Memorie di un assassino
Noir con risvolti macabri in un paesaggio umano sospeso tra essere e nulla raccontato con rara sapienza.
(Massimo Cecconi)15/02/2020
Ci voleva la vittoria agli Oscar di “Parasite” per far sì che i distributori riproponessero l’interessante opera seconda del regista sud coreano Bong Joon-ho.
“Memorie di un assassino” (2003) è un noir realizzato con grande abilità che tiene alta la tensione per oltre due ore di durata del film, senza sbavature o concessioni inutili.
Nel 1986, in una piccola cittadina della profonda provincia, un serial killer inanella una serie di efferati omicidi rituali che vedono come vittime giovani ragazze.
In un ambiente ostile, tra campagne, cave e fabbriche vetuste, si muove un’umanità dolente che sembra subire i malefici effetti di un ambiente dove il sole non splende mai.
Di conseguenza, gli omicidi seriali avvengono sempre nelle notti piovose e seguono una procedura maniacalmente macabra e ossessiva.
L’esasperazione dell’impotenza spinge ben oltre l’orlo di una crisi di nervi persino il poliziotto più riflessivo, mentre l’agente più ottuso, intrepretato dallo stesso attore (Song Kong-ho) che in “Parasite” plasma la figura del padre della famiglia di parassiti, cambia saggiamente mestiere.
Solo gli occhi innocenti di una bambina hanno visto il volto dell’assassino, ma la ragazzina non possiede elementi per decifrare e svelare una fisionomia qualunque.
Impagabile la scena iniziale in cui un bambino ripete le parole e le espressioni facciali del detective.
In un paesaggio desolato, dentro e fuori le persone, si sgretola la fragilità degli uomini e delle donne.
Cielo grigio su.
In programmazione al cinema Palestrina
“Memorie di un assassino” (2003) è un noir realizzato con grande abilità che tiene alta la tensione per oltre due ore di durata del film, senza sbavature o concessioni inutili.
Nel 1986, in una piccola cittadina della profonda provincia, un serial killer inanella una serie di efferati omicidi rituali che vedono come vittime giovani ragazze.
La polizia locale, dotata di una certa plateale ottusità, brancola nel buio e batte aggressivamente piste assolutamente inattendibili.
Quando si aggiunge nelle indagini un ispettore che viene dalla capitale, più riflessivo e pacato, si apre qualche spiraglio investigativo senza però che il mistero venga svelato.In un ambiente ostile, tra campagne, cave e fabbriche vetuste, si muove un’umanità dolente che sembra subire i malefici effetti di un ambiente dove il sole non splende mai.
Di conseguenza, gli omicidi seriali avvengono sempre nelle notti piovose e seguono una procedura maniacalmente macabra e ossessiva.
L’esasperazione dell’impotenza spinge ben oltre l’orlo di una crisi di nervi persino il poliziotto più riflessivo, mentre l’agente più ottuso, intrepretato dallo stesso attore (Song Kong-ho) che in “Parasite” plasma la figura del padre della famiglia di parassiti, cambia saggiamente mestiere.
Solo gli occhi innocenti di una bambina hanno visto il volto dell’assassino, ma la ragazzina non possiede elementi per decifrare e svelare una fisionomia qualunque.
Impagabile la scena iniziale in cui un bambino ripete le parole e le espressioni facciali del detective.
In un paesaggio desolato, dentro e fuori le persone, si sgretola la fragilità degli uomini e delle donne.
Cielo grigio su.
In programmazione al cinema Palestrina
