1945
Piccola digressione territoriale per andare a vedere al cinema Beltrade, in tenitura, un piccolo film in bianco e nero che racconta una storia che solo apparentemente ha più di 70 anni.
(Massimo Cecconi)07/05/2018
Agosto 1945, la guerra è finita da pochi mesi. In un piccolo villaggio della pianura ungherese, presidiato dai militari sovietici, si stanno preparando le nozze del figlio del sindaco (nel film viene chiamato “notaio”) che è anche un bottegaio arricchito.
Alla più vicina stazione ferroviaria, sperduta nella campagna, arrivano due ebrei, un vecchio e un giovane, che accompagnano due grosse casse di legno.
La presenza delle due persone scatena l’ansia dell’intero villaggio per via che da lì la comunità ebraica era stata deportata dai nazisti anche a causa di delazioni da parte di alcuni abitanti.
Tutti sembrano avere problemi di coscienza, il sindaco, la moglie, il prete, un uomo invecchiato nel rimorso a cui era stata assegnata una casa di proprietà di una famiglia ebrea.
Nella calura asfissiante della pianura arida si consuma la tragedia che vede interloquire diversi livelli narrativi.
In un rigoroso bianco e nero, pacato e descrittivo, con richiami al nostro neorealismo (“Ossessione”?) ma anche a certo film western (“Mezzogiorno di fuoco”?) il regista Ferenc Török racconta un’esemplare storia di rancore, possesso e razzismo che sembra avere valore universale.
Si salvano solo i due ebrei, raccolti nella loro tormentata pietas, e il figlio del sindaco che abbandona matrimonio e famiglia per andare a respirare aria migliore da qualche altra parte.
Onore al merito a Barz and Hippo (che gestisce il Beltrade) e a Mariposa che, visto il film a Berlino 2017, hanno avuto il coraggio di distribuirlo in Italia.
Da vedere per l’onorevole serie “Per non dimenticare”.
Agosto 1945, la guerra è finita da pochi mesi. In un piccolo villaggio della pianura ungherese, presidiato dai militari sovietici, si stanno preparando le nozze del figlio del sindaco (nel film viene chiamato “notaio”) che è anche un bottegaio arricchito.
Alla più vicina stazione ferroviaria, sperduta nella campagna, arrivano due ebrei, un vecchio e un giovane, che accompagnano due grosse casse di legno.
La presenza delle due persone scatena l’ansia dell’intero villaggio per via che da lì la comunità ebraica era stata deportata dai nazisti anche a causa di delazioni da parte di alcuni abitanti.
Tutti sembrano avere problemi di coscienza, il sindaco, la moglie, il prete, un uomo invecchiato nel rimorso a cui era stata assegnata una casa di proprietà di una famiglia ebrea.
Nella calura asfissiante della pianura arida si consuma la tragedia che vede interloquire diversi livelli narrativi.
In un rigoroso bianco e nero, pacato e descrittivo, con richiami al nostro neorealismo (“Ossessione”?) ma anche a certo film western (“Mezzogiorno di fuoco”?) il regista Ferenc Török racconta un’esemplare storia di rancore, possesso e razzismo che sembra avere valore universale.
Si salvano solo i due ebrei, raccolti nella loro tormentata pietas, e il figlio del sindaco che abbandona matrimonio e famiglia per andare a respirare aria migliore da qualche altra parte.
Onore al merito a Barz and Hippo (che gestisce il Beltrade) e a Mariposa che, visto il film a Berlino 2017, hanno avuto il coraggio di distribuirlo in Italia.
Da vedere per l’onorevole serie “Per non dimenticare”.