Il colore nascosto delle cose

Silvio Soldini dirige senza eccessivi compiacimenti un’anomale storia d’amore tra un uomo alla ricerca della propria maturità e una donna non vedente consapevolmente fragile. Tema difficile. Buona prova d’autore e di interpreti. ()
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Lui è un farfallone amoroso, affetto da latente sindrome di Peter Pan, con alle spalle un’infanzia difficile, privata del modello paterno, e una brillante carriera di creativo in pubblicità. Frequenta un ambiente un po’ fatuo e un po’ fasullo, che poi sono la stessa cosa, e amici/colleghi almeno superficiali, per non dire peggio, disposti a pagare un pranzo stellato per una scommessa sulle “conquiste” femminili.

Lei è una donna più che piacente, avviata alla maturità, non vedente dall’età di 17 anni. L’incontro casuale nel percorso sensoriale della mostra “Dialogo nel buio”, che tanto successo continua ad avere anche a Milano presso l’Istituto dei ciechi di via Vivaio, innesta i presupposti per una storia d’amore anomala e in parte ambigua, nella quale l’uomo sembra voler riscattare il suo frivolo comportamento in afflati di solidarietà umana e la donna investire in speranze e affetti, dopo il fallimento del suo matrimonio.

In un prendersi e ritrovarsi, dove amore e diversità sembrano persino trovare una matura corrispondenza, il film si recupera da qualche melensaggine in un’impennata finale quando i due personaggi si ritrovano ancora una volta nel buio del percorso sensoriale dove la donna è sicuramente più forte, consapevole e autorevole. Finale aperto, come suol dirsi.

Silvio Soldini, e i suoi collaboratori alla sceneggiatura, si applicano in una difficile vicenda fatta di infinite sfumature cromatiche alla ricerca di un colore nascosto delle cose che è oggettivamente difficile stanare e definire. L’argomento del film deriva direttamente da un precedente documentario dedicato alla disabilità visiva (“Per altri occhi”, 2013) in cui Soldini, con la coregia di Giorgio Garini, aveva indagato con leggerezza assoluta nelle vite di numerosi portatori di disabilità, ricavandone, e proponendoci, spessori e prospettive non facilmente comprensibili nel quotidiano dell’esistenza.

Nella distribuzione delle parti, buona prova emotiva di Valeria Golino e credibile disorientamento maschile nella figura resa da Adriano Giannini. Meritano citazione due notevoli comprimarie, l’amica ipovedente simpaticamente vitale interpretata da una bravissima Arianna Scommegna e Laura Adriani nella parte di una giovane donna non vedente che non riesce ad accettare se stessa e la sua condizione.

Da “vedere” possibilmente con altri occhi.


p.s. Produce Lionello Cerri, patron, tra l’altro, del nuovo Anteo Palazzo del Cinema (che merita una visita).



In programmazione all’Arcobaleno Film Center



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