PGT e nuovo metabolismo urbano

Vecchi Piani Regolatori e Piani di Governo del Territorio. Scelte politiche e scelte tecniche. Un dibattito in differita tra Fabrizio Bottini e Sergio Brenna. ()
corbu bassa
Le questioni aperte su queste pagine a proposito della pianificazione urbana (che dovrebbe essere cosa ben diversa dai singoli progetti anche se a volte li determina o condiziona notevolmente) possono essere oggetto di considerazioni generali sull'idea di città che esprimono.

Dopo la conversazione tra Gianni Dapri e Paolo Morandi che spaziava tra i due estremi della strategia e delle sue attuazioni anche minute, e le considerazioni politiche, sociali, storiche, di Mario De Gaspari, proviamo un approccio diverso con una sorta di dibattito in differita tra Fabrizio Bottini e Sergio Brenna. Dove, a partire da una serie di domande più generali sul ruolo dell'urbanistica e le potenzialità, si esprimono giudizi più puntuali su vicende recenti di strategie e trasformazioni urbane.

Fabrizio Bottini. Le conseguenze dello smart working
Recentemente il Sindaco Sala parlava con un certo motivato timore di «torri per uffici svuotate dallo smart working» intendendo la desertificazione di interi quartieri di cui le attività terziarie e amministrative costituivano il cuore fisico, socioeconomico, di identità, di alimentazione di tanto indotto e lavoro, oltre che di vita nelle strade e negli spazi pubblici. Ciò pone un primo problema tra i tanti, ovvero in che modo il Piano Regolatore cittadino abbia determinato nel passato recente quello che oggi è un problema di eccessiva specializzazione, e come potrebbe affrontarlo in futuro.

Fabrizio Bottini. Limiti del piano urbanistico e responsabilità dei vari livelli politico-normativi
Quando si accusa di scelte sbagliate o inadempienze urbanistiche un Comune ci si riferisce a scelte precise di organizzazione dello spazio determinate dal Piano Regolatore o da esso accolte.
Ma è davvero tutta «colpa del Sindaco»? Perché esistono scelte importanti che davvero sono tutta farina della discrezionalità dell'amministrazione, dei suoi uffici, dei consulenti, degli interessi che esercitano pressione, e altre invece sono inevitabilmente determinate da fattori esterni come le Leggi Regionali che regolano la materia, o da scelte più generali di lungo periodo ineludibili. Spesso chi contesta o giudica criticamente certe scelte e progetti non tiene dovuto conto di questa differenziazione di poteri e responsabilità.

Un Piano di Governo del Territorio, come ha scritto in questa serie di conversazioni tematiche Mario De Gaspari, è «un crogiolo dove va a finire un po' di tutto», sia nella realtà che nelle aspettative dei cittadini. Ci sono però aspetti pur fortemente correlati alle trasformazioni urbane che per legge tradizione e cultura dal piano restano fuori, da certo potere di regolazione economica ai trasporti all'ambiente … Qui, anche in relazione a quanto accennato sopra, si chiamano in causa i poteri legislativi e normativi diversi dal Comune, per adeguare lo strumento del piano regolatore ai tempi e ai bisogni attuali, modificandone i contenuti tecnici, le responsabilità, i poteri e anche gli attori delle decisioni.

Sergio Brenna. Il PGT è pur sempre una scelta politica su basi tecniche
"I Piani Regolatori, di cui nel 1967/’68 i Comuni furono obbligati per legge a dotarsi prima di poter continuare a rilasciare permessi edificatori qua e là e con densità e altezze fissate caso per caso, prevedevano destinazioni funzionali abbastanza rigide (residenze in aree di completamento o più spesso e maggiormente in aree di espansione totalmente inedificate, attività produttive, attività commerciali terziarie), ciascuna con propri differenti indici di spazi pubblici da far realizzare insieme all’edificazione privata.
I Piani di Governo del Territorio (PGT) a validità solo quinquennale introdotti dalle leggi regionali del centro-destra hanno inoltre eliminato quel bilancio finale dell’uso complessivo dell’intero territorio che i PRG a tempo indeterminato.

Inoltre, a partire dagli anni ’90 sempre più frequentemente i Comuni – e Milano in primis fra questi, indipendentemente dal colore politico delle amministrazioni Albertini/Lupi, Moratti/Masseroli, Pisapia/De Cesaris e Sala/Maran - hanno preferito che i Piani Regolatori lasciassero decidere ai privati quali destinazioni funzionali attuare nell’edificazione, perché si ritennero le destinazioni funzionali inutilmente costrittive per la libertà imprenditiva immobiliare di seguire le più economicamente convenienti tendenze di mercato; ciò, purché le dotazioni di spazi pubblici realizzate o compensate monetariamente fossero quelle più elevate delle destinazioni terziario-commerciali, fissate di solito al 100% della superficie edificatoria vendibile (*).
Inoltre, i limiti di densità edificatoria e di altezze che rendessero le nuove edificazioni più compatibili con gli edifici preesistenti vennero via via ritenuti meno importanti, con grave danno per la vivibilità dei quartieri attigui, come accaduto con Citylife, Porta Nuova e i vari edifici-torre che vanno costellando la città".


L’affacciarsi di esigenze di indirizzo e controllo su nuovi aspetti non ricompresi negli strumenti tecnici dell’urbanistica tradizionale, quali le modalità e i flussi di mobilità o il consumo di nuovo suolo in edificato, devono però aggiungervisi e non cancellarli, come accade nelle smisurate concentrazioni edificatorie spesso proposte sul già edificato.
Chi lamenta ora gli effetti di questa succube sudditanza alle mutevoli tendenze del mercato immobiliare dopo averla favorita, sembra davvero voler piangere lacrime di coccodrillo.



(*) In realtà se oltre agli spazi pubblici a verde e servizi di quartiere si considerano anche quelli destinati a verde per parchi territoriali e grandi servizi metropolitani (che i Comuni non sarebbero in grado di finanziare da sé), la percentuale sale sino a circa 150%, superando quella dello stesso lotto di proprietà ove si volesse realizzarli totalmente in situ, ciò che rende necessaria un parte di monetizzazione da stimarsi però a valori economici equi: a Citylife e Porta Nuova le aree pubbliche mancanti sono state indennizzate al Comune a 300 €/mq per aree pagate 2.000 €/mq dall’attuatore immobiliare.

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