Vago bocciato dal TAR. Ne pagherà le conseguenze?

Il comitato del sindacato dell’Università Statale ha chiesto apertamente le dimissioni del rettore Vago dopo la bocciatura da parte del TAR della sua decisione di imporre il numero chiuso delle iscrizioni alle facoltà umanistiche. ()
FestaPerdono7

Forse è il caso che anche in Italia si cominci a rivendicare da parte dei cittadini, e con determinazione, che gli amministratori pubblici si assumano le responsabilità delle scelte fatte, e quando, come in questo caso, la scelta viene bocciata, ne traggano le debite conseguenze. In casi del genere le dimissioni sono dovute, questo accade altrove, quasi mai da noi. Sarebbe una dimostrazione di rispetto verso le istituzioni, verso i cittadini e, riteniamo noi, verso sé stessi.

Certo, in confronto ad altre ben più gravi situazioni di cui sono piene le cronache quotidiane, quella del rettore Vago potrebbe essere considerata una colpa di minor peso, un errore di poca entità, ma la vicenda merita una riflessione, tenendo conto della situazione al contorno, e ci riferiamo ovviamente alla proposta di Vago di trasferire le facoltà scientifiche della Statale all’area Expo.

Precludere l’accesso all’istruzione universitaria a studenti che hanno maturato i titoli di studio necessari va contro un principio fondamentale in un paese civile, il diritto allo studio, e lo stato ha il dovere di garantire questo diritto agli studenti che vogliono completare gli studi sino alla laurea (l’Italia è uno dei paesi europei con la più bassa percentuale di laureati).

Da anni politici e amministratori pubblici nel mondo della scuola hanno assunto un comportamento esattamente opposto, invece di garantire il diritto allo studio e promuovere una scuola di qualità per tutti, affossano la scuola dell’obbligo deprimendo e svilendo la classe insegnante e riducono l’offerta formativa a livello dell’istruzione universitaria, con atteggiamenti che a volte appaiono quasi vessatori nei confronti degli studenti e del mondo accademico.

In alcune facoltà, ad esempio medicina o farmacia, il numero chiuso è comprensibile, serve ad evitare di sfornare laureati in eccesso rispetto alle esigenze del paese, o per meglio dire del mercato, ma non può dipendere dal fatto che l’università non è in grado altrimenti di accogliere gli studenti che intendono accedere ad un percorso di istruzione universitaria.

Nel caso delle facoltà umanistiche la limitazione degli accessi non si può certo motivare con le esigenze del mercato, le scienze umanistiche non creano specialisti, ma aprono la possibilità di far valere una formazione culturale di livello universitario utile in molteplici attività professionali. Lo stato deve assolvere questo compito, come previsto dalla Costituzione Da qui la bocciatura del provvedimento emanato da Vago.

In più notiamo poi che questo provvedimento è stato deciso mentre si discute, e il Senato Accademico dovrà pronunciarsi presto in merito, lo spostamento delle facoltà scientifiche della Statale all’area ex-Expo. Una scelta imposta dal rettore Vago con la motivazione che per assolvere il proprio compito la Statale ha la necessità di adeguare le attuali sedi e strutture a nuove esigenze, e dal fatto che, secondo Vago, il costo di ristrutturazione e adeguamento delle vetuste facoltà scientifiche di Città Studi risulterebbe superiore a quello di un nuovo campus all’area Expo.

Su quali basi poggia questa affermazione? Dopo le proteste, le discussioni e le assemblee pubbliche promosse da associazioni di cittadini, movimenti, studenti, lavoratori della Statale, a cui si sono associati anche diversi docenti universitari, non si è mai avuta risposta alla semplice domanda che sorge spontanea in qualunque persona di buon senso, da dove risulta che è meno costoso trasferire le facoltà scientifiche piuttosto che mantenerle a Città Studi? Nessuno studio è mai stato commissionato in proposito ad un qualche ente terzo indipendente in grado di fornire dati seri ed attendibili, come sarebbe logico e doveroso prima di dare per scontata una decisione di questa portata.

Da un’analisi degli insediamenti della Statale nell’area di Città Studi, degli edifici disponibili, dello stato di conservazione e delle esigenze di nuove strutture per le facoltà scientifichenon è affatto parso evidente che le affermazioni di Vago siano derivate da un attento confronto tecnico-economico delle due alternative possibili, area Expo/Città Studi, tenendo anche conto di tutte le implicazioni sul piano della didattica, del territorio, dell’ambiente e dell’impatto umano e sociale che ne derivano.

Per tutta risposta si è invece incaricato il prof. Balducci del Politecnico di Milano di valutare come poter riempire i vuoti che si creeranno a Città Studi, e una delle ipotesi è stata quella di collocarvi le facoltà umanistiche della Statale stessa.

Quindi prima si è deciso cosa fare, poi se ne sono valutate le conseguenze e di fronte alle reazioni di larga parte della cittadinanza direttamente coinvolta e delle componenti sociali interessate, si è proceduto comunque evitando di dare riscontri oggettivi.

E’ un modo di concepire la propria funzione che ribalta il criterio da seguire nell'espletamento di una funzione pubblica; il mandato deve essere svolto come servizio alla comunità e non come esercizio di un potere. Che ciò non avvenga non fa meraviglia, non è una novità, in fondo così è sempre accaduto, ma oggi sembra che questo ribaltamento sia diventato la regola, e non l’eccezione.

Ne abbiamo sotto gli occhi quotidiana evidenza, tanto che ci siamo abituati ad accettare tutto con rassegnazione, e finanche disgusto verso la così mal, per non dire indegnamente, governata “res publica”.

Se poi è divenuto un fatto accertato che non è per servire la comunità, ma per esercitare un potere che si assumono cariche pubbliche non fa meraviglia che nessuno si preoccupi di dimettersi quando fosse il caso. L’esercizio del potere non comporta senso di responsabilità, lo svolgimento di un servizio sì.

Proprio per questo, forse, è giunto il momento di reagire cominciando ad esigere che coloro che occupano cariche pubbliche diano conto del proprio operato, traendone le debite conseguenze quando le scelte fatte vengono sanzionate in quanto contrarie all’interesse comune.


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