La donna dello scrittore
Un film anomalo di Christian Petzold che costringe a riflettere sulle umane cose attraverso un linguaggio inusuale, sapientemente costruito mescolando generi letterari e cinematografici.
(Massimo Cecconi)28/10/2018
In terra di Francia in un futuro molto prossimo che rievoca un passato non ancora remoto.
Mentre la polizia setaccia la città alla ricerca di ribelli e oppositori (le pulizie di primavera), l’uomo cambia identità e si infila in una storia fatta di ambiguità densa ma svelata, dove persino le incongruenze sono dichiarate come parte del linguaggio narrativo, mentre una asettica voce fuori campo racconta senza pathos una vicenda che di pathos ne ha invece da vendere.
La dolente compagna di viaggio dell’uomo è un’umanità varia, nelle lunghe file presso i consolati e gli uffici, nei bar, negli alberghetti malfamati, nelle case popolari dove si rifugia il popolo dei reietti.
Tratto dal romanzo “Transit” di Anna Seghers, pubblicato nel 1942, il film ha coraggio da vendere nel non dare per scontato nulla, nel non compiacersi del dipanare del racconto, nell’accettare e proporre temi e modi non usuali per il cinema dei nostri giorni, nel confondere abilmente i piani di un racconto che sembra non avere tempo in un luogo di assoluto passaggio.
Nell’ultima scena, nell’ultimo sguardo del protagonista pare di cogliere un anelito di speranza.
Eccellenti Franz Rogowsky nella parte di Georg e Paula Beer in quella di Marie, la donna dello scrittore.
Siamo già all’inferno?
In programmazione al cinema Palestrina
Le truppe di occupazione tedesche hanno già invaso Parigi e ora si spostano verso il sud, così come si muove Georg che, rocambolescamente fuggito dalla capitale, si ritrova in una assolata e multietnica Marsiglia alla ricerca di un visto e di un biglietto navale per raggiungere la salvezza in Messico.
Mentre la polizia setaccia la città alla ricerca di ribelli e oppositori (le pulizie di primavera), l’uomo cambia identità e si infila in una storia fatta di ambiguità densa ma svelata, dove persino le incongruenze sono dichiarate come parte del linguaggio narrativo, mentre una asettica voce fuori campo racconta senza pathos una vicenda che di pathos ne ha invece da vendere.
La dolente compagna di viaggio dell’uomo è un’umanità varia, nelle lunghe file presso i consolati e gli uffici, nei bar, negli alberghetti malfamati, nelle case popolari dove si rifugia il popolo dei reietti.
Fanno da cornice agli affanni di identità di Georg un ragazzino orfano dell’affetto paterno, un medico indeciso e irrisolto, una donna che non riesce a liberarsi del proprio passato, e “la donna dello scrittore” che ricerca febbrilmente l’affetto del marito in altri affetti e in altre relazioni.
Tratto dal romanzo “Transit” di Anna Seghers, pubblicato nel 1942, il film ha coraggio da vendere nel non dare per scontato nulla, nel non compiacersi del dipanare del racconto, nell’accettare e proporre temi e modi non usuali per il cinema dei nostri giorni, nel confondere abilmente i piani di un racconto che sembra non avere tempo in un luogo di assoluto passaggio.
Nell’ultima scena, nell’ultimo sguardo del protagonista pare di cogliere un anelito di speranza.
Eccellenti Franz Rogowsky nella parte di Georg e Paula Beer in quella di Marie, la donna dello scrittore.
Siamo già all’inferno?
In programmazione al cinema Palestrina