Un monopattino assomiglia più a un'automobile o a un ombrello?

Bicicletta o monopattino sono veicoli o 'accessori dell'essere umano urbano'? La loro circolazione è quindi da regolamentare o no? ()
monopattini mocciosi donegani
Lo studio di architettura e urbanistica Copenhagenize opera da molti anni in molte città del mondo a partire dalla consolidata tradizione della capitale danese nelle politiche urbane, territoriali e di quartiere. Lo fa integrando empirica semplicità, logica, osservazione scientifica dei comportamenti e reazioni umane, e inserendoli in quella incessante dialettica a rete tra spazi e flussi che è la metropoli contemporanea.
Letteralmente come si legge sul sito, Copenhagenize lavora «applicando alla progettazione di contesti ciclabili un approccio antropologico basato sull'essere umano» per spazi particolarmente rivolti agli utenti più vulnerabili della strada.

Questa lunga e apparentemente curiosa premessa non sta qui a fare indebita e gratuita pubblicità ai servizi di quel gruppo di lavoro, ma a introdurre e contestualizzare una delle sue premesse diciamo pure filosofiche fondanti: la bicicletta intesa non come veicolo, ma come accessorio meccanico di quell'essere umano costantemente al centro dell'attenzione, che lo trasforma al massimo in un 'pedone accelerato'.
C'è una differenza enorme, a ben vedere, tra la natura umana di questo pedone accelerato e quella meccanica del veicolo condotto da un identico soggetto, e non si tratta di pura differenza filosofica, andando a condizionare profondamente le premesse delle politiche urbane di mobilità e più in generale l'idea di equilibri tra spazi, flussi, funzioni, così come oggi ci suggerisce la cronaca.

Mobilità dolce e mobilità veicolare
Detto schematicamente: la stessa idea di mobilità dolce contrapposta a quella veicolare, a qualunque genere di organizzazione e propulsione si faccia riferimento, ruota attorno al medesimo concetto. Che si parli di biciclette, roller-blades, ombrelli pieghevoli e non, cappelli a molla, e monopattini. Anche i famosi e famigerati monopattini su cui sta infuriando (come in fondo assai prevedibile) l'ennesima polemica sule regole, la sicurezza, il Codice della Strada e l'immancabile 'senso civico' di utenti, operatori, e degli stessi amministratori chiamati decidere.

In fondo spontaneamente tutti in un momento o nell'altro l'abbiamo pensato, sia per le biciclette che per i monopattini: cos'altro sono, se non dei veicoli? E come tali devono in fondo essere trattati. Un veicolo ha bisogno di una strada dove muoversi, di accorgimenti di sicurezza per sé e per gli altri, di leggi e norme del tipo Codice della strada, che si tratti della targa dell'assicurazione obbligatoria o altro. E ci sbagliamo perché proprio il senso profondo di questa mobilità alternativa a quella veicolare sta nella centralità umana anziché meccanica, da promuovere e sostenere massimizzando gli aspetti che le appartengono e mettendo in secondo piano o escludendo senz'altro gli altri. È la ragione per cui tutte le campagne per la targa, il casco, l'assicurazione sulle biciclette gira e rigira vengono fortemente osteggiate dalle associazioni.

Più regole, meno voglia di sperimentare
C'è sicuramente una motivazione di mercato: più regole, meno voglia di sperimentare la novità comprando un mezzo. Ma c'è anche quella considerazione filosofica su una diversa idea di città e di mobilità appunto 'dolce', sia nel mezzo, che nella sua concezione di uso.
Tutto ciò che vale per la discussa bicicletta vale anche per tutti gli altri non-veicoli, appunto dai pattini a rotelle agli skate, ai monopattini. I quali certamente possono assumere per scelta individuale dell'utente anche forma e sostanza di veicolo. Come? Facile, e lo vediamo ogni giorno osservando le acrobazie sportive di qualche ciclista in tenuta high-tech che si scaraventa impavido dentro gli svincoli e rotatorie cittadini, in competizione alla pari con auto furgoni e camion.

La vera domanda però è se le politiche, o meglio ancora le politiche urbane, debbano rivolgersi a quel genere di potenziale utenza oppure a quella più propriamente da cittadini e utilitaria di chi si sposta da un punto all'altro per lavoro, studio, servizi e tempo libero.

Non risulta che da quando esistono gli ombrelli qualche regolamentatore (almeno sano di mente) abbia mai deliberato di imporre particolari regole e vincoli agli oggetti in sé in rapporto alle vie urbane, alla velocità con cui si può muovere sul marciapiede qualcuno con l'ombrello spalancato, alla necessità di assicurarsi contro gli infortuni.
Certo un monopattino, specie se azionato da un motore, è un po' diverso da un ombrello, come lo è dai pattini e via dicendo. Ma possiamo star sicuri che una volta stabilita la sua natura e destino da «accessorio dell'essere umano urbano», anziché di veicolo, si troveranno metodi brillanti e adeguati perché siano gli stessi produttori e operatori a regolarne la velocità, o le amministrazioni a introdurre percorsi ed eventuali barriere 'portaombrelli' in grado di contentare tutti.
Il cittadino pedone, accelerato o rallentato che sia, può badare benissimo a sé stesso.

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