Gli alberi e l'etica della responsabilità

Il taglio degli alberi del parco Bassini con blocchi stradali e mobilitazione delle forze di polizia mette a tacere una fastidiosa protesta o solleva inquietanti interrogativi? ()
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La vicenda che si è conclusa con l’abbattimento degli alberi e la cancellazione del parco Bassini merita una seria riflessione in quanto ha coinvolto il rapporto tra varie istituzione pubbliche, Politecnico, Regione Lombardia, Comune di Milano da una parte, e studenti, corpo docente e cittadini dall’altra.
Ridurre la questione al numero degli alberi abbattuti, 50 invece di 140, al parco che non è proprio un parco ma un giardino, al "ci saranno delle compensazioni", e così via, non aiuta certo ad affrontare le argomentazioni che sono state addotte per impedire questo scempio - di scempio infatti si tratta - e denota una tacita assuefazione a considerare ineluttabile un fenomeno dilagante, a tutti i livelli di questi tempi: la irrilevanza, per non dire l’assenza, dell’etica della responsabilità individuale nella sua dimensione sociale.

La questione del cambiamento climatico si è imposta ormai all’attenzione di tutti, è un’emergenza epocale di drammatica evidenza. Come è possibile non tenerne conto nelle scelte che hanno un’influenza diretta sul clima e non sentire la responsabilità del proprio operato nei riguardi della società?

I responsabili delle istituzioni pubbliche competenti si sono trovati concordi nel considerare irrilevante l’eliminazione di un parco pubblico urbano, piccolo, ma inestimabile quanto a ubicazione, destinazione d’uso, valore ambientale.

Nessuna osservazione da parte dei funzionari di Regione Lombardia, del Comune, del Politecnico, né degli amministratori in carica negli stessi enti, in merito all’opportunità di procedere allo sradicamento di alberi di alto fusto e al consumo di suolo in un terreno sopravvissuto alla cementificazione. Nessun rilievo in merito alla possibilità di rigenerazione urbana, resa possibile dalla demolizione delle strutture abbandonate esistenti nella stessa area, e ben evidenziate nel progetto sottoposto ad approvazione. Invece di essere utilizzate per far posto ora a nuovi edifici, verranno recuperate per restituire l’area a parco verde in futuro. Perché non adesso, non si poteva evitare questo danno ambientale e sociale?
Nelle pieghe dei regolamenti esistenti si è trovato modo di compiere una scelta che non rispetta la sostenibilità ambientale e di certo non è coerente con la missione delle istituzioni competenti.

Se poi si considerano gli esiti delle azioni di governo in Lombardia in tema di salvaguardia del suolo, si rileva che la legge regionale emanata in materia, anziché porre maggiori vincoli e limiti efficaci, non ha in effetti prodotto alcun miglioramento della situazione. Si rileva che Milano guida la graduatoria nazionale dei comuni per consumo di suolo, e per il prossimo futuro sarà limitato non tanto il consumo, ma l'incremento di questo consumo. Da parte sua il Politecnico non ha nemmeno preso in considerazione il problema.

Le grandi trasformazioni urbane che verranno attuate nei prossimi anni a Milano sono tutte all’insegna della speculazione immobiliare privata, vedi gli ex-scali ferroviari, dove la mano pubblica ha rinunciato a svolgere il ruolo-guida che dovrebbe competerle a difesa dell’interesse pubblico generale, del bene comune, che innanzitutto oggi riguarda la difesa dell’ambiente minacciato dall’alterazione del clima.

Fa meraviglia che nessuno tra i responsabili dell’Ateneo e negli ambienti ove si prendono le decisioni sia posto il problema: è proprio necessario eliminare questo parco aperto al pubblico? La petizione lanciata dalla professoressa Arianna Azzellino, che coraggiosamente ha sollevato il problema rompendo il velo di silenzio che lo copriva, sollecitava una presa di coscienza in difesa degli alberi del parco Bassini a causa dell’importanza della posta in gioco e il movimento spontaneo di protesta della cittadinanza non ha avuto altro scopo che questo.

L’aver ignorato tale aspetto pone interrogativi di non poco conto. Come è possibile che in una situazione di emergenza climatica ormai acclarata una questione così importante, che ha ripercussioni sull’immagine dell’Ateneo, sul contesto sociale, sul territorio, sull’ambiente, venga semplicemente ignorata senza ascoltare le ragioni della protesta e rendersi disponibili a un confronto?

Ci sembra il sintomo di una mancanza di etica della responsabilità individuale nella dimensione sociale, mancanza ormai diffusa: non ci si preoccupa delle conseguenze delle scelte e dei comportamenti che hanno ripercussioni sul piano sociale.

In fondo è la denuncia di questa situazione ciò che spiega la rapidità e la dimensione dell’adesione mondiale a Fridays For Future. Il movimento nato dallo sciopero scolastico di Greta Thunberg reclama un’assunzione di responsabilità da parte di chi ha il potere di scegliere e decidere cosa fare e non lo fa.
Non possiamo aspettare però che siano le nuove generazioni a dare la svolta necessaria per mutare radicalmente il comportamento sociale oggi imperante, ognuno nel proprio ambito deve assumersi questa responsabilità.

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