Non si uccide così anche la cultura?

L’ultimissimo DCPM del Governo Conte, in materia di contenimento della diffusione del COVID-19, colpisce con particolare severità il mondo dello spettacolo senza fondate motivazioni. ()
sala elfo immagine
Era nell’aria, come il virus del resto, e puntualmente il Governo ha scelto di punire con particolare discriminazione il mondo dello spettacolo e della cultura, mettendolo sullo stesso piano di altre attività economicamente forse più rilevanti ma decisamente più esposte ai rischi della diffusione del contagio.

Subito dopo il periodo della clausura, che aveva interessato l’intero nostro Paese nella primavera scorsa, l’aumento esponenziale dei contagi da Coronavirus sembra aver consigliato chi ci governa di mettere sullo stesso piano attività commerciali a forte rischio per prossimità incontrollata di utenti e servizi di natura culturale che, in emergenza, si erano dotati di tutte le necessarie cautele per poter continuare la loro programmazione.

Per riferirci alla realtà milanese, che è quella che meglio conosciamo e frequentiamo, teatri, cinema e sale da concerto (almeno quelli che avevano riaperto dopo il lockdown) si erano perfettamente adeguati alle misure sanitarie che, per quanto ristrette, avevano comunque consentito agli operatori dello spettacolo di riprendere, sia pure in modo decisamente ridotto, le proprie attività.
Chi ha avuto modo di frequentare il Teatro alla Scala in occasione del festival “Milano Musica” ha sperimentato di persona la drastica riduzione del pubblico ammesso in sala e la disposizione attenta e preventiva delle poltrone e dei palchi disponibili.
Lo stesso vale, ad esempio, per il Teatro Elfo Puccini che con orgoglio e tenacia aveva ritessuto i fili di una stagione drammaticamente interrotta e annullata a partire dal febbraio scorso. Anche qui posti ridotti e distanziamenti prestabiliti con ampio margine di sicurezza, oltre all’obbligo per il pubblico di indossare la mascherina durante l’intera durata dello spettacolo. E di più ancora laddove, in presenza di tre sale contemporaneamente attive, il pubblico era perentoriamente scaglionato e accompagnato dalla maschere (quelle in carne e ossa) sia in entrata che in uscita dagli spazi.

Spostando l'attenzione dai teatri ai cinema, in occasione della rassegna dei film di Venezia a Milano, recentemente organizzata da AGIS Lombarda, tutti i cinema coinvolti come l’Anteo, il Colosseo o il Plinius hanno drasticamente ridotto i posti disponibili e, laddove nelle precedenti edizioni era più che normale il tutto esaurito, in questo caso l’occupazione delle poltrone era ridotta del 70% circa, con distanziamento garantito e mascherina obbligatoria.
È accaduto anche di recarsi al cinema Palestrina per una proiezione pomeridiana e di ritrovarsi in sala in due spettatori, oltre a raccogliere il grido di dolore del gestore che, prima del forse definitivo k.o. inferto dall’ultimo DCPM, lamentava la fine inesorabile a cui era destinato il cinema sia per mancanza di titoli da programmare, sia per la diffidenza del pubblico, sia per il doveroso rispetto di regole e accorgimenti che altri settori economici non hanno certo rispettato appieno.

Senza demonizzare alcuno, vi è capitato di passare nei pressi dei luoghi della cosiddetta movida e notare che nessuno dei mediamente giovani utenti indossasse la mascherina pur abbondantemente sotto i limiti di distanziamento indicati dalle autorità sanitarie?
Così non accadeva nei luoghi di spettacolo culturale dove, rispettosi delle regole, il distanziamento e la mascherina erano obbligatori per tutti gli utenti, tanto è vero che nessun focolaio è stato mai rilevato in questi spazi.

Nella assoluta convinzione della complessità della questione, oltre naturalmente della gravità e drammaticità delle conseguenze del virus, verrebbe da dire e pensare che sono molto più a rischio i mezzi pubblici o i grandi centri commerciali, risparmiati dal DCPM, rispetto alle sale di spettacolo culturale.
Hanno quindi perfettamente ragione gli assessori alla cultura delle più grandi città italiane, tra cui il nostro (per via della milanesità) Filippo Del Corno, a protestare vibratamente contro il Governo per rivendicare la legittimità dei luoghi di cultura di poter esercitare il loro fondamentale ruolo che, al di là dei non secondari aspetti occupazionali ed economici, rappresenta una parte più che significativa della voglia e del bisogno di cultura e della necessità di socialità.

Vi ricordate quel vecchio film intitolato “Non si uccidono così anche i cavalli?” (1969) di Sidney Pollack?
Ci auguriamo che la cultura non faccia la stessa fine dei protagonisti di quella storia.

Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha