Un sogno chiamato Florida

Il sottile ma invalicabile confine tra l’America della realtà e quella del sogno. Un film intensamente non consolatorio. Da vedere però con occhi da bambino. ()
un sogno chiamato florida immagine
Là fuori da qualche parte c’è Disneyworld, la mecca del divertimento per famiglie. Qui, nella periferia estrema dell’impero, c’è quotidiana marginalità. Ai giorni nostri nell’America di Trump e dei suoi simili.
Lo scenario è mirabilmente interpretato da un motel violentemente colorato di rosa, collocato accanto ad architetture commerciali ipertrofiche e abitato da umanità varia. Una banda di ragazzini piuttosto giovani imperversa con ingenue (ma non troppo) malefatte di ogni genere: dallo sputare sui parabrezza delle auto in sosta all’appiccare incendi in case abbandonate. Mentre trascorre la calda estate, la vita si ripropone ogni giorno uguale a se stessa: piccoli sotterfugi per sopravvivere, depravazione minima quanto basta a guadagnarsi con fatica la giornata.

Il mondo visto con gli occhi dei bambini mostra adulti borderline che (soprav)vivono di espedienti con la paternale protezione di una sorta di idiot savant ben tratteggiato da Willem Dafoe, unico attore noto di sicuro spessore che lavora mirabilmente nel togliere piuttosto che nell’esagerare.
Il resto del mondo è popolato da fragili figure femminili (i maschi sono ai margini o non ci sono proprio) che devono fare i conti con la propria infelicità.

Su tutti giganteggia Moonee, una piccolissima Tom Sawyer che esce ogni giorno di casa alla conquista dello squallido mondo che la circonda, strepitosa negli ammiccamenti, nelle mossette, negli atteggiamenti che paiono di adulta consumata ma non troppo.
Per quasi 120 minuti sembra che non accada nulla, nessun dramma irreparabile, nessuna via senza ritorno soprattutto perché la tragedia vera, quella del mestiere di vivere, i personaggi se la portano dentro.
Senza sdolcinati sentimentalismi il film si chiude sull’ennesima fuga verso un sogno che difficilmente si realizzerà. E non ci sono arcobaleni o fuochi artificiali che tengano.
Cinema di atmosfere in un’America di tono minore sulla quale riflettere per analogia. Gli ultimi sembrano destinati a rimanere ultimi. Difficile da smentire.


In programmazione all’Arcobaleno Film Center

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