The Post

Un buon film come quelli di una volta a difesa della libertà di stampa. Molto rumore per nulla? Da vedere. ()
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The Post è il The Washington Post, giornale di area liberal-democratica spesso al centro di battaglie per sostenere la libertà di stampa. Il recente film di Steven Spielberg proprio di questo tratta. Non è la prima volta che il cinema USA affronta questo argomento e, in questa materia, i buoni film, se non proprio capolavori, sono decisamente numerosi.
Anno 1971, presidente USA Richard Nixon, roba da far impallidire anche l’attuale Donald Trump, il The New York Times, autorevole giornale progressista per antonomasia, pubblica documenti top secret sulle responsabilità dei governi americani nella guerra ancora in corso con il Vietnam.
A dare eco alla notizia si esercita anche il The Washington Post, giornale della capitale poco più che locale, di proprietà di Kay Graham (Meryl Streep), signora della buona borghesia, e diretto da Benjamin C. Bradlee (Tom Hanks).

In un combinato composto di compiacimento professionale, di buoni propositi democratici e, da parte della donna, di sacrosanta rivalsa anti maschilista, il giornale porta sino in fondo la sua battaglia a favore del diritto di informazione e di democrazia.
Il film finisce giusto dove ne inizia un altro, girato da Alan J.Pakula nel 1976, quel “Tutti gli uomini del presidente” in cui il ruolo del direttore Ben Bradlee era interpretato da Jason Robards.
La materia (il caso Watergate) era simile, l’avversario politico, che anche in questo caso uscirà sconfitto dalla vicenda, era lo stesso (Richard Nixon).

“The Post” ha tutti i presupposti per essere un film politicamente corretto che, ancora una volta, sostiene la legittimità di alcuni diritti fondamentali, il cast è perfetto con una particolare prestazione positiva di Meryl Streep che fornisce un’ennesima grande prova di sé nei panni di una donna normale ai limiti della pavidità che si riscatta attraverso una giusta battaglia. Grande Tom Hanks e grandi gli attori di contorno.
Cosa non funziona allora? Il senso del dejà vu, la verbosità e la lunghezza di alcune scene girate in interni un po’ claustrofobici, l’ennesima dimostrazione di cinema di impegno civile su una vicenda, a oltre 45 anni di distanza, che probabilmente appassiona ancora pochi.
Con tutto ciò, è pur sempre un buon film come quelli di una volta.
“E’ la stampa, bellezza” (leggendaria e lapidaria frase di Humphrey Bogart in “L’ultima minaccia”, 1952).

In programmazione al cinema Plinius e all’Arcobaleno Film Center.