La bomba. Cinquant’anni di Piazza Fontana

Il libro di Enrico Deaglio riporta alla memoria fatti e misfatti degli anni della strategia della tensione nello sforzo doveroso di non dimenticare quello che allora è successo e che potrebbe ancora ripetersi. ()
la bomba immagine
Della giornata del 12 dicembre 1969 ho soprattutto un ricordo personale. Allora mio padre lavorava alla Banca Commerciale Italiana di piazza della Scala e fu tra coloro che maneggiarono inconsapevoli la borsa che conteneva la bomba che non esplose. A casa, quella sera, era sgomento e noi con lui.
Cinquant’anni dopo la strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano i misteri sono ancora irrisolti. Le varie sentenze ai vari processi non hanno determinato nessun colpevole certo anche se è da tempo ormai acclarato che la strage fu organizzata dalla destra eversiva fascista in concorso con importanti apparati dello Stato.
Il libro di Deaglio non aggiunge né può aggiungere altro a quelle “verità storiche” che cinquant’anni di storia hanno contribuito a definire, ha il merito però di mettere ordine ai pensieri chiamando per nome e cognome tutte le persone e le istituzioni coinvolte, in un’escalation di impunità e di ingiustizia che ancora oggi lascia esterrefatti.

Si disse allora che la strage di piazza Fontana avesse marcato la fine dell’innocenza di una nazione ma forse non era proprio così perché prima di allora il nostro Paese era già stato sconvolto da altri fenomeni scellerati come il fascismo e la seconda guerra mondiale. E’ vero però che piazza Fontana rappresenta un punto di partenza di strategie eversive che negli anni successivi hanno significato, tra l’altro, la strage della stazione di Bologna, via Fani e l’intrecciarsi di trame nere e rosse condite con il sale amaro dei servizi segreti.
La bomba che i fascisti misero nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura (una sola terribile bomba e non due come qualcuno ancora sostiene) innescò una serie incredibile di false notizie, depistaggi, morti sospette e persino una morte per “malore attivo” come il giudice Gerardo D’Ambrosio ebbe modo di definire la tragica fine di Pinelli nelle stanze della Questura di Milano.
Nella ricostruzione di Deaglio si intrecciano, tra i numerosi altri, i nomi di Pino Rauti e di Licio Gelli, di Giulio Andreotti e dell’avvocato Odoardo Ascari, che tanta parte ebbe nel creare confusione nella confusione, e di tutti quei magistrati che con quella strage ebbero a che fare.

Si ricorda che Francesco Cossiga definì “il miglior poliziotto d’Italia” quel tale Silvano Russomanno, dirigente del Servizio Affari Riservati del Viminale, che il 15 dicembre era presente in via Fatebenefratelli a Milano, ed è considerato l’anima nerissima di tutta la vicenda.
Fu proprio da quel Servizio che venne l’ordine di far deflagrare immediatamente la bomba inesplosa trovata nei locali della Banca Commerciale, sottraendo prove decisive per individuare da subito i veri autori della strage.
La ricostruzione più attendibile conferma ora che la destra eversiva di Freda, Ventura, Zorzi, Maggi e dei loro camerati fu esecutrice di vari attentati e i servizi segreti furono direttori d’orchestra della strage e delle bombe disseminate in quegli anni.
Deaglio ricorda anche che Valpreda e Pinelli erano stati individuati già da tempo come capri espiatori e come tali vennero sacrificati per coprire i veri mandanti ed esecutori della strage.
In quegli anni convulsi ricorrono anche, nel male e nel bene, i nomi del questore Guida, già direttore durante il fascismo del confino di Ventotene, e del commissario Calabresi, del primo ministro Rumor, del tassista Rolandi e della sua fantasiosa deposizione, di Sandro Pertini e Giorgio Napolitano, di Leonardo Marino, di Adriano Sofri, di Mauro Rostagno e, secondo gli inquirenti di allora, del grande “burattinaio” della sinistra estrema: Giangiacomo Feltrinelli.

Affettuose le pagine che l’autore riserva a Pino Pinelli e alla sua famiglia, a cui il libro è dedicato (“Alla famiglia Pinelli e a tutti i suoi amici”), che ancora oggi è impegnata nella giusta difesa di una persona “suicidata” contro la sua volontà, affinché la corta memoria degli italiani non dimentichi quello che è stato.
Deaglio ricorda anche le vicende dell’opera “I funerali dell’anarchico Pinelli” (1972) di Enrico Baj che non venne mai ufficialmente esposta in pubblico per via della morte concomitante del commissario Calabresi.
Quasi trecento pagine, che si leggono con crescente interesse ma anche con evidente malessere, per ricostruire una delle pagine più buie della nostra storia più recente.
La vera verità? Non la sapremo. Quelli che sono morti se la sono portata nella tomba, i sopravvissuti non ce la racconteranno mai
Dalla quarta di copertina:”La bomba compie mezzo secolo. Non ha mai smesso di cambiare l’Italia, quasi fosse una massa incandescente nel sottosuolo, che continua a bruciare”.
Rimane, in conclusione, l’amara considerazione di Deaglio secondo cui “in fondo, la bomba non vinse”.
Ma è proprio così?
In copertina, la rielaborazione di un’immagine dei funerali delle vittime. Quel cielo di piombo me lo ricordo ancora.


Enrico Deaglio
La bomba. Cinquant’anni di Piazza Fontana
Feltrinelli, pp 295, € 18,00

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