Donne di Scienza: Vandana Shiva

Ospite di alcune trasmissioni televisive, è conosciuta anche al grande pubblico. Fisica quantistica ed economista, è considerata la teorica più nota di una nuova scienza: l'ecologia sociale. Si è battuta per cambiare pratiche e paradigmi nell'agricoltura e nell'alimentazione. ()
vandana Shiva
Da un’intervista di F. Rampini: “Specter e l'industria biotecnologica vogliono screditarmi descrivendo me e i milioni di persone contrarie agli Ogm come anti-scientifici, romantici. I miei studi sono una spina nel fianco per loro. Ho preso un Ph. D. (dottorato di ricerca) in Canada, in Filosofia della scienza con una tesi sulla Teoria quantica; e un master in Fisica.
La teoria quantica mi ha insegnato alcuni principi che ispirano il mio lavoro, ma mi sono spostata da un paradigma meccanicistico a uno ecologico... Ho scelto la seconda strada per approfondire le relazioni tra scienza e società...e ho tanta stima degli intellettuali non-scienziati che contribuiscono a mettere in discussione il pensiero scientifico, come Noam Chomsky".

Vandana Shiva è nata nel 1952 nell'India del nord, da una famiglia progressista. Ha studiato nelle università inglesi e americane laureandosi in fisica.
Tornata a casa dopo aver terminato gli studi, rimase traumatizzata rivedendo l'Himalaya: aveva lasciato una montagna verde e ricca d'acqua con gente felice, poi era arrivato il cosiddetto "aiuto" della Banca Mondiale con il progetto della costruzione di una grande diga e quella parte dell'Himalaya era diventata un groviglio di strade e di slum, di miseria, di polvere e smog, con gente impoverita non solo materialmente.
Decise così di abbandonare la fisica nucleare e di dedicarsi all'ecologia.

L’opera più importante di Vandana Shiva è "Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo". In questo libro, affronta i vari aspetti della globalizzazione imposta dall'Occidente, e propone una visione dello sviluppo nel suo paese diversa, nel rispetto delle tradizioni e dei principi.

Critica aspramente i nuovi modelli di sfruttamento della globalizzazione applicati al territorio, perché modificano l'equilibrio dei cicli vitali della natura.
Il suo impegno tende a mettere in luce le due principali visioni del mondo: la visione dell'Occidente che esalta il progresso misurando tutto in termini di profitto, contrapposta alla realtà delle comunità contadine del terzo mondo.

Per Shiva, il modello di sviluppo proposto dai paesi occidentali non è uno sviluppo reale e sostenibile; questo modello di sviluppo crea in quei paesi indebitamento e povertà, perché devono sostenere i costi di un presunto benessere, cedendo le ricchezze naturali del paese, per lunghi anni a potenze straniere. Si verifica così la distruzione di culture, di tradizioni e di modelli sociali, per far posto a culture competitive il cui grado di civiltà è dato solo dal mercato.

Il danno maggiore prodotto dalla civiltà industriale, cioè dai modelli occidentali, secondo Shiva, è stata l'equazione donna-natura e la definizione di entrambe come passive, inerti, cioè materia prima da manipolare. A suo avviso invece “le donne sono le depositarie di un sapere originario, derivato da secoli di familiarità con la terra, un sapere che la scienza moderna, maschilista e patriarcale, ha condannato a morte”.
Per il pensare “al maschile” della tradizione occidentale, la cultura è altro dalla natura e dalla donna; gli uomini hanno creato uno sviluppo “privo del principio femminile, conservativo, ed ecologico”.

Secondo la filosofia indiana, tutto è stato generato da un'energia che si chiama natura “prakrti”: questa energia ha modellato tutte le cose viventi, uomo compreso, in modo assolutamente naturale ed equilibrato. Nessun elemento in questo contesto è dominante sugli altri, ognuno ha una funzione di naturale equilibrio tra le cose. In questa armonia ed equilibrio delle cose, la donna e la terra sono considerate generatrici di vita. Sostiene anche che la diversità della natura corrisponde alla biodiversità vitale delle culture come fonte di ricchezza.

Per avere denunciato che la perdita di biodiversità, dell'introduzione di piante sterili, costringe i contadini a ricomprare a caro prezzo i semi a ogni semina, contestando che le biotecnologie possano migliorare le specie naturali e sottolineato gli interessi, i problemi etici e ambientali che esse pongono, nel 1993 ha ricevuto il premio "Right livehood award", il premio Nobel alternativo.

Dirige il Centro per la Scienza, Tecnologia e Politica delle Risorse Naturali di Dehra Dun in India, è vicepresidente di Slow Food e collabora con la rivista Nuova Ecologia. Ha scritto numerosi libri.

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