Supermercato Rombon o piazza Pini?

Spazio commerciale da riattivare o una piazza vera e propria da vivere e animare? Qual è il percorso decisionale più corretto quando si tratta di spazi pubblici? ()
Piazza Pini
La via Tommaso Pini «pioniere della Fiera di Milano» sono davvero in pochi a percepirla come tale, anche solo attraversandola di gran fretta in auto per tagliare trasversalmente la zona di Lambrate dall'asse di via Rombon a quello Rimembranze-Bassini e viceversa.

Pedoni, ciclisti, utenti dei mezzi pubblici, gente in cerca di un parcheggio per andare a prendere il treno, chiunque lì percepisce un sistema complesso e certo anche contraddittorio di «Piazza». Piazza che peraltro fa da fuoco e trait-d'union tra due altri spazi egualmente importanti: lo slargo irrisolto di Monte Titano a ridosso della Ferrovia, l'incrocio e pure «piazza virtuale» tra Rombon e Crescenzago sulla soglia del Quartiere Feltre. Ci sono insomma un sacco di ragioni perché, come poi avvenuto, le trasformazioni urbanistiche della via Tommaso Pini dovessero definire quel sistema di arretramenti coordinati che va a delineare una vera e propria piazza, al centro della quale, a completare l'organizzazione funzionale, sta il Mercato Coperto Comunale Rombon, circondato da parcheggi standard simili a quelli di tanti supermercati scatolone, che una volta la settimana si popolano delle bancarelle del mercato rionale.

Ci siamo arrivati alla fine, al Mercato Rombon, non tanto per un gusto tardo manzoniano di narrazione a cannocchiale dal ramo della Tangenziale alla panchina dietro la fontanella, ma per provare a ribaltare la prospettiva di osservazione sulla funzione spazio pubblico rivolto all'esterno, rispetto a quella di chi pare aver scelto l'opposta «introversione» economico commerciale del puro contenitore di scambi e servizi, assunta dalla proprietà comunale per il rilancio.

Si legge in una dichiarazione riportata anche qui su z3xmi, che i mercati coperti comunali dovrebbero «diventare non solo punto di scambio merci ma anche di idee e di relazioni, attraverso forme di ibridazione tra attività commerciali classiche – comunque prevalenti – e attività con finalità sociali, culturali, aggregative e ricreative». Ovvero che in linea con quanto accaduto già in tante città europee il commercio locale, specie quello che accetta una regia pubblica e partecipa organicamente alle trasformazioni, si integra nel tessuto urbano e nelle nuove articolazioni di comportamento (per esempio di mobilità, consumo, accesso ai servizi) costruendo nuovi o rinnovati mix di quartiere. Anche nella scia delle immancabili discussioni post-pandemia, ad esempio quelle sulla cosiddetta Città dei 15 Minuti, a sua volta discendente dal lungo dibattito novecentesco sulla Unità di Vicinato o quartiere autosufficiente. Ma leggendo qualche articolo di giornale piovono veri e propri fulmini a ciel sereno sulla nostra appena messa a fuoco piazza pubblica al centro del quartiere.

Perché la Direzione Mercati Generali incaricata del progetto dall'assessorato alle attività economiche, se ne esce serenamente con una dichiarazione che suona più o meno: stiamo decidendo se recuperare per le nuove funzioni l'edifico esistente del Mercato Rombon, oppure demolirlo e costruirne uno nuovo più adeguato. Vale a dire che la proprietà, pubblica, di una componente chiave della piazza pubblica e del sistema di spazi pubblici, si sta comportando come un qualunque mall management o consiglio di amministrazione che decide le proprie strategie con uno sguardo rivolto all'interno. Tutto legittimo per carità, se l'obiettivo è di rilanciare una funzione/contenitore pare abbastanza conseguente che l'idea, il motore della trasformazione per così dire, nasca su quel percorso: le attività potenziali, gli spazi in cui collocarle, la composizione e compatibilizzazione di quegli spazi.

Ma si tratta di un progetto, anche dichiaratamente inserito in una «più ampia strategia condotta in questi anni dell’Amministrazione per promuovere la trasformazione evolutiva dei Mercati Comunali» come recita la già citata dichiarazione dell'assessorato. Una strategia, un piano, che in quanto tale, specie riguardando spazi pubblici complessi e in relazione al resto della città, non dovrebbe comporsi come mosaico di interventi «introversi» e relativamente autoreferenziali, come se ad agire fossero soggetti commerciali privati pur nel rispetto delle norme. In altre parole, quello che non vorremmo rivedere sono quei magari fascinosi rendering pubblicati dalla stampa e su cui scatenarsi poi in polemiche di dettaglio.

Il percorso decisionale, quando si tratta di spazi pubblici, può e deve essere completamente diverso. Vorremmo sentirlo dire a chiare lettere da chi si è immaginato questa strategia sinora solo economica, come la vedrebbe nella dovuta forma integrata da proporre ai cittadini destinatari e compartecipi.

Qualche considerazione storica e teorica in più sulla differenza tra spazio commerciale e spazio pubblico, in F. Bottini, Piazza Urbana o Shopping Mall, Today la Città Conquistatrice, 7 settembre 2020


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