Coronavirus. Poco di nuovo sotto il sole

Le stesse paure, le stesse precauzioni, le stesse raccomandazioni riecheggiano nelle testimonianze dei secoli passati. Ma ora come allora... fidiamoci della scienza! ()
cippo

"Benedetto Reguardati, medico a guida della Commissione sanitaria per la Lombardia, provvede ad isolare tra loro Milano e Pavia; merci e vettovaglie si portino e si ritirino in un sito a metà strada, pattugliato da militari, in modo che tra i contraenti non vi siano contatti diretti".

Non si tratta di un’ordinanza del governatore Fontana; sono le prescrizioni previste dal medico di corte ducale Benedetto Reguardati da Norcia nel 1451, quando era a capo di una commissione sanitaria istituita da Francesco Sforza in occasione di una minaccia di pestilenza (endemica in Europa anche dopo il disastro della Peste nera del 1348).

Così come sarà pur vero che l’uso della mascherina protettiva sia stato reso massiccio da Giapponesi e Americani durante l’epidemia di Spagnola, ma l’iconografia della peste ce la mostra già in uso, almeno tra i medici del Trecento che visitano gli appestati: una vera maschera con un lungo becco al posto del naso, dentro cui, o appeso, si trova spesso un "pomo odorifero": anche allora la minaccia arriva dal contatto sì, ma soprattutto "dall'aere contaminato" da miasmi velenosi, ed è dunque utile non solo stare il più lontano possibile dal volto degli ammalati, ma anche respirare come si può un’aria resa - si spera - più pura da erbe e spezie odorose che compongono il pomo. In ogni caso si evitino "le conversazioni quanto è possibile, che non se faza confusione ne li haneliti [respiri], per questo uno può infettare molti".

Anche nel 1348 la moria è nuova: "o che non ancora conosciute quelle malattie, o che li medici non avessero sopra quelle mai studiato, non parea che rimedio ci fosse"; anche allora la peste arriva dall’Oriente, "dal Catai [Cina] e dall’India superiore". Giunta in Europa, si diffonde rapidamente "e nel 1348 ebbe infetta tutta l’Italia, salvo che la città di Milano [mah, chissà se è vero, ma è di buon auspicio]; e così sono “tutte le botteghe serrate, tutte le taverne chiuse, salvo speziali e chiese"; ma anche in chiesa si interrompono i riti di passaggio: matrimoni e funerali ("erano seppelliti senza sacerdoti") sono sospesi, e i Priori bloccano le processioni propiziatorie: "la carità era morta, la speranza vinta".

Chi può, fugge in luoghi ameni in cerca di aria pura (Boccaccio); e infatti alcune nonne di mia conoscenza sono in questi giorni esiliate coi nipoti senza scuola in seconde case, al mare o in montagna, mentre i genitori sono al telelavoro, e come si fa coi bambini in casa?

C’è chi si arricchisce a dismisura vendendo inutili impiastri e false protezioni. Anche i medici e i preti, in molti, fuggono: non così Gentile da Foligno, famosissimo medico e docente rinomato, che muore di peste nel 1348, in mezzo ai suoi malati che troppo aveva frequentato, tra le braccia del caro e fido allievo Francesco; miglior sorte ha invece il chirurgo francese Guy de Chauliac, che cura i malati ("per sfuggire al discredito non osavo allontanarmi"), cade quindi ammalato, ma se la cava in sei settimane con una cura di sua invenzione.

Ma, infine, si può anche sperare, giacché “i maestri moderni sono ora più esperti di malattie pestilenziali perché ne hanno avuto maggior esperienza di tante, ben più di quanto lo siano stati tutti i dottori in medicina da Ippocrate in poi, che mai furono spettatori di una così grande e prolungata epidemia, né poterono mettere alla prova le loro cure tanto a lungo; senz’altro hanno fatto esperienza su queste malattie più di tutti quelli che ci hanno preceduto; perciò si dice, ed è vero, che l’esperienza fa l’arte” (Giovanni di Borgogna, "Tractatus de epidemia").
E dunque, fidiamoci di loro.


Nella foto: un cippo al confine della marcita del Parco Lambro; è probabilmente del tempo della peste raccontata dal Manzoni. Posto a tre chilometri dal centro della città, segnava il confine al di qua del quale non si poteva coltivare riso o altro che comportasse la presenza di acqua stagnante. Una misura cautelativa volta a prevenire il diffondersi di contagi dovuti alle punture di insetto.



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