento del Servizio sanitario regionale. Sulle sue dichiarazioni si scatena una ridda di interviste, dichiarazioni e controproposte. Intanto il caos impera. ()
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Il termine 'rebelot' è la parola giusta per descrivere lo scenario lombardo e milanese di questo novembre, per molti versi terribile. In dialetto significa caos, massima confusione: definisce perfettamente la condizione della città, delle famiglie e di ognuno di noi. Bombardati da bollettini che difficilmente mascherano l’incidenza dei casi positivi, dei ricoveri e – ahimé – dei decessi, ci culliamo nella certezza che forse a primavera verrà il vaccino salvifico o che la terza ondata del maligno virus svanirà in un legger incresparsi di onde.

Qui è tutto da rifare
Ora però, finalmente, scende in campo senza remore o passati timori, il nostro Sindaco che - come ripeteva Gino Bartali - afferma: “Qui è tutto da rifare”. Si riferisce alla sanità regionale. In un’intervista a Repubblica sentenzia: «Speriamo che i nuovi vaccini ci permettano di uscirne per la prossima estate. Ma da cittadino lombardo dico che è tempo di ripensare la gestione della sanità lombarda».

Finalmente! Si potrebbe dire. Sala ha colto il grido di dolore sorgente da molte parti della città. Ora ha stappato le orecchie, dopo che, in questi anni, con qualche brontolio, ha lasciato la Regione fare e disfare il quadro del servizio sanitario cittadino. Solo per citare qualche suo silenzio e sua dimenticanza: l’avere concesso l’area Expo alla costruzione del nuovo Galeazzi; non avere protestato alla chiusura degli ambulatori pubblici; non avere previsto l’uso di strutture di proprietà comunale ai giovani medici mentre si moltiplicavano in città gli ambulatori e i centri sanitari privati; l’aver abbandonato ogni vigilanza sulla costruzione della Città della Salute a Sesto e sull'attuale situazione del Besta e dell’Istituto Tumori; l’aver temporeggiato e non risolto la situazione degli Ospedali San Carlo e San Paolo; ecc.

I cinque punti di Sala
Adesso Sala vuole anche tracciare il solco del cambiamento del traballante Servizio sanitario regionale e detta poche ma significative proposte che molto probabilmente stanno per essere perfezionate dal gruppo regionale PD e da questo presentate in alternativa a quelle della Giunta di Regione Lombardia (revisione legge 23/2015).

In attesa del pacchetto, Sala sintetizza in cinque punti la direzione di marcia del cambiamento:

  1. costituzione di un'Agenzia sanitaria unica in sostituzione delle otto ATS giudicate burocratiche e inefficienti;
  2. cambiamento del sistema di remunerazione e di finanziamento, che non avverrebbe più solo in base alla singola prestazione o per singolo ricovero (DRG), ma, gradualmente, in base ai risultati in termini di guarigione o mantenimento in salute;
  3. ricostituzione dei Distretti per il governo del territorio e per il coordinamento dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria;
  4. riduzione del numero dei pazienti per Medico di base e sostegno strutturale e organizzativo per lo svolgimento dei loro compiti;
  5. aumento del numero dei Consultori ora ridotti e ridimensionati nelle loro funzioni e finalità;
  6. aumento del potere d’indirizzo dei Comuni, estromessi dalla programmazione e dalle decisioni strategiche in materia di sanità o con ruoli consultivi in materia assistenziale, mediante la costituzione di un Consiglio d’indirizzo a livello regionale, e integrazione tra gli interventi comunali e delle strutture sanitarie.

I sindaci lombardi in rivolta

Quest’ultima richiesta, sembra analoga a quella contenuta nel pressante appello, sottoscritto da decine di sindaci della Città metropolitana di Milano (sembra di ogni colore politico), inviato a Fontana e a tutte le componenti del Consiglio regionale lombardo. Appello accorato per mettere mano alla svelta alla legge 23/2015 e a tutto il Servizio sanitario regionale, snaturato, a loro dire, da questa norma sperimentale in scadenza proprio in questi mesi.

Il 'rebelot' sicuramente sarebbe stato contenuto o prevenuto se si fossero messi in atto, con una sforzo concorde delle istituzioni regionali e comunali, appositi spazi per i ricoveri di osservazione (i cosiddetti Covid Hotel), per la vaccinazione antinfluenzale o il monitoraggio, e per facilitare la vaccinazione antinfluenzale o il monitoraggio, se non il tracciamento, con i tamponi più o meno rapidi. L’inerzia pubblica ha favorito il fiorente mercato dei tamponi e moltissimi hanno dovuto sobbarcarsene il costo.

..e si scatena la bagarre
Contro le critiche e le proposte di Sala si è alzato un fuoco di sbarramento da parte dei due ex 'governatori' che hanno preceduto Fontana, i genitori di questa creatura sanitaria: il tanto decantato “modello lombardo”.
Così Maroni, fresco di nomina nel consiglio di amministrazione di uno o più ospedali del Mega gruppo ospedaliero privato San Donato, liquida il grido di dolore del sindaco di Milano come una semplice strumentalizzazione elettorale. E rinnova l’assolo, in diretta televisiva, che ha straccato (milanesismo per stancato) le orecchie dei lombardi: “La sanità lombarda è un’eccellenza”, “È migliorabile ma assolutamente vanno salvaguardate le fondamenta”, “Il rapporto pubblico-privato funziona benissimo”, “Ci sono stati errori, ma è una sciocchezza pensare di cambiare tutta la sanità lombarda”.

Per Maroni, solo 'disguidi organizzativi'
La giornalista che lo intervistava però non molla e gli chiede dei tamponi e dei vaccini distribuiti e garantiti disordinatamente. Ma Maroni liquida presto la vicenda che ha segnato le recenti vite dei lombardi. Per lui sono problemi organizzativi che non invalidano la struttura del sistema.
Maroni, da buon avvocato, ha sempre difeso verbalmente la sua creatura (legge 23) e a maggio -veemente - tacciò d’ignoranza Walter Ricciardi, figura di spicco scientifico internazionale. In quell’occasione concluse che gli errori - veniali - della primavera sarebbero stati prontamente corretti per affrontare la seconda ondata autunnale. Solo che da maggio a settembre i due 'strateghi' da lui glorificati (Fontana e Gallera) hanno costruito un bel castello di carta che non ha impedito al virus di ricacciarci tutti in un tragico 'rebelot'.

Roberto contro Roberto
L’uscita di Sala ha risvegliato un altro zombie politico dal suo ritiro obbligato e domiciliare. Roberto Formigoni è risorto e montando sui i suoi calcinacci penali e morali, difende la sua creatura – il modello lombardo o legge 31 del 1997 – dalle degenerazioni operate da Roberto Maroni. Su Repubblica del 25 novembre dichiara: “Di quel modello riconosco l'eccellenza ospedaliera che abbiamo inventato noi nel 1997 con l'accreditamento. Milano e la Lombardia sono diventate capitali mondiali della salute, la nostra legge ha attirato il meglio e ha permesso anche al povero di farsi curare nell'ospedale del ricco. Ecco, quella non sono riusciti a distruggerla come purtroppo è avvenuto con l'eccellenza territoriale". L’ex governatore si autoassolve e lancia una bordata al suo successore: "Certamente qualcosa non ha funzionato, ma … non vedo grosse responsabilità specifiche della Lombardia […] La debolezza specifica è un'altra: la medicina territoriale, a cui noi avevamo dedicato attenzioni e risorse, è stata devastata dalla riforma Maroni del 2015 che ha messo tutto insieme con il risultato che le esigenze degli ospedali hanno mangiato quelle territoriali. All'epoca, l'80 per cento dei medici di medicina generale era contrario. È questo indebolimento che abbiamo pagato. Noi, i medici, li avevamo spinti a fare associazioni, squadre di 10-12 professionisti che facevano anche da sentinelle e avrebbero potuto affrontare meglio l'emergenza".
Insomma tutti e due insieme ai loro schieramenti retti da altri, sono convinti che basta qualche cerotto correttivo, ma occorre lasciare indenni i pilastri del sistema sanitario lombardo.

Le sette mosse di Agnoletto
Per completare il quadro – non certo esaustivo - dei possibili 'rimedi' del 'rebelot' anche Agnoletto, alfiere della sinistra e da sempre forte critico del modello lombardo e delle sue disfunzioni, ha inviato una lettera aperta, in risposta a Sala, dalle colonne de Il Manifesto per dettare le sue sette mosse per salvare la sanità lombarda:

  1. commissariare da parte del Governo la gestione sanitaria della Regione;
  2. abrogare la legge 23 (modello Maroni) ricondurre la sanità lombarda secondo la legge 833;
  3. cancellare il numero chiuso a Medicina;
  4. cancellare il dominio incontrastato che la sanità privata;
  5. rafforzare la medicina territoriale (case della salute);
  6. partecipazione democratica (comunità e Comuni);
  7. nomine dei direttori generali non in base all’appartenenza politica.

Nulla sarà come prima

Proposte condivisibili e auspicabili, ma un po’ generiche e queste mosse su quale scacchiera (nazionale, regionale, ecc.) le vuole compiere o promuovere? E con o contro quali forze? Il 'rebelot' non è il gioco degli scacchi che, pur complesso, vede ruoli e regole definite. Qui non si capisce qual è la regina dei due campi o se l’obiettivo è lo scacco matto del bianco o del nero. Qui molti pedoni pensano di essere torri ed alfieri o Re.

La pandemia ha causato già oltre 20.000 morti lombardi (solo 3.000 in autunno). Morti evitabili in larga parte come insegnano preveggenze e politiche preventive operate da altre Regioni o in altre nazioni. I posteri lo diranno ma già da oggi penso che in Lombardia e altrove “nulla sarà come prima” e mi domando quale sarà il nostro futuro collettivo e personale, dopo il 'rebelot'.


Fin qui i politici, questa invece una voce "dal fronte":

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